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I media “mainstream” di mezzo mondo si stanno affannando nelle ultime settimane per sciogliere il mistero della ex tennista professionista cinese, Peng Shuai, la cui libertà, se non la stessa integrità fisica, sarebbe messa in serio pericolo dal regime di Pechino. La 35enne Peng, secondo la versione ufficiale, sarebbe stata presa di mira per avere denunciato un abuso sessuale subito da un potente uomo politico cinese con cui aveva avuto una relazione. La realtà che emerge dai fatti di dominio pubblico di questa vicenda, in gran parte resi noti dalla stessa Peng, disegnano però uno scenario ben diverso, nel quale non sembrano esserci non solo prove ma nemmeno accuse di stupro, né tantomeno della presunta minaccia che incomberebbe sulla ex tennista.

 

L’intera storia rappresenta un altro esempio di come la stampa ufficiale, soprattutto americana, manipoli determinate notizie, gonfiandone alcuni aspetti all’apparenza per nulla controversi, così da alimentare campagne politiche già in atto o ancora da lanciare, che a loro volta combaciano con le mire strategiche dei governi per i quali questi stessi media agiscono spesso da organi di propaganda. Per quanto riguarda il caso di Peng Shuai, l’obiettivo di giornali come il New York Times, prevedibilmente tra i più attivi nell’alimentare i sospetti, è ancora una volta di screditare il governo cinese, proprio mentre sta prendendo quota l’ipotesi di una qualche forma di boicottaggio delle Olimpiadi invernali, in programma a Pechino il prossimo mese di febbraio.

Il “caso” era esploso il 2 novembre scorso, quando sull’account ufficiale della Peng sul social cinese Weibo era stato pubblicato un resoconto della relazione sentimentale, da poco terminata, tra quest’ultima e Zhang Gaoli. L’importante uomo politico cinese, oggi 75enne, aveva fatto parte tra il 2012 e il 2017 del comitato permanente del Politburo del Partito Comunista Cinese, ovvero il più alto organo decisionale di questo paese. Il lungo post scritto dalla Peng era stato rimosso solo dopo pochi minuti dalla pubblicazione, ma in rete è continuato a circolare lo “screenshot” e la traduzione integrale in inglese è tuttora disponibile su vari siti.

La ex tennista raccontava di come un decennio fa i due avessero avuto una relazione scaturita da un rapporto sessuale consensuale, fino a che Zhang, una volta promosso a membro del comitato permanente del Politburo, aveva deciso di interromperla, verosimilmente per evitare le ripercussioni negative che avrebbe avuto la rivelazione di un legame extraconiugale per un uomo politico del suo calibro. Dopo il ritiro dalla politica, tuttavia, Zhang aveva ricontattato la ex amante, che racconta come circa tre anni fa era stata da lui invitata a disputare una partita di tennis in un hotel di Pechino.

All’incontro era presente anche la moglie di Zhang e, dopo il tempo passato sul campo da tennis, la Peng era stata ospitata nell’abitazione dell’ex politico cinese. Qui, raccontava ancora la Peng, i due si erano appartati nella camera da letto di Zhang, ma quel pomeriggio i suoi tentativi per avere un rapporto sessuale erano stati respinti. La Peng aveva poi accettato l’invito per la cena, cosa già improbabile se le avances di Zhang fossero state particolarmente aggressive.

Ad ogni modo, arrivando alla circostanza più delicata della vicenda, la Peng era rimasta emotivamente molto scossa dalle proposte di Zhang, chiaramente per via del legame che li aveva uniti in passato, e alla fine della serata, in seguito all’insistenza di quest’ultimo, aveva acconsentito ad avere un rapporto sessuale. Nel post su Weibo, la Peng scrive appunto dell’insistenza del suo ex amante, ma anche di essere stata “d’accordo” nel trascorrere la notte con Zhang. Inoltre, e anche in questo caso l’evolversi della situazione sarebbe sorprendente se fosse accaduto qualcosa di simile a uno stupro, da quel giorno i due avrebbero ripreso a frequentarsi clandestinamente fino alla nuova recente brusca interruzione del rapporto da parte di Zhang.

Le disavventure sentimentali di Peng Shuai sono state dunque raccolte tempestivamente dalla stampa occidentale che, senza nessuna prova concreta, ha subito parlato di censura nella rimozione del post originale su Weibo e della sparizione preoccupante della ex tennista cinese. Alcuni giorni più tardi, il caso è stato ingigantito dall’intervento dell’associazione tennistica professionistica femminile (WTA), il cui presidente Steve Simon ha chiesto ufficialmente al governo cinese di aprire un’indagine sulle “accuse di stupro” avanzate dalla Peng. Nonostante la ex tennista non abbia mai rivolto apertamente nessuna accusa di questo genere a Zhang Gaoli, il numero uno della WTA ha rincarato la dose, invocando la stop della censura che le autorità di Pechino avrebbero imposto alla vicenda.

Ancora più significativa è stata poi la minaccia di cancellare tutti gli eventi tennistici femminili in calendario in Cina se la situazione di Peng Shuai non dovesse essere chiarita e se, più in generale, il paese non fosse in grado di garantire la sicurezza delle giocatrici. Quali siano le ragioni, in base al caso Peng, per cui le atlete che partecipano a tornei in territorio cinese dovessero ritrovarsi in pericolo non è dato sapere. L’isteria anti-cinese si è comunque allargata rapidamente, con la mobilitazione di accademici, organizzazioni a difesa dei diritti umani e tennisti di vertice uniti nel chiedere prove concrete dell’incolumità di Peng Shuai.

La campagna innescata in questo modo ha assunto tutti i contorni delle pseudo-battaglie condotte negli ultimi anni sotto la bandiera del cosiddetto movimento “#MeToo”, in sostanza una caccia alle streghe in nome dei diritti delle donne e contro la violenza ai loro danni che, quasi sempre senza nessuna prova, ha permesso ai promotori di raggiungere una serie di obiettivi: dal regolamento di conti negli ambienti del business, della politica, dello sport o dell’intrattenimento all’avanzamento degli interessi strategici di un determinato governo, fino al dirottamento delle tensioni sociali nel vicolo cieco delle politiche razziali e di genere.

Per il New York Times, ad esempio, il caso Peng avrebbe rotto il ghiaccio in Cina, facendo arrivare per la prima volta le accuse di molestie e abusi sessuali fino ai vertici dello stato e del partito. L’escalation delle accuse rivolte al governo cinese è oltretutto proseguita anche dopo la diffusione di immagini, di alcuni video e di una lettera della stessa tennista che hanno smentito la ricostruzione dei fatti promossa dai media occidentali. Subito dopo il coinvolgimento della WTA, la Peng aveva scritto un’e-mail al presidente Steve Simon smentendo le accuse di stupro e l’ipotesi che si fosse trovata in una situazione di pericolo. Peng Shuai chiedeva inoltre garbatamente alla WTA di verificare con l’interessata eventuali ulteriori dichiarazioni ufficiali circa la sua situazione.

La stampa occidentale e la WTA, tuttavia, hanno messo subito in dubbio questa lettera e sono circolate ipotesi sul fatto che la Peng non ne fosse l’autrice. Anche in questo caso non è chiaro da quali basi sia stata tratta una simile conclusione. Identico atteggiamento ha accompagnato la pubblicazione nel fine settimana di immagini che ritraevano la Peng nel corso di una cena in un ristorante e mentre assisteva a un torneo di tennis giovanile. I video sono circolati sui media cinesi per dimostrare la piena libertà della ex tennista, ma sono diventati invece motivo di ulteriori perplessità sui media ufficiali in Occidente.

A questi ultimi non è bastata nemmeno un’altra prova ancora più convincente, arrivata domenica dopo un colloquio tra la Peng e il presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), Thomas Bach. I due sono stati protagonisti di una video telefonata di 30 minuti, durante i quali la ex tennista, secondo la ricostruzione dello stesso numero uno del CIO, ha assicurato di essere “in salute” e “al sicuro nella sua abitazione di Pechino”. Ciò che la Peng desidera in questo momento, secondo Bach, è di vedere “rispettata la sua privacy” e di trascorrere del tempo “con famigliari e amici”. La presidente della commissione degli atleti del CIO, Emma Terho, era a sua volta presente alla telefonata tra la Peng e Bach e ha confermato che la ex tennista appariva “rilassata”. Il presidente del CIO l’avrebbe inoltre invitata a cena il prossimo gennaio quando si recherà a Pechino. La Peng ha accettato l’invito che include anche il membro del CIO per la Cina, Li Lingwei. Il colloquio telefonico, invece di rassicurare quanti erano in ansia per la sorte di Peng Shuai, ha al contrario provocato altro scetticismo.

I media occidentali hanno così proposto commenti di analisti e presunti esperti delle vicende cinesi per alimentare altri dubbi. Dopo la pubblicazione dei video citati in precedenza, Bloomberg News ha ad esempio citato il fondatore della società di consulenza Strategy Risks, Isaac Stone Fish, per il quale l’autenticità dei documenti filmati “non è stata oggetto di verifiche indipendenti” e, comunque, a suo dire “è lecito pensare che ci sia stato almeno un certo grado di coercizione” nei confronti della Peng. Ugualmente senza prove apparenti, anche la WTA ha affermato che il caso è ben lontano dall’essere risolto. Il presidente Steve Simon ha perciò ribadito la necessità di conoscere la situazione della ex tennista e la minaccia di cancellare gli eventi in programma in Cina. Anche la Casa Bianca e l’ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani hanno preso parte alla campagna, chiedendo notizie sullo stato di salute e sulla località in cui si trova Peng Shuai.

Le ragioni della nuova offensiva anti-cinese sono state ammesse più o meno apertamente dagli stessi media che sono in prima linea nell’alimentare dubbi sulla vicenda della Peng. Dal New York Times alla Reuters, da Bloomberg alla CNN, tutti hanno sottolineato come la controversia sulle accuse di violenza sessuale, peraltro mai formulate dalla diretta interessata, arrivi in un momento delicato per il governo di Pechino, il quale si sta preparando a ospitare i giochi olimpici invernali.

Con le tensioni tra Stati Uniti e Cina già alle stelle, la questione delle Olimpiadi e del possibile boicottaggio americano, quanto meno per quanto riguarda la delegazione del governo di Washington da inviare a Pechino, sta da qualche tempo occupando il dibattito pubblico. In particolare, questa ipotesi ha preso quota subito dopo il recente vertice in videoconferenza tra Joe Biden e Xi Jinping, conclusosi senza nessun risultato concreto ma segnato almeno da toni cordiali e dall’impegno a creare un qualche meccanismo per evitare il precipitare della situazione in uno degli ormai moltissimi fronti della rivalità tra le prime due potenze economiche del pianeta.