L’attacco russo di domenica scorsa nella città ucraina di Sumy continua a essere oggetto di un’accesa campagna di propaganda occidentale, in particolare europea, nel tentativo di sfruttare l’evento per complicare ancora di più i negoziati in corso tra Mosca e Washington. Il livello di cinismo e ipocrisia, da parte sia dei governi sia dei media ufficiali, è come sempre stratosferico, ma l’ennesima pessima figura potrebbe essere stata almeno in parte evitata se gli accusatori di Putin e della Russia avessero prestato una qualche attenzione, invece che solo alla versione del regime di Zelensky, alle reazioni all’attacco missilistico registrate tra alcune personalità politiche ucraine. Quindi, non esattamente filo-russe.

Il primo round di colloqui indiretti tra Iran e Stati Uniti in Oman nel fine settimana si è chiuso con dichiarazioni moderatamente ottimistiche da parte di entrambe le delegazioni, alimentando una cauta sensazione di fiducia per la possibile de-escalation di una crisi che, solo fino a pochi giorni fa, sembrava destinata a esplodere in uno scontro militare. Quello che è stato ottenuto sabato è però solo il risultato minimo tra quelli da considerare positivi. Gli ostacoli sulla strada di un accordo che faccia rientrare il (finto) problema del nucleare iraniano sono molti e di difficile scioglimento, primi fra tutti la reale attitudine del presidente Trump e l’influenza che avranno sulle decisioni della Casa Bianca gli ambienti “neo-con” e quelli sionisti, che spingono da anni per una guerra contro la Repubblica Islamica.

Con un saldo commerciale permanentemente in rosso, con un Congresso che ogni anno deve decidere se superare o meno il tetto della spesa pubblica precedentemente stabilito, ovvero se aumentare ulteriormente il livello del debito che oggi si attesta al 123% del PIL degli Stati Uniti, per un ammontare di 28,4 trilioni di dollari, la politica di Trump sui dazi è il risultato della crisi strutturale dell’economia statunitense. quest'anno al Tesoro statunitense toccherà collocare altri 2 trilioni di dollari in debito e oltre 500 miliardi in interessi, che si aggiungono al trilione che già paga ogni anno.

Come affermato dal presidente Xi Jin Ping, Cina e Ue “dovrebbero farsi carico delle proprie responsabilità internazionali, mantenere insieme la tendenza della globalizzazione economica e l’ambiente del commercio internazionale, e resistere insieme alle prepotenze unilaterali“. Si tratta di un appello importante. E’ certamente paradossale che sia oggi uno Stato socialista ad invocare oggi i benefici della globalizzazione. Ma si tratta del risultato della grande ascesa economica, sociale e culturale che la Cina sta avendo proprio grazie alla superiore qualità del suo sistema.

La nuova realtà siriana dopo la caduta del governo di Assad e la presa del potere del regime qaedista appoggiato dalla Turchia ha innescato dinamiche che stanno provocando pericolose tensioni tra Ankara e Tel Aviv. Erdogan e Netanyahu cercano di estendere la propria influenza quanto più possibile nel paese lacerato da oltre un decennio di conflitti, fino a rischiare uno scontro armato diretto, come è accaduto ad esempio con il recente bombardamento israeliano della base di Tiyas (“T4”) in Siria, dove la Turchia intende stabilire una postazione militare permanente. Entrambi i paesi, tuttavia, puntano a mantenere una Siria debole e divisa, così che un qualche accordo quanto meno provvisorio che garantisca i rispettivi interessi sembra essere possibile, soprattutto nel quadro delle manovre di Washington per allineare i due alleati alle mire americane contro l’Iran e i suoi partner regionali.


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