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Categoria: Esteri
di mazzetta

Nelle ultime settimane la capitale somala, Mogadiscio, è stata teatro di sanguinosi scontri. Scontri come da anni non se ne vedevano e che nascono dal tentativo di alcuni signori della guerra, legati nell'Alleanza per la Pace Contro il Terrorismo (Arpct), di cacciare dalla capitale i gruppi identificati come aderenti alle Corti Islamiche. Nell'impotenza del Governo Federale Transitorio, che ha dovuto insediarsi a Baidoa perchè a Mogadiscio non c'era sicurezza ( cioè non lo voleva nessuno) e dell'IGAD (Inter-Governmental Authority on Development, un'autorità costituita dai paesi africani per aiutare la costituzione di un governo formata da Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Sudan, Uganda e Somalia ), i combattimenti sono andati crescendo fino a provocare qualche centinaio di morti ( in gran parte civili non combattenti) e feriti in proporzione. Inutile è risultata una affollata dimostrazione di protesta da parte degli abitanti "civili" di Mogadiscio per chiedere la cessazione degli scontri, inutile si è rivelato anche l'ennesimo appello dell'ONU a far tacere le armi e a cercare un accordo che mettesse fine agli scontri; i più gravi dai tempi della fallita missione Restore Hope.

Negli ultimi anni la Somalia sembrava avviata verso la ricostituzione di una parvenza di autorità statuale - l'ultimo governo somalo risale al 1991 - e si era raggiunto uno status quo sul terreno che consentiva almeno la convivenza senza grosse esplosioni di violenza. Ma negli ultimi mesi l'Alleanza Contro il Terrorismo ha deciso di dare battaglia per espellere dalla capitale i gruppi legati alle Corti Islamiche, aprendo di fatto un conflitto che supera le tradizionali distinzioni tra clan e si trasforma di fatto in una guerra civile che chiama anche gli indifferenti a schierarsi per l'una o per l'altra fazione.

Come si sia arrivati a un tale stato dei fatti non è un mistero, Washington ha ammesso di fornire assistenza ad alcuni warlords, mentre il gruppo dell'ONU chiamato a monitorare l'embargo delle armi alla Somalia (che dura da 15 anni) ha rivelato che Gibuti, Eritrea, Etiopia, Italia, Arabia Saudita e Yemen hanno violato l'embargo fornendo armi a diverse fazioni somale (Gibuti e Yemen solo al governo). Il rapporto è stato seguito da lettere di sdegnata smentita da parte di tutti i governi chiamati in causa, ma è chiaro da anni che in Somalia le diverse fazioni possono contare ciascuna su aiuti esterni, provenienti da paesi che hanno ciascuno una propria agenda sul futuro della Somalia, spesso in contrasto con le posizioni che appoggiano ufficialmente nelle sedi internazionali.

Il ministro della Sanità somala ha accusato esplicitamente Washington di fomentare gli scontri fornendo assistenza all'Alleanza Contro il Terrorismo, mentre il governo ha invitato a presentarsi a Baidoa entro una settimana i due signori della guerra che farebbero parte del governo, i ministri della Sicurezza nazionale, Mohamed Qanyare, e del Commercio, Muse Sudi Yalahow, e che, incidentalmente certo, sono a capo dell'Alleanza anti-terrorismo.

Washington nel frattempo ha ammesso il sostegno a forze locali (non citando l'Arcpt) al fine di impedire il radicamento di al Qaeda nel paese, ricordando che l'amministrazione USA "continuerà a lavorare al fianco di partner regionali e internazionali, ovunque possibile, per reprimere il terrorismo e tentare di impedire una sua ascesa". Mentre l'IGAD ha espresso le sue preoccupazioni per interventi (da parte di Washington ndr) "non coordinati", la Somalia si avvia di nuovo ad imboccare la spirale della violenza e Mogadiscio si candida nuovamente a diventare città martire della guerra americana al terrorismo. I fragili equilibri raggiunti attraverso anni di colloqui e di accordi sono ora spazzati via dall'irruzione degli strateghi americani, che ancora una volta non hanno esitato a scatenare una guerra civile in nome della War on Terror.