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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

Lo scontro è duro e carico di pericolose avventure. Tutto avviene in una Turchia (stato laico con una schiacciante maggioranza della popolazione di fede musulmana) che chiede, dal 2005, di entrare in Europa ma che si trova a fare i conti con una situazione interna sempre più a rischio e che vede svilupparsi un braccio di ferro tra il governo e l’esercito. La contesa riguarda la scelta del futuro candidato alle elezioni presidenziali e, più in generale, gli atteggiamenti nei confronti del principio di laicità dello stato. E questo vuol dire che il cielo di Ankara è più che mai coperto di nuvole nere. La crisi politica è iniziata quando il ministro degli esteri Abdullah Gul, unico candidato alle presidenziali sostenuto dal partito filo islamico del premier Tayyp Erdogan, non è riuscito ad essere eletto in Parlamento. Uno scacco notevole per quei partiti che in questi anni si sono riconosciuti nella sua linea politica (dal Partito del Benessere a quello della Virtù sino al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo). E così Abdullah Gul (classe 1950, economista e banchiere, primo ministro e titolare degli Esteri) si trova ora ad essere di nuovo l’ago della bilancia di una situazione politico-istituzionale dove i condizionamenti delle ideologie e delle religioni sono più forti che mai. Intanto (dopo le manifestazioni del 14 scorso che hanno visto la partecipazione di un milione e mezzo di persone) oltre 400 organizzazioni non governative scendono in piazza per sostenere il principio di laicità dello stato sullo sfondo del conflitto tra governo-forze armate. E in questa vicenda i militari (almeno quelli che si trovano al vertice dello stato maggiore) accusano il governo di "attività antilaiche" e riaffermano il loro ruolo costituzionale di "guardiani della laicità" pronti, di conseguenza, a difendere la Costituzione.

Situazione inedita, questa, che preoccupa decisamente l’Unione Europea che fa sapere, tramite Olli Rehn, Commissario per l’Allargamento, che le forze armate turche dovrebbero "restare fuori della politica". E Rehn, che ha operato in questi anni per favorire l’adesione di Ankara all’Ue, si impegna con una serie di interventi, alla ricerca di nuove identità politiche e culturali rilevando che l’ingresso in Europa della Turchia favorirà un processo di “libertà e prosperità”.

Ma i fatti di questi ultimi periodi non gli danno ragione. Perchè l’adesione alla Ue segna il passo: su 35 dossier relativi alle regole per l’ingresso, solo uno è stato approvato. Dall’analisi dei nodi strategici della società turca risulta anche che il nuovo conflitto tra governo e militari potrebbe rivelarsi carico di conseguenze incontrollabili. Ne parla il portavoce del governo, Cemil Cicek riferendo di un colloquio telefonico tra il primo ministro Tayyip Erdogan e il capo dello stato maggiore, Yasar Buyukanit. Che è il leader di coloro che, in divisa, si dicono pronti ad intervenire in difesa della laicità dello Stato, ma noto soprattutto per essere stato, a Napoli, il capo dell’intelligence della Nato nel settore Sud.

A queste forze il leader del governo manda a dire che: “I militari lascino la gestione della democrazia al governo democraticamente eletto. E questo, quindi, è un test per verificare se le forze armate turche sono capaci di rispettare la laicità democratica e i rapporti democratici fra apparati civili e militari".

Dal canto suo l’esponente europeo Olli Rehn sottolinea che il rispetto per le regole democratiche è uno dei principi fondamentali per accettare la candidatura della Turchia nella Ue. E aggiunge che l’Europa guarda con preoccupazione al “tempismo” della dichiarazione dei militari i quali – precisa – “devono rispettare le regole del gioco democratico e il ruolo che in questo quadro gli è stato assegnato".

Ma la polemica non accenna a rientrare. Perché le forze armate, che hanno rovesciato quattro governi negli ultimi 50 anni, hanno diffuso un comunicato proprio mentre in parlamento si era consumata la spaccatura fra forze laiche e quelle religiose nel primo turno della votazione per la nomina del Presidente della repubblica. "Le forze armate turche – hanno reso noto con una loro dichiarazione - stanno monitorando la situazione con una certa preoccupazione".

Intendendo così ricordare ai politici che i militari sono ancora i custodi della tradizione laica della Repubblica turca. Per ora, comunque, nessun dialogo diretto. Tenendo anche conto che Yasar Buyukanit è considerato, da sempre, un falco. Nemico, tra l’altro, dei curdi (contro i quali ha scatenato gli “squadroni della morte”) e di un’eventuale trattativa con la loro leadership…

Da tutto questo si evince comunque che la Turchia sta vivendo uno dei momenti di massima crisi. In tal senso si potrebbe anche sostenere che c’è aria di golpe. Intanto Rehn – che resta il garante della situazione - manda a dire ad Ankara che la democrazia secolarizzata è un valore importante per l'Unione europea e che sta alla base del progetto di europeizzazione della Turchia, caro ai militari e ai seguaci del fondatore della repubblica, Mustafa Kemal Ataturk. Ma sono solo parole, pur se autorevoli e ponderate.

Ora il premier Erdogan avverte che il Paese rischia il caos “come è già avvenuto nel passato". “Ascoltate – dice - la voce della vostra coscienza” sottolineando che il suo invito è rivolto a "tutti i deputati" anche a quelli dei partiti di opposizione. Ma le tensioni si accumulano e le polemiche si inaspriscono. I capitoli della storia turca (mettendo per un momento da parte quel duro contenzioso con la Grecia sulla questione cipriota) riemergono con molte ombre. E la sfida di oggi porta a rileggere il passato scoprendo nuovi orizzonti carichi di crisi istituzionali sul filo di un possibile “colpo di stato”.