Il Congresso statunitense ha approvato in extremis il mega-progetto di legge promosso dal presidente Trump, che prevede tagli fiscali pagati con la sicurezza sociale degli statunitensi. Approvata con 218 voti favorevoli e 214 contrari, la legge aumenta enormemente la spesa pubblica per permettere il più grande banchetto della storia alle grandi aziende sistemiche. Per Trump rappresenta una vittoria importante ma fragile: dato l’ampio margine della sua maggioranza, si registra quantomeno una frattura all’interno dei repubblicani.

Il cuore del pacchetto è costituito da 4.500 miliardi di dollari in tagli fiscali per i più ricchi, già approvati nel 2017 durante il primo mandato di Trump. È inoltre prevista un’enorme spesa, pari a circa 350 miliardi di dollari, per la sicurezza nazionale, il programma di deportazione di Trump, e per contribuire allo sviluppo del sistema difensivo statunitense “Golden Dome”.

La sospensione formale della collaborazione tra Iran e Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) è una delle conseguenze potenzialmente più importanti della recente “Guerra dei 12 giorni” o, più precisamente, dell’aggressione militare illegale di Stati Uniti e Israele contro la Repubblica Islamica. Il governo di Teheran ha preso mercoledì l’unica iniziativa possibile per evitare il ripetersi della situazione che ha portato ai bombardamenti sul territorio iraniano, di fatto favoriti, per quanto riguarda gli obiettivi connessi al programma nucleare, dalle attività della stessa agenzia delle Nazioni Unite.

La gigantesca legge di spesa voluta da Donald Trump è vicina all’approvazione definitiva del Congresso di Washington dopo che il Senato l’ha licenziata con il più ristretto dei margini nella notte di martedì. Nota come “Grande e Bellissima Legge”, quest’ultima farà aumentare ancora di più un debito pubblico già fuori controllo negli Stati Uniti, con implicazioni enormi sia sul fronte interno sia su quello internazionale. Nel concreto, si tratta di uno dei più imponenti trasferimenti di ricchezza dal basso verso l’alto della piramide sociale e segna un punto di rottura probabilmente definitivo nel processo già ben avviato di smantellamento del sistema di welfare americano uscito dalle battaglie e rivendicazioni del “New Deal” e degli anni Sessanta del secolo scorso.

Il governo americano e quello di Israele stanno cercando di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con il regime di fatto siriano, guidato dal qaedista Ahmed al-Sharaa, nel quadro del riassetto strategico perseguito dai due alleati in Medio Oriente. L’amministrazione Trump ha sospeso lunedì in via formale quasi tutte le sanzioni che gravavano da oltre un decennio sulla Siria, così da facilitare il processo di avvicinamento tra Damasco e Tel Aviv. L’operazione viene propagandata in Occidente come un inevitabile adeguamento alla cambiata realtà siriana, finalmente liberata dall’oppressione del regime di Assad. La verità dei fatti racconta tuttavia una storia molto diversa.

Tra voci di una possibile imminente tregua e l’intensificazione dell’offensiva militare israeliana nel nord della striscia di Gaza, sono emersi in questi giorni nuovi raccapriccianti dettagli sulle operazioni del regime di Netanyahu per “ripulire” questo territorio dalla popolazione palestinese con la complicità degli Stati Uniti e degli altri governi occidentali. Il tutto mentre Trump insiste nel fare pressioni sul sistema giudiziario israeliano per lasciar cadere le accuse di corruzione e altri reati simili nei confronti del premier/criminale di guerra, collegando assurdamente il processo ai danni di quest’ultimo agli aiuti militari garantiti da Washington a Tel Aviv.


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