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di Saverio Monno

Latte alla melammina. L’allarme risale allo scorso 2 agosto, quando sul tavolo del primo cittadino di Shijiazhuang, capoluogo della provincia dell’Hebei, nel nord-est della Cina, compare un rapporto “poco rassicurante” su presunte alterazioni riscontrate in diversi prodotti destinati ai più piccoli. Gli esami tossicologici accertano, nei diversi campioni di latte analizzati, la presenza di melamina, sostanza altamente nociva, comunemente utilizzata per la produzione di plastiche, adesivi e vernici. A sei giorni dalla partenza delle olimpiadi di Pechino però, le autorità locali non se la sentono di guastare il crescente clima di festa che circonda la manifestazione. La macchina organizzativa deve andare avanti, la vetrina olimpica è sufficientemente compromessa. Il terremoto nel Sichuan, le proteste in Tibet e gli attentati nello Xinjiang sono delle belle gatte da pelare. Le massime autorità dello stato premono perché tutto lo “straordinario” sia rimandato all’indomani del grande evento sportivo. L’obiettivo è rilanciare l’immagine della Cina nel mondo, qualche strappo alle regole è d’obbligo. Non una parola, dunque, non saranno certo queste “piccole complicazioni” a rovinare la sceneggiatura della potenza asiatica. Bisogna attendere che i riflettori olimpici siano un ricordo prima che scoppi il caso. Così è stato. L’amministratore di Shijiazhuang, Ji Chuntang, tace e la vicenda resta sigillata in un cassetto per almeno un mese. È solo a telecamere spente che la Cina può svelare i dettagli di un dramma che è costato la vita a quattro bambini e costretto al ricovero ospedaliero altri 54 mila innocenti. Il caso, che sembrava destinato a dover restare sulla bocca dei bambini, fa il giro del mondo. Si deve a Jian Guangzhou, un reporter di Shanghai, la prima accusa ufficiale nei confronti della Sanlu, impresa controllata al 43% dai neozelandesi di Fonterra. Se questi ultimi hanno subito preso le distanze, gridando al sabotaggio, peggior sorte è toccata all’azienda dell’Hebei, pienamente travolta dallo scandalo. Sono sequestrate circa 10 tonnellate di latte contaminato. Inutili le scuse a “capo chino” del vicepresidente del gruppo, Zhang Zhenlin, finiscono in carcere almeno in venti, tra manager ed amministratori di ogni tipo.

Ma da Shangai alla Mongolia interna, passando per il Guangdong, nell’occhio del ciclone, oltre a Sanlu, finiscono altre 21 case produttrici. Tra le tante, figurano persino alcuni sponsor olimpici (Yili, Mengniu e Shanghai Bright Diary), che avrebbero dovuto - ma misteriosamente non lo han fatto - fornire il latte al villaggio degli atleti. Nel frattempo la faccenda si estende a macchia d’olio. Agli arresti nel mondo delle imprese seguono capitolazioni illustri anche in politica. Cade Ji Chuntang. Il “fedele” funzionario dell’Hebei, non resiste agli attacchi del Dongguan Times e finisce in manette. L’accusa? “Sapeva e aveva taciuto”. A Pechino si vorrebbe chiuderla qui, il signor Ji è un ottimo capro espiatorio. Il bersaglio ideale in un gioco a scaricabarile. Ma il sacrificio del dirigente locale non toglie le castagne dal fuoco ed il terremoto finisce per coinvolgere anche i pesci grossi della capitale. La prima vera “vittima” illustre é Li Changjiang, capo dell’Authority che vigila sulla qualità del cibo e sulla regolarità delle ispezioni.

La rimozione del “mandarino” - a riprova del fatto che il muro d’omertà, che avvolgeva l’intera faccenda, andava ben oltre quella piccola cittadina dell’Hebei, a 300 chilometri dalla capitale - ha messo nuovamente in moto il presidente Wen Jiabao, ormai avvezzo a tappare, almeno mediaticamente, le falle di un paese da tempo aperto ai vizi del peggior sistema capitalistico occidentale. In visita presso alcuni ospedali, il leader della Repubblica cd. “Popolare”, in continuità con dichiarazioni già rilasciate all’indomani di altre sciagure, avrebbe tuonato: “mai più simili scandali”.

Ma le dichiarazioni del presidente sono tardive, almeno quanto la rappresaglia del suo governo verso i fantocci locali. La minaccia del latte alla melammina si è subito estesa ai numerosi paesi importatori del prodotto cinese. In Giappone come a Taiwan, ed in diversi paesi africani, le misure di prevenzione disposte dalle autorità locali sono già operative e, nonostante lo stop alle importazioni risalga a diversi giorni fa, aziende leader del settore, come la Marudai Foods di Osaka, produttrice del rinomato snack “Cream Panda”, hanno annunciato, a scopo precauzionale, il ritiro immediato dal mercato di diversi prodotti.

La bufera asiatica non risparmia neanche Nestlè. “Minacciata” dalle cautele dell’ex colonia britannica di Hong Kong, la potente multinazionale svizzera, che giura sull’assoluta genuinità dei suoi articoli, non ha potuto – almeno per il momento – opporsi al ritiro di alcuni prodotti “a rischio”. A seguito di alcune analisi su di un particolare latte usato nel catering infatti, il centro per la sicurezza alimentare di Hong Kong ha ritenuto opportuno allertare i consumatori. “Dato il basso livello di tossicità di questi prodotti -ha riferito un portavoce del centro- il normale consumo non dovrebbe costituire pericolo per la salute, tuttavia è sconsigliabile somministrare questo prodotto a bambini piccoli”.

Sul versante occidentale, l’Italia è al sicuro. È dal 2002 che l’UE ha vietato le importazioni di latte e derivati dalla Cina, ciononostante si profilano tempi molto duri per i prodotti asiatici. “Abbiamo deciso di allargare le misure dei controlli ad altri prodotti importati”. Così Francesca Martini, sottosegretario alla Salute, al termine di un vertice avuto al ministero con il direttore generale della sicurezza degli alimenti e nutrizione dello stesso dicastero, Silvio Borrello, ed il comandante del Nas Saverio Cotticelli. Tra i prodotti citati dal sottosegretario “integratori alimentari, bevande di cereali, amminoacidi vari, salse, biscotti dolci, caramelle, latte di cocco e preparati per minestre. Da oggi -ha proseguito la Martini - nel nostro paese si introduce una nuova certificazione per cui gli importatori dovranno garantire che questi prodotti siano privi di latte e derivati del latte cinesi”. Di qui i primi sequestri - prevalentemente yogurt e biscotti - a Milano, Firenze ed Ancona.

Ma se in occidente il pericolo melammina è molto ridotto, tanto che la cosa non desta particolare preoccupazione, in Asia l’allarme è tutt’altro che cessato, e non solo perché dei 54 mila casi stimati risultano ancora 13 mila i bambini tutt’ora ricoverati in ospedale. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sostiene infatti, che “la crisi del latte contaminato potrebbe non aver raggiunto l’apice”. In Cina come in altri paesi asiatici “potremmo assistere alla scoperta di nuovi casi -ha aggiunto la portavoce Oms, Fadela Chaib - ora che i genitori, soprattutto nelle zone rurali, sono informati del problema e porteranno i loro bambini negli ospedali per controlli”.

Al montare del caso, un’osservazione è d’obbligo. Ce ne fornisce lo spunto Paolo Aureli, dirigente di ricerca sulla sicurezza alimentare all’Istituto Superiore di Sanità, in un’intervista a La Repubblica: “Di fronte a ordinativi massicci di prodotti che devono avere certe caratteristiche nutritive, è difficile sostenere che l’emergenza cinese sia stata provocata dalla migliore delle ipotesi, e cioè che la melamina, usata per plastiche e colle, sia rimasta "attaccata" ai contenitori”. Il latte, in definitiva, sarebbe stato dunque, diluito con acqua e quantità variabili di melammina, al solo scopo di raggiungere un livello proteico “accettabile”. Non esiste altra ragione che giustifichi la presenza di queste sostanze in questo genere di prodotti; nessuna, a parte il profitto.