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di Carlo Benedetti

Incredibile ma vero, toccherà proprio al veterocomunista Aleksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, gestire l’avvicinamento del papa di Roma a Mosca. E come prima tappa di questo dialogo del secolo tra l’ortodossia degli slavi e il mondo vaticano, l’esponente di Minsk mette a disposizione la sua capitale per consentire l’incontro tra Ratzinger e il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill. Sarà - se tutto procederà secondo i piani prestabiliti - un avvenimento epocale, perché a vincere sarà stato proprio lui, il “demone” dell’Europa centrale, che sino a questo momento è descritto come un dittatore, un antidemocratico, un residuo dell’antico stalinismo. Tutto prende avvio con la missione in Italia di Lukashenko. Il suo arrivo coincide con un fuoco di accuse e di colpi bassi. La stampa - quella di regime in primo luogo - lo bolla senza mezzi termini e senza far caso ai passi di piombo della Farnesina. L’ospite è presentato come “ateo dichiarato” e additato come ”l´ultimo dittatore dell’ex impero sovietico”. E sulla tribuna degli accusatori sale Javier Solana, il quale manda a dire che Lukashenko è il responsabile dell’isolamento della Bielorussia perché a capo di un sistema “non europeo, sotto il profilo del rispetto della democrazia e dei diritti umani”. E botte da orbi sul leader di Minsk arrivano anche dal Corriere della sera che parla di “tiranno”. Ma nonostante questa campagna c’è qualcosa di nuovo che sta venendo avanti a testimonianza di una certa svolta che fa pur sempre maturare nuove convinzioni.

E veniamo alla missione bielorussa vera e propria. Lukashenko arriva in Italia dopo che le diplomazie hanno raggiunto una serie di accordi ben precisi. Per il Presidente di Minsk - attraverso una graduale correzione di regole e comportamenti - si annuncia e si realizza un programma di tutto rispetto caratterizzato dallo storico incontro con il Papa. E qui il leader bielorusso ottiene una benedizione destinata a far salire la sua autorità in tutto l’Est. La scenografia lo aiuta. Giunge in Vaticano tenendo per mano suo figlio Nikola, un bimbo biondo di cinque anni, e subito - dopo aver donato al Pontefice un'icona di Gesù realizzata con materiali tradizionali, come paglia e legno - lo invita in Bielorussia, chiosando “se Dio vorra”.

E così il presidente, in questo suo primo tour diplomatico dopo anni d’isolamento, mostra il volto quieto di un padre, incoraggiando il dialogo tra cattolici e ortodossi. Papa Ratzinger gli concede ben 25 minuti di colloquio privato: non è poco per essere il capo di un piccolo Stato, ma non abbastanza, tuttavia, per essere interpretato necessariamente come un’apertura di credito. Il Papa, si sa, riceve tutti i capi di Stato e il comunicato finale non si sbilancia troppo nei giudizi. Le conversazioni - si legge nella nota ufficiale diffusa dalla Santa Sede dopo l’incontro - si sono svolte in un “clima positivo”. Al centro dei colloqui le “questioni attinenti al rapporto tra fede e ragione e al dialogo interconfessionale e interculturale”, oltre a “temi di carattere internazionale legati alla promozione della pace e dell´autentico progresso dell´umanita”. Sono state affrontate, inoltre, specifica il comunicato, “alcune problematiche interne del Paese, argomenti concernenti la Chiesa cattolica in Bielorussia e le prospettive di approfondimento della collaborazione tra le due parti”.

Per Lukashenko è un successo. Che insieme al colloquio con Berlusconi rivela nuovi ed importanti passi della diplomazia di un paese che sembrava ignorato. “Berlusconi - dice alla stampa il bielorusso - è pronto a visitare il nostro Paese e si spera in autunno, ma poi preciseremo la data attraverso i canali diplomatici". Intanto, salutandosi, i due rendono noto che si rivedranno a Praga il 7 maggio in occasione del primo vertice tra l'Unione Europea e la Partnership orientale.

Lukashenko rientra così nella sua cittadella nel cuore dell’Europa con un risultato che lo accrediterà ulteriormente presso il Patriarcato di Mosca. Sarà lui il traghettatore che porterà i capi delle due chiese a dialogare. Un obiettivo che il Cremlino aveva cercato di raggiungere più volte trovando sempre la Chiesa ortodossa attestata sul fronte del “niet”. Qualcosa, invece, si muove nel palazzo del Patriarca. Anche grazie al “demone” Lukashenko.