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Categoria: Esteri
di mazzetta

L’onda lunga della “war on terror” ha finito per destabilizzare anche la Turchia, dando fiato e spazio di manovra ai nazionalisti antidemocratici. Come è già accaduto per l’Egitto, per l’Arabia Saudita e altri preziosi alleati di Washington, la sconfitta che si intravede al fondo della tragica avventura irachena, stimola gli amici dei falliti portatori di democrazia a rafforzare stili di governo autoritari fondati sul nazionalismo. Quasi tutti i giornali turchi hanno inquadrato l’assassinio dei tre cristiani a Malatya come un episodio della strategia della tensione ad opera della destra nazionalista. Destra che non uccide i preti o gli stampatori di bibbie in nome di Allah, ma in nome di quella stessa “turchità” per la quale vengono osteggiati e perseguitati anche gli “islamici” o chi sollevi la questione degli armeni; comode etichette con le quali condannare senza processo anche chi proponga di riformare un paese che non si è mai veramente liberato dal pesante controllo da parte dei militari. Con il varo della “war on terror” i militari hanno recuperato importanza in Turchia e negli ultimi anni hanno dato chiari segni di voler continuare ad imporre la loro linea politica, decisamente autoritaria e poco rispettosa della democrazia e dei diritti umani e civili. Nell’ultimo anno la Turchia ha visto l’invadenza dei militari farsi sempre più evidente e minacciosa

Questo riprender fiato dei militari ha dato pessima mostra di se in numerose occasioni. Non solo lo stato maggiore dell’esercito ha più volte minacciato di invadere le province curde dell’Iraq per cacciare i “terroristi” (sollevando la preoccupazione della Rice), ma in Turchia c’è stata anche una serie di omicidi di ispirazione chiaramente nazionalista, gli autori dei quali sono tutti vicini all’esercito e inseriti in formazioni nazionaliste ed estremista di destra.

Ancora più preoccupante l’episodio che ha visto protagonista il generale Buyukanit l’anno scorso. Ora capo dell’esercito turco, l’anno scorso ne era il numero due e venne accusato di comandare una specie di organizzazione Gladio, occupata a compiere attentati da attribuire ai curdi. Che questo accada è stato dimostrato più volte, fino al caso nel quale una folla inferocita riuscì a catturare agenti della polizia turca che avevano appena compiuto un attentato da attribuire ai curdi. Sulla folla che tratteneva gli assassini in attesa del magistrato spararono poi da un’auto risultata appartenere alle forze dell’ordine, facendo un’altra vittima e numerosi feriti.

L’inchiesta su quei fatti finì in nulla, i militari tuonarono e a finire prima sotto accusa e poi licenziato fu lo sfortunato procuratore al quale era stato assegnato il procedimento. Buyukanit diventò così capo dell’esercito come previsto e, forte della debolezza degli americani, cominciò subito a minacciare il Kurdistan iracheno e ad ammassare truppe alla frontiera. Nelle ultime settimane i militari e i politici loro contigui hanno sollevato una robusta ostilità verso la rielezione del premier Erdogan, reo di essere il rappresentante di un partito “islamico”.

Il più importante quotidiano turco ha scrtto che “l’omicidio di Malatya è un sottoprodotto della nostra mancanza di comprensione, della nostra incapacità a vedere quello che sta accadendo. Quello che voglio dire è che, se al momento vi sono solo pochi responsabili dell’omicidio, ci sono molti, molti altri corresponsabili.” I molti corresponsabili vengono individuati in quei politici che, difendendo la “turchità”, si abbandonano a discorsi razzisti ed ostili verso qualunque alterità non sia ai loro occhi sufficientemente “turca”, come appunto i preti cristiani o gli “islamici” meno nazionalisti o ancora i turchi di origine armena.

Una situazione che in Vaticano conoscono bene, tanto che monsignor Lucibello ha ribadito che in Turchia “il clima non è preoccupante”, sottolineando che nel paese non c’è ostilità verso i cristiani e la strage è solo frutto del “fanatismo di qualcuno”. Parole che hanno addirittura suscitato scandalo tra le fila di quanti nel nostro paese hanno sposato il “conflitto di civiltà” senza rendersi conto di non appartenere a nessuna civiltà, ma di essere invece gli araldi del razzismo che risorge all’alba del ventunesimo secolo. Certi commentatori che hanno delirato di sgozzamenti e di fanatismo religioso, sono arrivati a definire “sorprendenti” le parole del Vaticano.

A giocar con il fuoco ci si brucia. Una lezione che dovremmo tenere a mente anche nel nostro paese dove, già da troppo tempo, le sciocchezze dei razzisti vengono declamate impunemente e si sentono discorsi francamente imbarazzanti, fondati sulla necessità di difendere una civiltà che si fa di tutto per negare con comportamenti e parole più degne del ventennio che di una moderna democrazia europea.

Per questi immortali guerrieri difensori del nulla, non conta nemmeno la circostanza per la quale ai sicari sono stati trovati in tasca alcune lettere con la frase “l’abbiamo fatto per il nostro paese”, circostanza che smentisce la matrice religiosa (non era “l’abbiamo fatto per la gloria di Dio”) e indica, anche a chi non lo voglia vedere, la matrice nazionalista che ha armato la mano degli assassini. Forse tutti questi opinion-maker erano distratti dal recente impegno contro la minaccia cinese a Milano, per far caso a dettagli del genere.

Anche l’omicidio dello scrittore Dlink ha una storia simile, anche i suoi assassini sono stati catturati subito in quanto conosciutissimi come estremisti. Anche nel loro caso le loro azioni furono previste quanto si lasciò che si sviluppassero senza contrasto. Se questo non bastasse, c’è sempre lo scandalo suscitato dalle foto-ricordo scattate dalla polizia insieme all’autore materiale dell’assassinio di Dlink per “festeggiare” l’evento, con poliziotti e omicida insieme e sorridenti con tanto di bandiera turca in mano.

L’entrata della Turchia in Europa non è quindi un problema dal punto di vista della presenza di una popolazione musulmana, ma dal punto di vista di una democrazia incompiuta e di istituzioni ancora controllate dai militari. L’Europa non può certo ammettere un paese retto nella sostanza da una giunta militare, così come non si possono chiamare a far parte delle istituzioni europee i rappresentanti dell’ultra-nazionalismo turco.

Il fallimento della “war on terror” si sta davvero trasformando in una sconfitta per la democrazia, non nel senso, paventato anche dalle destre nostrane di un dilagare del clericalismo islamico, piuttosto nel senso di un rafforzamento degli autoritarismi nei paesi “alleati” dell’Occidente e di una evidente regressione culturale, della quale beneficiano in massima parte le forze della destra estremista all’interno dello stesso Occidente. Occidente che si vorrebbe liberale e democratico, ma che invece sta ruzzolando per la pericolosa china che porta al risorgere del razzismo e del nazionalismo e che apre la strada al trionfo del populismo più becero.

Occorre fare molta attenzione a questa deriva, perché la stretta antidemocratica in paesi-chiave per gli assetti del Medioriente e del Mediterraneo, come Egitto e Turchia, non porterà nulla di buono. Sostenere acriticamente l’operato di tali “alleati” potrebbe un giorno mostrare a quelle popolazioni l’Europa come complice del totalitarismo; il che, dopo che gli USA hanno buttato al vento qualsiasi autorità morale come guida della democrazia, priverebbe del tutto l’Occidente di quell’auto-proclamato primato nella ricerca della libertà e della democrazia stessa.