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Dopo il Colorado, anche il Maine ha dichiarato Donald Trump ineleggibile per le primarie del 2024. Ma in attesa della sentenza della Corte Suprema sull'eleggibilità di Trump, i problemi di Biden continuano senza sosta. Un sondaggio dell'Arab American Institute rivela che il sostegno degli arabi è crollato dal 59% al 17% e il New York Times ha pubblicato un sondaggio secondo cui due terzi degli americani criticano la Casa Bianca per il suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico.

Può influire elettoralmente? In Michigan ci sono 300.000 elettori registrati di origine araba. Nel 2020 quasi 146.000 si sono recati alle urne e il 70% ha votato per Biden, che ha sconfitto Trump del 2,4%. Oggi il dato sarebbe ribaltato.

Poco importa che lo stesso Trump, ancora più legato a Israele, aumenti anziché diminuire il sostegno a Tel Aviv. Più importante nel voto popolare è la delusione per le aspettative tradite, e Biden porta con sé il tradimento delle promesse elettorali. La politica estera e quella interna dipingono un quadro fallimentare, e sotto accusa è soprattutto la cattiva gestione dell'economia, che ha visto una nuova stretta creditizia e un peggioramento degli indici socio-economici, laddove ci si sarebbe aspettati maggiore e migliore attenzione e passi avanti nella riduzione del divario sociale.

 

I dati del modello, tuttavia, sono chiari e inesorabili. L'1% più ricco della popolazione possiede il 35,6% di tutta la ricchezza privata. Le 400 persone più ricche della lista Forbes 400 possiedono più ricchezza degli ultimi 150 milioni di americani. La ricchezza è divisa tra bianchi (75%), neri (12,5%) e ispanici (9%). Le discriminazioni contro i neri si verificano nel sistema giudiziario, nelle condizioni sanitarie, negli alloggi. Secondo la Commissione Kerner, negli Stati Uniti coesistono due società, una bianca e una nera, separate e diseguali.

E come si mantiene questo divario? I dati della Prison Policy Initiative mostrano che gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di incarcerazione al mondo, con 565 arresti ogni 100.000 persone e più di due milioni di persone rinchiuse in 1.566 carceri statali, 3.161 carceri federali, 1.323 istituti penitenziari minorili, 181 centri di detenzione per immigrati e ottanta prigioni tribali nelle riserve indiane. Senza contare che la polizia statunitense uccide 1.000 persone all'anno durante le operazioni di pattugliamento.

I disagi sociali portano a nuovi riverberi di devianza? Secondo il Substance Abuse and Mental Health Service, l'agenzia per le droghe e la salute mentale dell'Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti, 45 milioni di persone soffrono di disturbi mentali e 15 milioni di depressione cronica acuta. Più di 6 di loro non ricevono cure per mancanza di assicurazione sanitaria o per apatia.

La tossicodipendenza aumenta. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Addiction ha rivelato che ci sono più di 112.000 morti per overdose. Una percentuale che è aumentata di oltre 50 volte dal 2010. Gli aumenti degli ultimi cinque anni sono stati attribuiti all'aumento della disoccupazione.

La polarizzazione di classe della società si riflette chiaramente nella mancanza di universalità dei diritti sociali. Secondo il Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano (HUD), il numero di cittadini statunitensi senza fissa dimora è salito a 70.650 nel corso dell'anno, con un aumento del 12% rispetto all'anno precedente e il numero più alto da quando è iniziato il conteggio nel 2007. Circa il 60% di queste persone vive attualmente in rifugi o ricoveri di vario tipo e il 40% sopravvive "in luoghi non destinati all'abitazione umana".

I fondi statali sono necessari per limitare il disagio sociale, che però non viene affrontato a causa di un rigorismo ideologico che antepone il denaro alle persone, vera identità del modello. Altro che opportunità per tutti: circa 30 milioni di adulti - il 17,5% dell'intera popolazione statunitense - sono considerati "analfabeti funzionali", cioè incapaci di affrontare determinati contesti, soprattutto quelli legati all'economia, alla legge e agli affari pubblici.

Inoltre, uno studio del 2021 del Center for Geographic Education della Texas State University ha documentato che dei cinquanta Stati americani, quelli che richiedono l'insegnamento della geografia alle scuole superiori, sia come materia singola che come parte degli studi sociali, sono 13 e quelli che non la richiedono affatto sono 14.

 

Finché c’è guerra, c’è speranza?

Mark Twain diceva che gli Stati Uniti fanno le guerre perché gli americani imparino la geografia. Un'ironia che tocca un elemento fondante degli Stati Uniti: l'idea dell'impero dominante, dell'eccezionalismo americano come imperativo categorico planetario.

A conferma di ciò, la spesa militare nel 2023 è stata di 886 miliardi di dollari, la più alta della storia. Le basi militari statunitensi sono l'espressione più evidente della natura imperiale. Ce ne sono 642 nel mondo, distribuite in 76 Paesi e il personale militare statunitense è presente in oltre 170 Paesi, l'87% del mondo. Stiamo parlando di basi ufficialmente riconosciute, a cui vanno aggiunte quelle segrete. Per garantire gli interessi statunitensi, le truppe sono operative in tutti i mari e in tutti i continenti, compreso l'Antartide.

Uno sforzo inutile, visto che nell'ultimo secolo gli Stati Uniti sono stati coinvolti in 64 guerre grandi e piccole, ma in 44 di esse hanno dovuto trovare una uscita diplomatica per evitare la sconfitta sul campo, mentre in 11 sono stati sconfitti su tutti i fronti. Dalla caduta del campo socialista, gli Stati Uniti hanno vinto meno del 20% dei conflitti, almeno secondo i calcoli del Socom, il Comando unificato delle forze speciali statunitensi, che ha esaminato i 9 conflitti in cui gli americani sono stati coinvolti sotto le presidenze di Bush Jr, Obama, Trump e Biden.

Dal punto di vista politico, le cose non vanno meglio. La chiamata alle armi per la difesa del proprio impero non vede il sostegno della maggioranza, semmai riscontra distanze impreviste, che contribuiscono alla perdita della leadership nel mondo. Ne è prova il fallimento delle due assemblee internazionali sulla democrazia dove quasi l'80% della popolazione mondiale non era rappresentato. La sovrapposizione tra "democrazia" e Occidente è diventata plasticamente evidente, ma l'esclusione del Sud globale segna il progressivo isolamento di un Nord ormai ridotto a rappresentare una cinquantina di Paesi su quasi duecento.

 

Una governance di rapina

La politica delle alleanze va ancora peggio. La creazione di gruppi armati per svolgere compiti militari e terroristici contro gli avversari di Washington si è sempre rivelata un errore mortale (Talebani e ISIS), così come tutte le altre iniziative, dalle sanzioni al sequestro di beni di terzi, con cui gli Stati Uniti cercano di piegare il quadro internazionale a proprio vantaggio ma che cominciano a ritorcersi contro.

L'ipotesi al vaglio che vede il possibile finanziamento all’Ucraina code i beni confiscati illegalmente e illecitamente alla Russia apre un altro scenario preoccupante per gli Stati Uniti.

Non servirebbe a resuscitare il nazismo ucraino e meno che mai a colpire Mosca (i valori sequestrati non rappresentano somme tali da sconvolgere l'equilibrio economico della Russia) ma l'effetto boomerang di un simile atto di pirateria internazionale sarebbe infinitamente grave per Washington. Mosca ovviamente procederebbe con identiche misure contro i depositi e le infrastrutture occidentali, ma soprattutto questa mossa darebbe l'impulso definitivo alla de-dollarizzazione dell'economia, perché solo i Paesi alleati vorrebbero mantenere depositi strategici nelle banche occidentali.

Il ritiro dei depositi da parte di molti dei Paesi del Sud globale aprirebbe ulteriori buchi nei conti delle grandi banche occidentali, che già oggi detengono centinaia di miliardi di dollari in titoli tossici e crediti inesigibili (19 miliardi di dollari persi dalle banche statunitensi solo nella seconda metà del 2023). Inoltre, la mossa appesantirebbe i mercati internazionali con l'incertezza e molti operatori abbandonerebbero il dollaro negli scambi di materie prime e prodotti finiti.

Le ripercussioni sulla stabilità e sull’immagine degli Stati Uniti sarebbero notevoli e segnerebbero la fine di quasi 80 anni di leadership, riducendo l'influenza politica ed economica del più grande impero della storia. In tutti i ministeri degli Esteri ci si chiede quindi se gli Stati Uniti, così come sono, con un modello superato, siano ancora la soluzione o se siano, al contrario, il problema. Il rischio è che anche gli elettori americani comincino a porsi questa domanda.