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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

“Il dissenso è stimolato e finanziato dall’Ovest”, “I dissidenti sono nemici del Paese e fanno della dissidenza una vera professione”, “Nelle file del dissenso si infiltrano agenti di potenze straniere”… Erano questi, in sintesi, i punti centrali della propaganda e delle polemiche che il Cremlino, negli anni sovietici, rivolgeva a coloro che si rifiutavano di seguire i dettati della “società socialista”. Il passato torna. Perché il capo della Russia (che ha studiato, in piena era Urss, i manuali della lotta alla dissidenza) risponde alle manifestazioni di piazza - che mettono in stato d’accusa la sua gestione - sfoderando tutto l’armamentario della vecchia epoca. E’, in pratica, la “fase uno”. Fa circondare i giovani che lanciano accuse, fa strappare i cartelli che alzano e poi fa sfoderare i manganelli. Botte, quindi. E subito i commissariati del centro di Mosca e di San Pietroburgo si riempiono di “dissidenti”. Verbali e processi in vista. Poi, immediata, scatta la “fase due”. Quella della diffamazione e delle accuse di collisione con “potenze straniere”. Ecco i fatti. C’è Valerij Gribakin, - un esponente del ministero degli Interni della Russia, già implicato nella lotta contro i georgiani che si trovano a Mosca – il quale afferma che nelle manifestazioni anti-Putin delle settimane scorse erano presenti e partecipavano attivamente dei “provocatori” giunti da altri paesi. In pratica – dice il poliziotto del Cremlino – le città russe sono finite nelle mani di personaggi specializzati nella provocazione e nella creazione di scontri con la polizia.

Gente, comunque, non “russa” perché proveniente da aree dell’ex Unione Sovietica. E a questa accusa Gribakin – nel corso di una conferenza stampa alla quale i media moscoviti hanno dato uno spazio incredibile - ne fa poi seguire un’altra. E cioè che prima delle manifestazioni si erano già visti dei gruppi d’assalto che indossavano vestiti già sporchi di vernice rossa.

In pratica si doveva dare a tutti l’idea che gli scontri si caratterizzavano con il sangue… Tanto che – è sempre la versione del mattinale di polizia – non appena avvenivano i primi incidenti questi personaggi si gettavano a terra, urlavano, mentre accanto c’erano, pronti, fotografi e reporter che riprendevano le scene spacciandole poi per aggressioni poliziesche.

Sin qui la sceneggiata. Ma accanto a tutto questo si evidenzia la preoccupazione del potere russo. Perché per la prima volta nel Paese sta montando un dissenso che non è più quello di un tempo (pubblicazioni clandestine, riunioni da carbonari ecc.), ma è un momento di protesta generale che esce allo scoperto e affronta gli squadroni della polizia. E c’è di più. Il vecchio dissenso non era riuscito a proporre una nuova ideologia, comune. Richiamava solo l’attenzione sui problemi della vita culturale e sociale. Era, all'inizio, un'opera silenziosa. Ed anche quando, usciva allo scoperto, non conquistava (al momento) le masse.

Oggi Putin scopre che la situazione è profondamente modificata. Ma per ora non trova di meglio che riesumare i vecchi schemi di lotta e “contropropaganda”. Tornano gli agit-prop. E tra loro spicca Dmitrij Peskov, addetto stampa del Cremlino, che parla dal canale televisivo "Russia Today" sostenendo che: "Le critiche mosse nei confronti della politica di Mosca da una serie di paesi, unite ai chiari tentativi di intromissione nelle questioni interne della Russia, diventano sempre più pungenti con l'avvicinarsi delle elezioni parlamentari e presidenziali. Ma si sappia che il presidente non accetterà mai i tentativi di intromissione nelle questioni interne della Russia.

Accetterà una critica costruttiva nei confronti della Russia e dei suoi passi personali, ma non tollererà mai a nessun paese al mondo di interferire nelle questioni interne". E così parte di nuovo la caccia alle streghe contro i nemici esterni. Putin non vuole e non può ammettere che all’interno della Russia stia nascendo un’opposizione liberale; fa concentrare tutti gli attacchi propagandistici contro una serie di posizioni espresse in altri paesi.

I riferimenti, in particolare, sono alle dichiarazioni dell’ucraina Julia Timoshenko a proposito del "contenimento delle ambizioni imperiali della Russia"; al rapporto del Dipartimento di stato americano sui diritti civili in Russia e, per ultimo, all'intervista al "Guardian" di Boris Berezovskij, l'oligarca in esilio che minaccia di rovesciare con la forza il "regime" di Putin. Secondo Peskov (che parla seguendo il suggeritore Putin): "Le tesi di Julia Timoshenko non rappresentano altro che la fotocopia di uno dei telegrammi inviati a Mosca, in precedenza, da un ambasciatore americano.

Si tratta, quindi, di una vecchia storia che dimostra come la dichiarazione in questione non sia farina del sacco della Timoshenko: ne siamo – insiste - perfettamente al corrente. Ed è inoltre ovvio che sulla scena politica internazionale ci sono molti concorrenti, anche se questa concorrenza non sempre è onesta. Ed il fatto che la Russia si sia rialzata e che si stia sviluppando in tempi straordinari è un qualcosa che a molti non va giù”.

E mentre dal Cremlino (dopo le manganellate) partono queste bordate propagandistiche il capo della protesta attuale – il campione di scacchi Kasparov – manda in rete il “Manifesto del fronte civile delle opposizioni”. Nel testo si rileva che nel paese si è formato “un regime che va contro gli interessi del popolo”.

Si tratta di un nuovo sistema che serve solo gli interessi del vertice, dei servizi di sicurezza e di quegli apparati statali ampiamente corrotti. Tutto questo, in pratica, sta distruggendo la società civile. E sulla base di tali accuse, nel “Manifesto” si sostiene che Putin sta portando la Russia verso un processo di degradazione. “Noi – è detto nel documento – non solo siamo all’opposizione di Putin ma in linea di massima non riteniamo il suo potere legittimo. Sappiamo che non fu eletto ma nominato e che giunse poi a legittimare il suo sistema con l’ausilio di precise macchinazioni sfruttando la guerra in Cecenia”.

Ed ora è partita la raccolta delle firme per questo manifesto della protesta mentre sul sito Internet dell’opposizione figurano i calendari delle varie azioni. Si apprende che scendono in piazza a Samara quei giovani che non vogliono prestare servizio militare e che a Taganrog si organizzano comizi in difesa della Costituzione. Tutto questo mentre a Ekaterinburg si svolgono meeting durante i quali si invita la popolazione a boicottare la televisione di stato.

La Mosca di Putin osserva e sa di aver consumato i margini di dialogo. Perché i colpi dei manganelli non sono stati certo una finezza politica. Avranno sì liberato le strade per consentire una veloce circolazione, ma hanno ferito la società contribuendo ad alimentare un nuovo senso di identità.