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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

Un Iran sempre più impenetrabile con un potere centrale – quello del presidente Mahmoud Ahmadinejad – capace di dispiegare una forza immensa, ma allo stesso tempo di muoversi in uno stato di palese incertezza. E’, in sintesi, la fotografia dell’oggi. Dove in primo piano svetta il capo supremo del Paese che lancia un annuncio che è, allo stesso tempo, un monito sul quale riflettere. La sede prescelta da Ahmadinejad è la città di Natanz (200 chilometri a sud della capitale) dalla quale, appunto, parte una nuova sfida: è l’avvio della nuova era nucleare di Teheran. Ed è un significativo ed agghiacciante incipit del discorso del leader iraniano che risuonerà per vario tempo nelle cancellerie dei paesi che temono l’Iran: “A partire da oggi l'Iran si è aggiunto alla lista di quei Paesi in grado di produrre combustibile nucleare". Nessuno, quindi, sarà in grado di fermare il programma nucleare di Teheran perché – come ama ripetere con tragica monotonia Ahmadinejad - "il nostro percorso nucleare è una strada senza ritorno". Il percorso è quello dell’arricchimento dell’uranio. Al discorso del presidente fa eco un approfondimento “tecnico” che viene dal direttore del programma atomico iraniano (Aeoi) Gholam Reza Aghazadeh. E’ lui che annuncia che il paese ha avviato un programma di lungo periodo mirato alla costruzione di impianti nucleari della capacità totale di 6000 MW e che “l’espansione della capacità iraniana di produzione di energia nucleare si basa su una pianificazione precisa”. Tutto questo sta a significare che nella centrale di Natanz, dove sono installate 3.000 centrifughe a cascata, le attività di arricchimento dell'uranio hanno già raggiunto una capacità di produzione a "livello industriale". E c’è di più: "L'obiettivo non è solo quello di installare le attuali centrifughe a Natanz perché – continua Gholam Reza Aghazadeh - stiamo facendo di tutto per arrivare a 50.000".

Le affermazioni e le minacce che arrivano da Teheran dimostrano chiaramente che l'Iran non solo continua ad ignorare le tre risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu – quelle che chiedevano alla Repubblica islamica di sospendere queste attività - ma che anzi, al contrario, accelera in modo vertiginoso i suoi programmi.
I tecnici che hanno più volte ispezionato i siti iraniani affermano ora che le 3000 centrifughe della centrale di Natanz sono in grado di arricchire e raffinare quell'esafluoruro di uranio (Uf6) che a bassa intensità, come sostiene Teheran, è utilizzato in qualità di combustibile per le centrali nucleari, mentre l'utilizzo ad alta concentrazione serve per produrre ordigni atomici. Ed è quello che teme la comunità internazionale. Nonostante tutto, come ha ribadito per l'ennesima volta il capo negoziatore iraniano Ali Larijani, l'Iran è pronto ad avviare negoziati con l'Occidente per mettere fine alla disputa sul nucleare: "Oggi, con il ciclo del combustibile nucleare completo, siamo pronti a iniziare veri negoziati con l'obiettivo di arrivare ad un'intesa - afferma Larijani - e siamo pronti a negoziare e a raggiungere un accordo con i Paesi occidentali per eliminare le loro preoccupazioni sul nucleare iraniano senza mettere fine al nostro sviluppo scientifico".

In questo contesto è sempre più chiaro che Teheran rifiuta ogni forma di sanzioni. "L'Occidente – dice ancora il negoziatore iraniano - dovrebbe sapere che non si arriverà a un accordo con l'Iran attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite e che, se si crea tensione invece che interazione con l'Iran, ci sarà da parte nostra una reazione seria". La linea della fermezza sembra dominare. A Teheran le fonti ufficiali della presidenza fanno intendere che il regime è compatto su questo tema e che non hanno senso le critiche rivolte da ambienti riformisti e moderati nei mesi scorsi al presidente Ahmadinejad per la sua politica intransigente. Ci sarebbe accordo anche con l'ayatollah Ali Khamenei, pur se in un clima di coabitazione fredda.

Restano, comunque, molti punti oscuri. Tanto più se si fanno alcuni paragoni con la storia passata, quando ci fu - nel 1951 - il processo di nazionalizzazione del petrolio, con il premier Mossadeq che sfidò contemporaneamente lo Scià di Persia, Londra e Washington. La sfida la pagò cara, perché due anni dopo gli americani organizzarono nel Paese un colpo di Stato. Ahmadinejad non può far finta di ignorare la lezione della storia. Ecco perché, rivendicando il diritto al nucleare civile, solletica l’orgoglio degli iraniani. I suoi discorsi sono tutti caratterizzati da un attacco all’Occidente con l’appello al popolo ad unirsi nel nome del paese perché – come ama ripetere questo personaggio terribilmente inviso agli americani – “scienza e tecnica non possono risolvere qualsiasi problema”.