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Categoria: Esteri

di Eugenio Roscini Vitali

Nel Neghev occidentale il cessate il fuoco unilaterale annunciato nella notte di giovedì dai jihadisti della Striscia di Gaza non è durato che poche ore: ad interropere la fragile tregua è stato un missile Grad BM21 esploso alle prime ore dell’alba in un’area disabitata a sud di Ashkelon, la città portuale situata lungo la costa mediterranea di Israele; altri sei Grad sono poi caduti nelle vicinanze di Ofakim e Sderot e sulla periferia di Be’er Sheva dove l’esplosione ha causato la morte di un civile di trent'anni  e il ferimento di altri otto, due dei quali in modo grave.

Tra mercoledì e giovedì sera le fazioni combattenti palestinesi avevano forzato la mano colpendo con almeno 38 razzi Qassam e proiettili di mortaio pestato le zone agricole dei consigli regionali di Eshkol e Sha’ar HaNegev, attacchi nei quali era rimasta ferimento una bambina di nove mesi e che avevano prodotto ingenti danni alle strutture del valico di frontiera di Erez. Durante la successiva azione israeliana gli F15 dell’IAF(Israel Air Forces) avrebbero poi bombardato le rampe di lancio di Al-Maghazi e Beit Lehiya ed ucciso due membri delle Brigate Al-Quds, braccio armato del Movimento per la Jihad islamica in Palestina.

Dallo scorso week-end sarebbero almeno 26 le vittime palestinesi delle operazioni aeree israeliane: tra loro Abu Awad An-Nayrab, personaggio di spicco delle Brigate Al-Quds; Moataz Qouriqa, responsabile del braccio armato della Jihad islamica, colpito a morte nel campo profughi di Al-Bureij  insieme al fratello Munzer e al figlio di 5 anni; Samed Muti Abed, esponente dei Comitati di Resistenza popolare e tra i principali organizzatori del blitz a nord di Eilat. Dal 18 agosto scorso, giorno del triplice attentato, sul sud dello Stato ebraico sarebbero caduti più di 150 razzi, un’offensiva alla quale Israele ha risposto con un massiccio utilizzo del sistema di difesa antimissile Iron Dome e con non meno di 60 sortite aeree.

Giorno dopo giorno la Striscia di Gaza ha subito i bombardamenti dei caccia e dei droni israeliani: colpiti i centri abitati di Khan Younis, Beit Lahiya, Beit Hanoun e Rafah; centrati il campo profughi di Al-Maghazi, Al-Bureij e Al-Nuseirat e i quartieri centrali della stessa Gaza City. Secondo il Centro palestinese per i diritti umani (PCHR), tra gli abitanti di Gaza ci sarebbero anche otto persone rimaste vittime dal così detto “fuoco amico”: tre uomini, tre donne e due bambini feriti dai razzi jihadisti caduti per errore sui villaggi di Deir Al-Balah e al-Shouka e sui nei quartieri orientali di Al-Shuja'ya e Al-Toffah a Gaza City.

Concordato domenica 21 agosto dai rappresentanti di Hamas e Israele, il primo cessate il fuoco era stato subito disatteso dal lancio di sedici razzi sparati dai miliziani delle Brigate Al-Quds sulle zone periferiche di Eshkol, Sderot, Ashkelon  e Be’er Sheba. La seconda tregua, alla quale avrebbero dovuto aderire tutti i gruppi armati della Striscia di Gaza, era stata invece il risultato di un’iniziativa unilaterale della Jihad islamica, lo stesso gruppo che a meno di 48 ore dall’ultima violazione ha deciso di riproporre un nuovo cessate il fuoco. In un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Ma’an il leader del movimento jihadista a Gaza ha dichiarato che l’escalation del conflitto non potrebbe che danneggiare la popolazione della Striscia e mettere a rischio la vita dei stessi leader delle fazioni armate.

Dawood Shibab è infatti convinto che tra gli obbiettivi  israeliani c’è quello di decapitare i vertici delle organizzazioni combattenti; ipotesi avvalorata da un reportage pubblicato dal quotidiano Al-Ahram nel quale si parla di un piano che sarebbe dovuto scattare in seguito agli attentati del 18 agosto scorso e di una mediazione egiziana per impedire l’assassinio dello stesso primo ministro Ismayl Haniyeh.

A poco più di una settimana dagli attacchi a nord di Eilat, il Cairo e Tel Aviv hanno concordato un aumento della presenza militare egiziana nel deserto del Sinai. Diventata la sponda logistica delle formazioni armate che operano a Gaza, la penisola è in gran parte controllata dai trafficanti e dalle bande armate, cresciute soprattutto grazie alla presenza di decine di jihadisti scappati dalle prigioni egiziane durante la rivolta contro Mubarak. Le frange più dure avrebbero dato vita al movimento Al-Shabab Al-Islam, gruppo salafita vicino alle posizioni di Al-Quaeda, ma nel Sinai si parla della presenza di personaggi storici del terrorismo internazionale come Rafa’i Ahmed Taha, Alì Abu Faris e Ramzi Mahmoud Al Munafi, ex dottore di Bin Laden.

Per combattere il contrabbando di armi e la nebulosa collaborazione che lega questi gruppi alle formazioni palestinesi, l’esercito egiziano starebbe addirittura negoziando con i capi delle tredici tribù beduine che abitano la penisola. In cambio di un accordo che prevede la protezione del confine con Israele il Cairo sarebbe pronto ad offrire armi, addestramento e il pagamento di un assegno mensile. Due le tribù che avrebbero già aderito: la Sawarkas, che ha il controllo dell’area che dalla Philadelphi Route arriva fino alle coste mediterranee del Sinai, e la Tiyaha, che dal posto di confine di Nitzana si addentra fino alla zona centrale della penisola.