Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali

La politica americana è più complessa di quanto si possa credere. Anche se gli ultimi sondaggi sul voto del 4 novembre danno Barak Obama in netto vantaggio (per i più pessimisti sono quattro i punti a suo favore), i giochi non sono ancora fatti. McCain spera sempre nel pieno appoggio dell’elettorato “religioso”, quella parte dell’America repubblicana che rimane una delle componenti più importanti nella corsa alla Casa Bianca, un elemento che in molte elezioni si è rivelato fondamentale, così come lo fu nel 2004 quando i temi etici ebbero un impatto decisivo sull’esito del voto. I repubblicani hanno sempre investito molto su questo tipo di elettorato e fino al mese scorso la così detta “destra religiosa” si era sempre dimostrata una base sociale solida e ben organizzata, guidata da personaggi che vanno dai cattolici più conservatori ai protestanti evangelici dell’America bianca: padre Richard Neuhaus, difensore di questioni che vanno dalla libertà religiosa alla difesa della vita; l’Arcivescovo Charles Caput, voce emergente di una politica moralmente rigorosa; Charles Colon, leader del protestantismo evangelico contemporaneo. Ora però l’appoggio sembra venir meno e i sondaggi parlano di un preoccupante calo di consensi. Il motivo? Secondo gli esperti il problema ha un nome e cognome: Sarah Palin. Passata dall’oscuro Alaska ai riflettori di un palcoscenico ben più vasto, “barracuda” Palin è subito partita a testa bassa a caccia dei voti della destra religiosa e, per questo, ha calcato la scena di programmi quali il James Dobson's show, trasmissione indirizzata agli evangelisti bianchi d’America, una platea profondamente conservatrice ed antiaborista che potenzialmente rappresenta il 23% degli elettori. Secondo il Pew Forum di Washington, l’istituto di sondaggi e rilevazioni Usa specializzato in analisi su questioni politico-religiose, l’assalto della Palin non starebbero dando però i frutti sperati: il voto degli evangelici sarebbe per il 67% a favore di McCain, una percentuale sostanzialmente stabile ma non in crescita. Al contrario, nella sua globalità la classe media dei protestanti statunitensi si starebbe spostando verso sinistra, con il 48% a favore dei democratici e il 43% per il repubblicani. L’inversione di tendenza, che fino ad agosto era dalla parte di McCain, sarebbe dovuta soprattutto alle intenzioni di voto della comunità nera, che tra gli evangelici segna un netto 94% in favore di Obama.

Il 67% del voto arriva dopo tre mesi (agosto-ottobre) in cui la media era rimasta inchiodata ad un misero 61%, con un picco del 74% raggiunto in concomitanza della crisi economica che ha travolto Wall Street. Ad agosto, prima che McCain scegliesse il candidato repubblicano alla vicepresidenza, il grafico segnava addirittura un confortante 71%; una percentuale che non raggiungeva certo il 78% conquistato da Bush nel 2004 ma che lasciava ben sperare. Secondo gli analisti di partito, la perdita di consensi è imputabile alla Palin, ad una strategia troppo intraprendente e alla diffidenza del paese verso un personaggio politico in fin dei conti fragile, che ha dimostrato più volte - gaffes dopo gaffes - scarsa esperienza e poche risposte ai problemi del paese. C’é però chi pensa che la Palin un merito lo abbia: il suo modo di fare politica avrebbe infatti riacceso l’entusiasmo politico della base e starebbe riportando alle urne quella parte dell’elettorato evangelista che negli ultimi mesi si era allontanata dalla politica.

A pochi giorni dalla fine della campagna elettorale gli strateghi repubblicani iniziano a tirare le somme: nel confronto con il candidato democratico, McCain è sotto di cinque punti tra i protestanti e di otto tra i cattolici ispanici e, anche se tra gli evangelisti bianchi d’America il senatore dell'Arizona conserva un largo vantaggio, il risultato non è comunque comparabile a quello del 2004, quando la comunità votò in blocco per il presidente Bush.

L’entourage di John McCain ritiene che la governatrice dell’Alaska sia l’unica responsabile del tracollo politico repubblicano: troppi scandali e troppi messaggi, confusi e spesso contraddittori. In altre parole la Palin sta iniziando ad assumere il ruolo di capro espiatorio di una sconfitta annunciata, accusata d’insubordinazione e di giocare un ruolo da diva, slegato dalle strategie imposte dai consiglieri del candidato repubblicano alla presidenza.

Questo però è un ruolo che “barracuda” non vuole vestire: è stanca di suggerimenti che alla fine si sono rivelati un vero e proprio boomerang mediatico e si ribella alle direttive che continuano a darle Steve Schmidt e Nicole Wallace, due dei maggiori collaboratori di McCain. E così, mentre il 58% degli americani la ritiene insufficientemente preparata, la stampa ironizza e ogni volta che apre bocca il partito trema, il sondaggista democratico Peter Hart lancia un’altra ipotesi: Sarah si starebbe preparando a diventare il nuovo leader della destra Americana e il prossimo candidato repubblicano alle elezioni del 2012.