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Categoria: Esteri

La discussione tra Russia e Stati Uniti attorno al rinnovo dell’ultimo trattato bilaterale rimasto in piedi contro la proliferazione delle armi nucleari ha subito mostrato questa settimana tutti gli ostacoli che attendono i delegati delle due potenze. L’atteggiamento americano è ancora una volta l’ostacolo principale a un possibile accordo.

I calcoli strategici di Washington sono infatti in piena evoluzione e minacciano di riservare al cosiddetto “New START” la stessa sorte già toccata a un lungo elenco di altri trattati abbandonati negli ultimi anni dal presidente Trump e dai suoi predecessori.

 

Il “New Strategic Arms Reduction Treaty” era stato ratificato nel 2011 sotto l’amministrazione Obama e sostituiva tutti i precedenti trattati sulla riduzione delle testate nucleari (SORT, START I e START II), implementati o meno. Il “New START” scadrà nel febbraio del 2021, a meno di un prolungamento di altri cinque anni attraverso un meccanismo che, una volta raggiunta l’intesa a livello governativo, non richiede l’approvazione dei parlamenti dei due paesi.

Il trattato impegna Russia e Stati Uniti a ridurre considerevolmente le testate nucleari strategiche attive a loro disposizione, così come le piattaforme di lancio, cioè dalle circa 6000 che contano i rispettivi arsenali a non più di 1.550. Oltre a una serie di altre condizioni, il “New START” consente anche ispezioni periodiche reciproche per verificarne il rispetto.

Il trattato è chiaramente un affare bilaterale tra le due principali potenze nucleari del pianeta, ma gli Stati Uniti insistono nel coinvolgere la Cina nelle trattative per un possibile rinnovo. Questa insistenza, evidente da una vera e propria sceneggiata orchestrata dalla delegazione USA lunedì all’apertura dei colloqui a Vienna, fa in modo che le trattative abbiano fin da ora scarsissime prospettive di successo.

Pechino ha fatto sapere da tempo di non avere alcun interesse a discutere con Washington e Mosca delle proprie armi strategiche nucleari. La ragione è presto spiegata. Il numero delle testate della Repubblica Popolare non arriva a 300, così che, com’è ovvio, non avrebbe alcun senso trattare su una limitazione dell’arsenale nucleare cinese in presenza di tali differenze. Tanto più se si considera l’escalation militare degli Stati Uniti in Asia orientale in funzione appunto di contenimento della crescita cinese.

Il governo americano ha comunque tutta l’intenzione di trasformare i negoziati sul “New START” in una nuova operazione di propaganda contro Pechino, col risultato quasi certo di affondare il trattato stesso. In un’azione emblematica delle intenzioni degli Stati Uniti, fortemente criticata dalla Russia, i rappresentanti dell’amministrazione Trump lunedì hanno disposto alcune bandierine cinesi al tavolo dei negoziati di fronte a postazioni vuote. Il capo della delegazione USA, il sottosegretario di Stato Marshall Billingslea, ha poi postato l’immagine su Twitter, accompagnandola con un commento totalmente fuorviante per denunciare l’assenza della Cina da un vertice con cui nulla ha a che fare.

La mossa si è però trasformata in un boomerang. Un giornalista della testata China Daily ha risposto alla provocazione con un tweet nel quale ricordava la totale assenza di credibilità degli Stati Uniti, usciti unilateralmente da parecchi accordi internazionali, da quello sul nucleare iraniano a quello sul clima di Parigi. Lo stesso reporter ha poi invitato Washington a dichiarare la disponibilità a ridurre le proprie testate nucleari a un numero simile a quello dell’arsenale di Pechino prima di chiedere il coinvolgimento della Cina nei negoziati.

Viste le premesse, non è sorprendente che le aspettative di Mosca sul “New START” siano tutt’altro che ottimistiche. Il vice-ministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha ammesso in un’intervista a NBC News di non credere che gli Stati Uniti finiranno per prolungare il trattato. Il diplomatico russo non ha mancato di far notare come il tentativo di coinvolgere la Cina nei colloqui in corso sia del tutto assurdo, come lo è la richiesta fatta da Washington a Mosca di insistere con Pechino affinché partecipi ai negoziati sulla riduzione delle testate nucleari.

Ryabkov ha invitato piuttosto la Casa Bianca ad adoperarsi direttamente con la Cina, se nutre preoccupazione per le attività nucleari di questo paese, mentre ha attribuito alla vera e propria “ossessione” americana per Pechino l’impossibilità di fare progressi verso la ratifica di un nuovo trattato.

Un’identica “ossessione” ha già portato nel recente passato alla fine di un altro importante trattato tra Russia e Stati Uniti, quello sulle Forze Nucleari Intermedie (INF), risalente al 1987 e abbandonato in primo luogo per gli svantaggi strategici nei confronti di Pechino che il rispetto di esso da parte americana avrebbe comportato. La ragione ufficiale del boicottaggio dell’INF erano le presunte violazioni attribuite a Mosca, ma in realtà gli USA lamentavano le restrizioni che il trattato imponeva allo sviluppo e al posizionamento di missili intermedi per contrastare i progressi in questo ambito soprattutto della Cina.

Il fatto che le trattative sul “New START” siano probabilmente morte sul nascere non porta in ogni caso vantaggi all’immagine internazionale degli Stati Uniti, per non parlare di quelli sul piano strategico, legati in primo luogo alla perdita della possibilità di condurre ispezioni reciproche. La completa inaffidabilità di un governo che intende imporre i propri interessi in modo unilaterale, disonesto e spesso al di fuori del diritto internazionale è risultata evidente ancora una volta a tutta la comunità internazionale.

Il Cremlino non ha da parte sua fatto sconti e ha colto la palla al balzo per denunciare il comportamento americano. La portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha ricordato ad esempio come “gli USA siano impegnati nel distruggere qualsiasi accordo sulla non proliferazione e il controllo degli armamenti degli ultimi cinquant’anni: ritiro dal trattato ABM [Anti Missili Balistici], uscita dal JCPOA [Accordo sul nucleare iraniano], distruzione del trattato INF, piani di ritiro dal trattato Open Skies [Cieli Aperti] e nessun piano per il prolungamento del New START”.

L’uscita dall’ABM, sottoscritto nel 1972, fu decisa dal presidente George W. Bush nel 2002. Il trattato “Open Skies” del 2002 include invece 34 paesi e garantisce a ognuno di essi la libertà di condurre operazioni di osservazione negli spazi aerei degli altri firmatari, in modo da promuovere apertura e trasparenza delle rispettive attività militari. L’amministrazione Trump ha annunciato il prossimo abbandono del trattato da parte del suo paese lo scorso mese di maggio.

Anche la sorte del “New START” sembra dunque segnata e il possibile crollo nel prossimo futuro dell’ultimo elemento rimasto del sistema condiviso di controllo degli armamenti nucleari rischia di aprire la strada a una nuova proliferazione. Questo scenario è d’altronde coerente con gli obiettivi strategici degli Stati Uniti, sempre più orientati a rafforzare il proprio potenziale militare nel tentativo disperato di invertire l’inevitabile declino internazionale, illudendosi che ciò possa agire da deterrente delle ambizioni dei paesi rivali, come la Russia e, soprattutto, la Repubblica Popolare Cinese.