Il grande Occidente preoccupato di organizzare i funerali al "comunismo
di stampo sovietico" si trova a fare i conti con un altro comunismo. E'
quello della Cina Popolare che, dal marzo 2005, è guidata dall'ingegner
Hu Jintao, un manager prestato alla politica che sta sempre più condizionando
la geometria delle relazioni internazionali. Perché il "sistema"
attuale di Pechino ha scelto nuove tattiche e nuove forme d'intervento. Accetta
le regole del capitalismo liberista, favorisce la penetrazione di capitali stranieri,
non crea cortine di ferro e, soprattutto, scende in campo con i suoi prodotti
che non sono solo materie prime. In tal senso si deve parlare di una ciclopica
inversione di tendenza rispetto alle linee tradizionali di quella che era l'economia
centralizzata sovietica. Allora c'era una decisa autarchia. I paesi dell'Est
vendevano gas, petrolio, acciaio, minerali, legname. Una "pratica"
che li ha portati al collasso, ma che è ancora valida per la grande Russia.
Pechino, invece, ha scelto strategie completamente diverse ed inedite per la
tradizione statale "comunista". Hu Jintao sfida l'ovest sul piano
della produzione con un grande sviluppo dell'import, ma soprattutto con un deciso
attacco sul piano dell'export. Si presenta manager moderno e spregiudicato,
non coinvolto nella Rivoluzione culturale, moderato e allo stesso tempo modernizzatore.
Tutto questo pur avendo alle spalle una biografia di duro formatosi nella difficile
regione del Tibet. E' lui, quindi, il vero timoniere del miracolo cinese. E
si deve a lui l'avvio di una filosofia globale relativa alla formazione di relazioni
di nuovo tipo tra grandi realtà asiatiche: Cina in primo luogo e poi
India e Russia, paese questo che è parte notevole dell'Asia, dagli Urali
al Pacifico. L'avvio di questa grande operazione geostrategica (pur se caratterizzata da
processi economici e commerciali molto complessi) è avvenuto a Vladivostok,
una città-chiave dell'Oriente russo - affacciata sul Mare del Giappone
- dove si sono ritrovati i dirigenti dei ministeri degli Esteri delle tre potenze:
il russo Lavrov, il cinese Li Chjaosin e l'indiano Natvar Singh.
Un incontro di tipo particolare pur se non inedito. Perché sono numerose
le occasioni di colloquio tra le dirigenze di Pechino, di Mosca e di Delhi.
Tenendo anche conto che la Cina - dal dicembre 2001, quando avviò il
processo di adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) - si è
imposta un'apertura globale al suo mercato interno. Ci sono stati scambi d'opinioni
in sedi internazionali: nel 2002 e 2003 a New York durante l'Assemblea generale
dell'Onu e nel 2004 ad Alma Ata durante una manifestazione sulla cooperazione
in Asia. Ma questa volta il vertice ha assunto un carattere particolare, pur
senza nessuna pretesa di formalizzare la riunione. Tanto che non si è
parlato di un'istituzionalizzazione della "trojka", ma si è
lasciato alla realtà dei fatti il giudizio delle diplomazie mondiali.
Ed è stata la parte indiana ad evidenziare il valore che avranno le nuove
relazioni. Natvar Singh ha infatti posto l'accento sulla possibilità
di sviluppo dei legami economico-commerciali e tecnico- scientifici e sulla
prospettiva dell'accesso al petrolio e al gas russo. Gli ha risposto il collega
russo Lavrov, ribadendo che Mosca e Delhi hanno comuni punti di vista sulle
questioni dello sviluppo economico bilaterale. E il cinese Li Chjaosin ha sottolineato
con forza l'importanza della collaborazione economica. Tutti e tre hanno poi
espresso fiducia in un mondo multipolare.
Si può quindi ritenere che da Vladivostok è venuto un impegno
alla collaborazione tra i tre paesi che hanno confini comuni in un'area strategica
qual è l'Asia Centrale. E a questo va aggiunto che tutti hanno concordato
su alcune valutazioni nel quadro della diplomazia internazionale. Ricordando,
in proposito, che l'India, come Stato federale, punta alla qualifica di membro
permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU con diritto di veto (insieme
a Germania, Brasile e Giappone). La Cina, dal canto suo, sostiene l'iniziativa
indiana, ma è contrario all'idea di conferire il diritto di veto a eventuali
nuovi membri del Consiglio e non vuole avallare l'ingresso del Giappone nel
Consiglio ONU.
Secondo il russo Lavrov, invece, le posizioni di Pechino e Mosca "sono
molto simili fino a coincidere per quanto riguarda il problema della riforma
dell'ONU, sulla base di un accordo più ampio". Quanto poi alle scelte
strategiche di politica economica e commerciale, che dovrebbero caratterizzare
il "Polo asiatico" a Vladivostok i tre ministri - pur senza entrare
nei dettagli "tecnici" - hanno individuato vari programmi su cui lavorare.
RUSSIA
Mosca - pur vivendo in una situazione generale che è ancora di transizione
- prevede un ulteriore sviluppo generale delle sue regioni asiatiche con un'attenzione
particolare ai rapporti con Cina ed India. E non è un caso se oggi è
proprio la città di Vladivostok a divenire la "capitale" del
polo asiatico. Il Cremlino punta molte delle sue carte sulle zone di Chabarovsk
e di Blagovescensk, rafforzando la rete ferroviaria della famosa "Transiberiana".
E ancora: vede nell'India e nella Cina paesi dove le sue merci possono trovare
nuovi mercati. Non solo, ma uno degli obiettivi di Mosca consiste anche nell'ottenere
dalla Cina un contributo reale in termini di manodopera per la valorizzazione
delle terre siberiane.
INDIA
Il Paese è ancora un labirinto di caste, pregiudizi e superstizioni.
Ma è anche una gran potenza economica che si sviluppa in un regime di
democrazia "contagiando" a poco a poco le regioni limitrofe. Vuole
essere - come disse il suo presidente Saankar Dayal Sharma - "una terra
di pace, armonia e giustizia sociale". Per ottenere tutto ciò deve
sviluppare rapporti interasiatici di gran livello. Offrendo il meglio delle
sue potenzialità intellettuali e ricevendo, in cambio, prodotti e tecnologie.
E non è un caso se già con la Russia e la Cina sono molte le joint-venture
avviate nei settori dell'alta tecnologia(aeronautica, elettromeccanica, biotecnologie,
informatica)che hanno i loro centri nella regione della "Silicon valley"
indiana, quella compresa tra Hyderabad e Bangalore. L'India sta riguadagnando
terreno grazie a un approccio molto pragmatico e lineare. Al vertice di Vladivostok,
comunque, l'India si è mostrata più cauta di Pechino. E questo
è dovuto al fatto che Washington non ha rotto i ponti con Delhi: ha in
pratica deciso di scommettere sull'India proprio in chiave anticinese promettendo
di contribuire allo sviluppo del suo nucleare civile.
CINA
La strategia attuale del pragmatico Hu Jintao è orientata verso Mosca.
Ma l'attenzione non riguarda tanto la vita politico-diplomatica del Cremlino,
quanto le realtà economiche e politiche delle regioni di frontiera. Ed
anche in questo caso è il settore del petrolio ad attirare gli interessi
cinesi, poiché la loro domanda è, attualmente, di circa 6,5-7
milioni di barili al giorno. Sono, infatti lontani i tempi del 1993, quando
la Cina era nota come esportatrice di petrolio. Ora si sa già che nel
2020 il Paese dovrà importare il 50% del petrolio che consumerà
(11 milioni di b/g, cioè quanto oggi gli Usa attingono all'estero). La
Cina - sempre al vertice di Kabarovsk - ha ricordato a tutti di contare sull'Organizzazione
per la cooperazione di Shanghai (Ocs) proprio per rafforzare la sua spinta espansiva
verso ovest -attraverso l'Asia centrale - che considera come la sua principale
periferia strategica esterna. E qui le ex repubbliche sovietiche di Kazakstan,
Uzbekistan, Kirghisia e Tagikistan sono ritenute come aree di influenza privilegiata.
Su di esse dovrebbe poggiare lo sviluppo della regione cinese del Xinjiang.
Sempre per Pechino ci sono poi in ballo altri fattori che scaturiscono dal trionfo
di quella linea generale che invita la popolazione ad "arricchirsi"
(una sorta di bucharinismo alla cinese...) con la conseguente necessità
di offrire sempre nuovi prodotti e nuove possibilità. In tal senso l'alleanza
con Mosca è strategicamente più affidabile che un rapporto con
il Giappone.
Delle questioni evidenziate a Vladivostok gli osservatori e gli storici non mancano di ricordare che l'idea di un polo asiatico era stata, negli anni passati, una proposta avanzata da Mosca. Fu il ministro degli Esteri della Russia, Evghenij Primakov, che nel 1998 propose per primo l'idea dell'avvicinamento tra russi, indiani e cinesi. Si parlò allora di una sorta di gesto di disperazione, vista l'impossibilità di contrastare l'operazione della NATO in Yugoslavia. E si disse anche che l'eventuale collaborazione tra i tre paesi poteva essere vista come una specie di antidoto contro il dominio statunitense del mondo. In realtà Primakov - analista di razza - aveva visto molto lontano. Ricordando a tutti che, spesso, in diplomazia prevalgono le terminologie tipiche della fisica e della geometria. Appunto: poli e triangoli tutti capaci di favorire processi di sviluppo in zone economiche sperimentali, unite dalla volontà di eliminare gli squilibri territoriali tra aree ricche e aree povere. Mettendo, soprattutto, un freno ai privilegi e agli investimenti selvaggi. Questa l'indicazione uscita dal vertice trilaterale di Vladivostok. Ed è forse l'inizio di qualcosa destinato a cambiare gli equilibri geopolitici.