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Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali

Tzipora Malka "Tzipi" Livni è il nuovo leader di Kadima, il partito centrista fondato nel 2005 da Ariel Sharon e dallo scorso anno in balia degli scandali che hanno coinvolto il premier Ehud Olmert. Ora, nell'ipotesi che subito dopo le dimissioni di Olmert dalla carica di premier, il Presidente Shimon Peres decida di affidarle alla signora Livni l’incarico di formare un nuovo governo, il ministro degli Esteri avrà a disposizione 42 giorni per presentare la lista dei ministri, passati i quali si andrà ad elezioni anticipate. Anche se l’incertezza che ha segnato queste primarie non corrisponde alla reale situazione sul campo, il compito non è facile. Tzipi Livni gode dell’appoggio di gran parte della piazza ma il testa a testa che si venuto a creare all’interno del partito dimostra che probabilmente il nemico non alberga poi così lontano. Come prima reazione, Shaul Mofaz ha infatti deciso di prendersi un periodo di riflessione, un "time out" durante il quale dovrà definire il suo futuro politico; una scelta che fa capire le difficoltà in cui versa Kadima. Durante la conferenza stampa che ha seguito la fine delle primarie, Mofaz ha già annunciato che pur non avendo alcuna intenzione di lasciare il partito non parteciperebbe mai ad un governo presieduto dalla signora Livni. Per quanto riguarda la questione palestinese, e non solo, tra i due c’è una totale diversità di vedute: da una parte il ministro degli Esteri che vuole portare avanti i negoziati di pace con Abu Mazen e trattare sulla futura nascita dello Stato palestinese; dall’altra Mofaz, da sempre considerato un falco, convinto sostenitore della linea dura, della politica che definisce i palestinesi un nemico con il quale non si tratta.

All’interno dell’attuale coalizione di governo, che include i laburisti di Ehud Barak, il partito ultraortodosso Shas di Eli Yishai e i due piccoli gruppi nati dalla scissione del partito dei pensionati, c’è gia chi ha puntato i piedi: i laburisti non accettano il ruolo di comprimari e sono pronti ad andare all’opposizione nel caso in cui la signora Livni dovesse cedere al ricatto dei partiti minori; dall’altra il leader ultraortodosso Yishai, che non appoggerà mai la formazione di un nuovo esecutivo se non verranno prima ascoltate le richieste del suo partito, prima fra tutte l’integrità di Gerusalemme come città totalmente ebraica e capitale di Israele.

Alla Knesset la coalizione fino ad oggi guidata da Olmert può contare su una maggioranza di 67 seggi, sei in più del quorum minimo richiesto. Per portare il numero a 72 la signora Livni potrebbe tentare di allargare l’alleanza al Meretz, il partito di sinistra attualmente all’opposizione. La proposta arriva proprio da Yossi Beilin, deputato del Meretz, che offre la sua disponibilità per mettere in condizione la Livni di completare il negoziato di pace israelo-palestinese e raggiungere un accordo di stabilità con la Siria e con il Libano.

Quella del Meretz al governo è comunque soluzione difficilmente realizzabile, soprattutto per la profonda diversità ideologica che divide gli ultraortodossi del Shas da un partito laico di sinistra. Altra ipotesi è quella che vede la signora Livni impegnata nella formazione di un governo di unità nazionale, un esecutivo che oltre all’attuale maggioranza includa i partiti di destra; un’eventualità remota visto che Laburisti e Likud hanno un’idea completamente diversa su come risolvere il problema israelo-palestinese.

Se entro sei settimane la signora Livni non dovesse formare un nuovo governo, le elezioni anticipate sarebbero inevitabili; tre mesi di tempo per preparare una sfida che arriverebbe con un anno e mezzo di anticipo rispetto alla data prevista e che per ora vede la sicura vittoria di Benyamin Netanyahu. In attesa e nella speranza che il successore di Olmert dia forfait, i deputati del Likud buttano benzina sul fuoco: Gilad Arden ricorda che “nel 2006 il ministro degli Esteri ha partecipato al fallimento della seconda Guerra libanese” e che il suo programma non parla di programmi economici e sociali, “credo che gli israeliani non voteranno chi risponde al telefono alle tre del mattino ma chi sarà in grado di guidare il Paese”.

Gideon Saar è certo che il Likud non parteciperà mai ad un governo di unità nazionale guidato dal nuovo leader di Kadima, un esecutivo destinato a fallire. Il capogruppo del Likud dichiara che il premier deve essere eletto dal popolo e non dai membri di un partito: “In queste circostanze creare un governo sarebbe una farsa che potrebbe arrecare un grave danno alla democrazia israeliana”. Della stessa opinione Silvan Shalom che ribadisce la necessità di indire elezioni anticipate.

Cosciente del fatto che per governare deve contare su un partito forte e compatto, nel suo primo discorso da leader di Kadima la signora Livni ha rivolto un appello ai sostenitori e agli ex rivali affinché tutti lavorino per l'unità e la stabilità del paese. Sotto il punto di vista economico il paese sembra godere di ottima salute: il governatore della Banca d’Israele, Stanley Fischer, ha annunciato che per il 2007 la crescita si è attestata sul cinque per cento; un miracolo caratterizzato da un forte impulso nelle esportazioni, da una diminuzione del debito pubblico, da un aumento dei salari che ha sfiorato il tre per cento e da una sensibile diminuzione della disoccupazione. C’è poi l’effetto del crollo delle borse e della recessione americana che potrebbe provocare effetti disastrosi in tutto il mondo: le banche israeliane risultano poco esposte alla crisi che ha investito il sistema bancario americano e la Banca di Israele ha già annunciato che non esiterà a prendere tutte le misure necessarie per tutelare il sistema bancario e finanziario locale.

Così, nei prossimi giorni, più che sui temi di politica interna e sulle questioni sociali, la signora Tzipi Livni sarà impegnata a formare una maggioranza che condivida una stessa strategia sia in materia di politica internazionale che sulla questione israelo-palestinese, un problema che deve essere affrontato in modo coerente e concreto, abbandonando l’idea ormai vecchia ed inattuabile del Grande Israele.