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Categoria: Esteri
di Mario Braconi

Lo scorso fine settimana Benedetto XVI ha deciso di revocare la scomunica ai quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre nel 1988, a dispetto del divieto dell’allora papa Giovanni Paolo II; come si può evincere da un’interessante intervista alla televisione svedese il 21 gennaio, uno di loro, l’inglese Richard Williamson, è un fiero antisemita e nega esplicitamente l’Olocausto. L’inizio del percorso di “riabilitazione” della setta ultra-conservatrice di Ecône (Svizzera), al di là dei suoi aspetti tecnici, consente di conoscere quali idee circolino (o vengano tollerate) nella Chiesa di Joseph Ratzinger, restituendo nel contempo l’immagine appannata di una chiesa logora e pronta a qualsiasi compromesso pur di mantenere il proprio potere. Marcel Lefebvre (1905 - 1991) fu un brillante “evangelizzatore” in terra d’Africa: si dice che, sotto la sua “gestione”, il numero dei cattolici in Gabon sia triplicato, trasformandolo nel Paese africano più cattolico. Dal Concilio Vaticano II (indetto da Giovanni XXIII, preparato dal 1959 al 1962 e conclusosi nel 1965 sotto Paolo VI) emersero alcune “novità” tanto sul piano della dottrina che su quello liturgico, che a Lefebvre procurarono l’orticaria. Non gli piacque il nuovo spirito “liberale ecumenico” (per la prima volta a parlare non erano solo i vescovi europei, ma rappresentanti delle Chiesa provenienti da tutto il mondo) e si scagliò con furore contro tutte quelle che egli considerava “concessioni ad uno spirito neo-modernista e neo-protestante”; in particolare, ad irritare il vescovo francese era la fastidiosa concessione della “libertà d’espressione a tutte le false religioni”. Nel settembre 1969, con il “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”, lanciò il suo grido di angoscia per la grave ipoteca che idee troppo “moderne” costituivano sul futuro della religione cattolica e sulla sua stessa sopravvivenza.

La chiesa del primo decennio del ventunesimo secolo sembra dunque aver abbracciato pienamente la visione oscurantista ed illiberale della fede e della vita che fu di Lefebvre. Si pensi alle bordate di Ratzinger contro i monoteismi “concorrenti”: islam ed ebraismo. Il 12 settembre del 2006, nel corso di una lezione all’Università di Regenburg in Germania, Ratzinger rispolverò le parole attribuite da un oscuro scritto del 1391 all’imperatore Manuele II il Paleologo: “Dimmi quali novità ha portato Maometto, e scoprirai solo cose malvagie e disumane, come il suo ordine di diffondere la sua fede sulla punta della spada”.

Con la liberalizzazione del messale tridentino (cioè pre-Concilio Vaticano II), concessa da Benedetto XVI con il motu proprio “Summorum pontificum” del 2007, Ratzinger di fatto ammetteva anche il ripristino, sia pure in versione edulcorata, della preghiera per gli Ebrei: benché, grazie alla “bontà” di Giovanni XXIII essi da qualche anno non vengano più definiti “perfidi”, e nonostante siano stati espunti espliciti riferimenti alle tenebre nelle quali essi si dibatterebbero per non aver riconosciuto l’unica vera fede, resta il fatto che la nuova versione di questa preghiera implora il Signore di “illuminare” i cuori degli ebrei “perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini”. Non c’è da meravigliarsi che i rapporti della chiesa con le altre fedi più importanti, già difficoltosi per motivi storici e contingenti, siano oggi caratterizzati da un momento particolarmente poco felice.

Dal punto di vista della Chiesa bisogna riconoscere che il ragionamento di Lefebvre si è rivelato lungimirante e realistico: per poter dispiegare efficacemente il suo potere repressivo e di controllo sugli individui e sulla società, infatti, ogni credo ha bisogno di essere imposto in maniera intransigente e di negare con forza (ed in qualche caso anche con violenza) le ragioni dell’altro da sé. Come pure, nella medesima prospettiva, è giusto guardare con sospetto ad ogni possibile concessione liberale (per quanto infinitesimale ed insignificante) e ad ogni forma di conoscenza relativista (ad esempio il mutuo riconoscimento tra diverse fedi, o l’ecumenismo): come avrebbe detto il songwriter americano Leonard Cohen, “attraverso le fessure entra la luce”; fuor di metafora, si rischia che gli uomini scelgano un credo diverso, o anche nessun credo. Esattamente quello che le gerarchie monoteistiche vogliono evitare, costi quel che costi.

E’ ora chiaro che la mano che Ratzinger ha teso agli “scismatici” (a ben vedere più un’avanguardia che una setta di eretici) rappresenta una vittoria della destra cattolica: basti pensare alle dichiarazioni di don Davide Pagliarani, capo della comunità lefebrivana di Albano Laziale, al quotidiano La Repubblica del 25 gennaio: “(…) si è creato un clima favorevole alla Tradizione. La Tradizione fa parte del magistero della Chiesa.”

Più esattamente, qui si dovrebbe parlare di estrema destra, il cui pensiero non può che essere in sintonia con i “valori” strenuamente proclamati e difesi dalla Fraternità Sacerdotale di San Pio X (conosciuta anche con la sigla FSSPX, suggestiva, ma francamente più adatta ad un antivirus). A conferma di tutto ciò sta l’intervista che Richard Williamson, uno dei quattro vescovi riammessi dalla Chiesa cattolica, ha concesso ad Uppdrag Granskning, un programma della televisione svedese. Williamson che, anche in precedenti occasioni ha fatto proprie idee bizzarre e pericolose a base di cospirazioni giudaiche, ha detto al giornalista che “vi sono ben poche prove storiche del fatto che sei milioni di persone siano state soppresse nelle camere a gas come effetto di una deliberata scelta politica di Adolf Hitler. Io non credo vi fossero camere a gas. Due o trecentomila Ebrei morirono in campi di concentramento nazisti, ma nessuno di loro nelle camere a gas”. Ed ancora: “Le idee antisemite sono un male solo se sono contrarie alla verità. Ma se c’è qualcosa di vero, non possono essere male”. Per inciso, l’intervista è stata effettuata a Regensburg, la città dove ha insegnato l’attuale papa, e dove ha tenuto il suo urticante sermone anti-islamico del 2006.

Uppdrag Granskning rivela inoltre che, in Svezia, molti membri di FSSPX hanno legami politici con movimenti politici di estrema destra come i Nazionaldemocratici, il Movimento 30 novembre e il Nuovo Movimento Svedese. Jonas de Geer, fondatore di FSSPX in Svezia, è stato portavoce dei Nazionaldemocratici ed è intervenuto al Festival Nordico, uno dei più importanti raduni neonazisti svedesi.

A quanto sembra, però, le uscite del vescovo britannico non scompongono più di tanto l’aplomb vaticano: padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, ha insistito sul fatto che la revoca delle scomuniche non ha niente a che vedere con le “opinioni” di Williamson sull’Olocausto; dal canto suo, Pagliarani, capo dei lefebvriani, si trincera dietro la sua ipocrisia: al telegiornale ha detto di non potersi pronunciare sull'esistenza delle camere a gas in quanto non è uno storico [sic!] e si intende solo di questioni dottrinali.

E’ naturale domandarsi, come ha fatto il matematico Giorgio Israel, “se sia più grave dal punto di vista morale il dissenso degli “eretici nei confronti del Concilio Vaticano II o quanto ha dichiarato il vescovo Williamson”. Ma per il papa, specie in questi tempi infestati di laicismo, sembra che ogni compromesso sia accettabile pur di ricondurre all’ovile un milione di pecorelle smarrite (questa la potenza di fuoco dichiarata dai seguaci di Lefebvre). Il fine giustifica i mezzi. E anche i mezzucci.