La grande stratega internazionale Giorgia Meloni, passata dal retrobottega della scarsamente prestigiosa sede del Movimento sociale italiano – Destra nazionale della Garbatella a dirigere il governo italiano, ha parlato: “Non sono mature le condizioni della pace”. Di conseguenza Giorgia ci esorta a continuare la guerra e a intensificare le forniture di armi verso l’Ucraina che si spera possa lanciare una controffensiva vincente. E’ del tutto casuale che tale presa di posizione corrisponda al cento per cento a quella assunta ieri dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha respinto la proposta cinese di mediazione.

Mentre a Pechino il governo cinese promuoveva la riconciliazione tra Iran e Arabia Saudita, l’amministrazione Biden e due dei più stretti alleati degli Stati Uniti si apprestavano a dar vita a un vertice in una base militare in California per annunciare ufficialmente i nuovi preparativi di guerra in Asia orientale. L’incontro di lunedì a San Diego ha visto la partecipazione dei primi ministri di Gran Bretagna e Australia – Rishi Sunak e Anthony Albanese – nel quadro del cosiddetto “AUKUS”, il patto di natura prettamente militare sottoscritto dai tre paesi nel 2021. Al centro dell’evento c’è stata la presentazione del piano senza precedenti per mettere a disposizione dell’Australia un numero imprecisato di sottomarini da guerra a propulsione nucleare, in previsione di un conflitto diretto con Pechino nel prossimo futuro.

La Georgia è nuovamente sotto i riflettori. Questa volta per una legge annunciata e successivamente ritirata. Non perché non fosse legittima, financo necessaria, ma per abbassare la tensione di piazza generata dalla mobilitazione dell’opposizione finanziata da Washington e Bruxelles che ha tentato - per ora inutilmente - la spallata al governo.

Il quale, se cercava una conferma all’esistenza di un piano sovversivo per abbatterlo e consegnare la Georgia alle mani occidentali, l’ha trovata. Nitida nella sua evidenza e chiara nei suoi contorni, interni ed internazionali. Quello recitato a Tbilisi è in larga misura il consueto copione delle “rivoluzioni colorate” promosse dall’Occidente, peraltro già sperimentato in Georgia nel 2003.

Le pressioni occidentali attraverso le proteste violente dell’opposizione georgiana hanno alla fine convinto il governo di Tbilisi e la maggioranza parlamentare del paese caucasico a ritirare il discusso disegno di legge sulla “registrazione degli agenti stranieri”. La notizia è stata annunciata giovedì dopo che nei due giorni precedenti si era scatenato il caos nella capitale dell’ex repubblica sovietica, incluso un tentativo di assalto all’edificio che ospita il Parlamento. Il ritiro della proposta potrebbe essere solo momentaneo, ma rappresenta comunque una sconfitta per il partito di governo “Sogno Georgiano”, i cui sforzi per evitare il coinvolgimento del paese nel conflitto tra Russia e Ucraina (NATO) sono sempre più sotto attacco delle forze politiche filo-occidentali.

La macchina della propaganda americana sembra essersi messa in movimento questa settimana per confondere le acque in merito al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream (1 e 2) sul fondo del Mar Baltico a fine settembre 2022. L’offensiva mediatica punta a screditare la tesi proposta dalla rivelazione di Seymour Hersh di inizio febbraio, che attribuiva la responsabilità dell’esplosione direttamente alla Casa Bianca. Il New York Times ha aperto la campagna di disinformazione martedì con la pubblicazione di una “esclusiva” nella quale vengono citati i soliti anonimi funzionari governativi per spiegare che l’operazione sarebbe stata condotta da un non meglio definito “gruppo filo-ucraino” non collegato al regime di Zelensky.


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