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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti


MOSCA. In Russia li chiamano rusiny. Sono gli ultimi appartenenti ad un gruppo etnico ucraino. Vivono in diecimila nell’occidente delle terre subcarpatiche conosciute come Galizia e Bucovina che sono le provincie orientali di quella Slovacchia che dopo la Seconda guerra mondiale venne annessa all’Urss col nome di Transcarpatia e che è, oggi, una provincia dell’Ucraina. Sentiremo ora sempre più parlare di questi rusiny che, di fatto, abitano la regione che noi conosciamo come Rutenia che era il nome della Russia nel medioevo, adottato poi dalla monarchia austro-ungarica per designare il proprio territorio carpatico. Perchè è qui, nel cuore di un’Ucraina che guarda all’Ovest, che prende avvio un movimento che tende all’autonomia e che potrebbe creare seri problemi alla dirigenza di Kiev e a paesi come la confinante Polonia. Eccoli, quindi, i ruteni-rusiny. Fratelli di razza e di lingua degli ucraini della Galizia e della Bucovina e anche degli ucraini russi, che vivevano per la maggior parte nelle regioni montagnose del nord-est slovacco dell'Ungheria. E che prima di riconoscersi come ucraini, si diedero il nome di Rusiny. Narrano le cronache che il risveglio della loro coscienza nazionale fu assai tardo: la prima società per la diffusione della cultura rutena venne creata nel 1834. Dopo il 1848 il governatore, il conte Stadion, si impegnò in Bucovina e in Galizia per migliorare la situazione dei ruteni, che si trovavano in condizioni di maggiore indigenza e sottosviluppo rispetto a tutte le altre nazionalità dell'Austria-Ungheria, soprattutto nelle regioni dove avevano subito la dura oppressione dei proprietari polacchi... Ed ecco che ora si apre una nuova pagina di storia che rischia di rimettere tutto in discussione. Con precise richieste di libertà, uguaglianza dei diritti e autonomia.

Vediamo cosa sta avvenendo all’interno di questi “piccoli popoli” che sembrano dimenticati da tutti, ma che ora – sulla base della nuova geopolitica che agita l’Europa – tornano a farsi sentire. La storia più recente – quella dei nostri giorni - prende avvio il 25 ottobre scorso, quando a Mukacevo, al confine tra l’Ucraina e l’Ungheria (nella grande sala del locale “Teatro russo”), si svolge il congresso dei rusiny. E’ in quest’occasione che si decide di fondare la “Repubblica Transcarpatica russa” nell’ambito dell’Ucraina.

Portavoce di questa nuova iniziativa è il vescovo ortodosso di Usgorod, Dimitrij Sidor, il quale annuncia ai 109 delegati (giunti da ogni regione dei Carpazi e dalla Repubblica Ceca) che è giunto il momento di firmare l’Atto definitivo relativo allo “Stato dei rusiny” riprendendo iniziative analoghe del novembre 1938. Subito viene eletto anche un “Comitato” chiamato ad organizzare concretamente la nuova repubblica. E sempre a Mukacevo, nella piazza centrale, si ritrovano quanti manifestano (con le bandiere della Russia) per difendere i diritti dei rusiny.

Non mancano discorsi relativi alla storia della regione e precise richieste di autonomia e di distanza da Kiev. A tutti parla il sacerdote ortodosso Sidor il quale annuncia: “Noi non siamo separatisti, ma lottiamo per ottenere per la nostra regione lo status di repubblica autonoma pur se nell’ambito dell’Ucraina. Questo è il nostro obiettivo, questa è l’ereditè che ci è stata lasciata dai nostri avi”. E poi seguono le proposte rivolte a Kiev. “E’ necessario avviare trattative in merito con tutti i rusiny della Transcarpatia. E se entro il primo dicembre 2008 non si giungerà a riconoscere la nostra autonomia nazionale noi siamo pronti a prendere una decisione autonoma, forti anche del fatto che già questo problema dei Carpazi è arrivato sui tavoli dell’Onu...”.

Questo potrà portare ad uno scontro con il governo centrale dell’Ucraina, il paese che i rusiny considerano come una potenza che ha “occupato” le loro terre. E i rusiny, tra l’altro, contestano all’Ucraina i dati del censimento. Fanno rilevare di essere, in totale, oltre 800mila, ma le autorità nazionali cercano di nascondere i dati reali proibendo di essere censiti come rusiny.

Numerose sono poi le pretese nei confronti del Cremlino. A Putin le popolazioni della Transcarpatia fanno sapere di non aver bisogno di fondi, ma di gesti normali in direzione della democrazia. “Perchè – dice il sacerdote ortodosso – Putin tace come un coniglio di fronte alle nostre rivendicazioni? Noi localmente siamo già riconosciuti come rusiny, ma Mosca tace. Quindi sarebbe bene per il futuro delle nostre relazioni che dal Cremlino venisse una parola di condanna nei confronti di Kiev che ci discrimina...”. E ancora: "Noi vogliamo – dice l’alto prelato della Chiesa Ortodossa – che nella nostra terra si parli la nostra lingua, che la televisione e la radio divengano la nostra voce”. E soprattutto “nessuna Europa delle tribù. Perchè una terminologia del genere porta ad identificare la nostra regione come zona selvaggia e primitiva, difficilmente assimilabile alla cultura europea...”.