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di Giuseppe Zaccagni

In tutto l’Est europeo soffia forte il vento della revisione storica e della resa dei conti con i comunisti e il regime polacco dei gemelli Kaczynski lo accusa di "crimine comunista" per aver instaurato, il 13 dicembre del 1981, la legge marziale. E così l’ex generale di Varsavia, il generale-presidente Wojciech Jaruzelski (84 anni), rischia fino a dieci anni di reclusione. "So – dichiara oggi - che i miei compatrioti mi odiano per quello che ho fatto e non posso dar loro torto. Ma, se non avessi “invaso” io stesso il Paese con le nostre forze armate e imposto la legge marziale, lo avrebbero fatto i russi con i loro carri armati e sarebbe andata peggio". Con lui sono accusati altri otto protagonisti dell'epoca, fra cui l'ex ministro degli interni Czeslaw Kiszczak e l'ex segretario del partito comunista Stanislaw Kania. All'ex uomo forte della Polonia si rimprovera di aver "diretto un'associazione armata a carattere delittuoso" (tesa a reprimere il sindacato Solidarnosc guidato dell’elettricista Walesa) rendendosi anche responsabile della sanguinosa repressione della rivolta operaia nel 1970, sul litorale del Baltico, quando era ministro della Difesa. Numerosissime le reazioni, le polemiche, le discussioni e le accuse.

Jaruzelski, da militare inflessibile, si dichiara pronto ad affrontare il giudizio che ha però tutte le caratteristiche di un tribunale organizzato per sancire una vendetta e volto ad affermare una verità comoda al regime attuale.
La “colpa” principale di Jaruzelski quindi, è quella di aver attuato lo “stato d’emergenza” e la legge marziale in tutto il territorio polacco. E qui è necessario un passo indietro per rileggere le pagine di quegli avvenimenti che, tutto sommato, salvarono la Polonia da una possibile invasione dell’Armata sovietica.

Jaruzelski, evitò per il suo paese una soluzione di tipo cecoslovacco. Sapeva benissimo che oltre le frontiere c’erano già schierati mezzo milione di uomini del Patto di Varsavia (una definizione, questa, che proprio in quel momento appariva come vera e propria ironia della storia) impegnati in una serie di manovre …
E così ricordiamo - per essere fedeli ai documenti - le sue parole pronunciate quel 13 dicembre: "Cittadini della Repubblica popolare polacca! Oggi mi rivolgo a voi come soldato e come capo del governo polacco. Mi rivolgo a voi per questioni di im¬mensa importanza. La nostra patria è venuta a trovarsi sull’orlo dell'abisso. Si riducono in rovine le realizzazioni di molte generazioni e la casa fatta risorgere dalle ceneri. Le strutture statali cessano di funzionare. Si assestano sempre nuovi colpi all'economia che si spegne… Crescono i capitali, ammontanti a milioni, dei pescicani del mondo eco¬nomico clandestino. Caos e demoralizzazione hanno raggiunto proporzioni catastrofiche. Il popolo è allo stremo della tollerabilità psichica. Molti sono in preda alla disperazione. Già non giorni, ma ore ci separano da una catastrofe nazionale… Mi rivolgo a voi, miei compagni d’armi, ai soldati… da voi dipende la sorte del paese… Difendete lo stato dal nemico…”.

Ecco, quindi, che il messaggio-appello di Jaruzelski, se riletto oggi, rivela il vero scopo della sua azione. Il generale-presidente conosceva bene i sistemi del Cremlino e temeva, appunto, un’invasione. Preferì anticipare i tempi. Certo, ovviamente, delle difficoltà che la sua decisione avrebbe incontrato. E certo, soprattutto, della ferrea opposizione del movimento di Solidarnosc. Ma prevalse, in quel momento, la tempra del militare prestato alla politica.

Il resto della vicenda riguarda il rapporto tra il suo governo e le forze legate a Walesa. Il sindacato di Solidarnosc fu sospeso e molti iscritti arrestati. Ogni opposizione politica fu bandita e soppressa. Le autorità mantennero molti dei poteri eccezionali anche dopo la revoca della legge marziale nel 1983. Solidarnosc sopravvisse come movimento d’opposizione clandestina, con un seguito popolare sufficiente a obbligare il regime a continue e graduali concessioni.

Ricevette il pieno sostegno politico, diplomatico e soprattutto economico della Chiesa polacca, rafforzata dalle visite papali del 1983 e 1987. Contemporaneamente il processo di riforma avviato in Unione Sovietica da Gorbaciov consentì in Polonia una ripresa del dialogo tra il governo e le opposizioni; infatti Jaruzelski e il Comitato civico di Walesa negoziarono i termini di un accordo nei primi mesi del 1989.

Furono concesse libertà politiche e civili e Solidarnosc fu nuovamente legalizzata. Nelle elezioni del 1989, i comunisti furono duramente sconfitti. Jaruzelski fu eletto alla presidenza del paese, mentre era formato un governo di coalizione guidato da Tadeusz Mazowiecki, esponente di Solidarnosc.
Le elezioni presidenziali del 1990 furono poi vinte da Wałesa. Grazie anche all’estrema frammentarietà del quadro politico uscito dalle elezioni democratiche del 1991 (con ben 29 partiti presenti nella “Dieta”), la Polonia postcomunista si ritrovò sprofondata in una situazione confusa, conflittuale e instabile e fino al 1993 alla guida del paese si avvicendarono diversi e incerti governi di coalizione.

L’epoca del generale era conclusa. Ma ora si riapre con un processo. E l’accusa rappresentata dal premier Kaczynski fa sapere che “Jaruszelski ha le mani grondanti di sangue”. Per altri si è di fronte ad un “Dittatore che, però, salvò la Polonia”. E c’è chi sostiene che in Polonia sta nascendo un clima da maccartismo che vuole una sua vittima illustre…

Tutto avviene nel quadro di una fase politico-istituzionale che è definita come lustracja (verifica anticomunista) che entra ora nella sua fase più turbolenta, con una legge che obbliga i collaboratori del generale Jaruzelskij e del vecchio sistema socialista ad autodenunciarsi entro maggio. Si è, questa la realtà, ad una resa dei conti.

Ma in questa Polonia dei gemelli non si apre solo il conto con l’ex generale Jaruzelski. Perché – in un clima da “caccia alle streghe” (vera riscrittura e criminalizzazione della storia) - esplode una questione che riguarda quei polacchi che combatterono (eroicamente) nelle file delle Brigate Internazionali in Spagna. All’attacco degli ex miliziani che si batterono contro Franco e il fascismo si muove il primo ministro Jaroslaw Kaczynski, il quale prepara misure che si propongono di cancellare il ricordo delle migliaia di polacchi eroi della guerra civile spagnola. In particolare, l’esecutivo di Varsavia intende decretare l’estensione della cancellazione delle pensioni concesse ai veterani della Seconda Guerra Mondiale a tutti i partecipanti alla lotta contro il fascismo.

Inoltre, - secondo il primo ministro – dovrebbero essere eliminati i luoghi della memoria (lapidi e monumenti) che celebrano il sacrificio di militanti comunisti, compresi appunto quelli che, combatterono in Spagna. Per le autorità polacche, costoro devono essere considerati “traditori”, che avrebbero combattuto in Spagna “per costruirvi il comunismo”, per poi partecipare alla costituzione del nucleo di fondazione del partito comunista che avrebbe imposto, di conseguenza, un “regime totalitario” alla Polonia.

Intanto i nomi degli eroi della resistenza contro il fascismo in Spagna sono già stati cancellati dal monumento al milite ignoto di Varsavia, dove si ricordavano le principali battaglie, cui avevano partecipato, con un significativo contributo di sangue, anche i combattenti polacchi ad Ebro, Brunete e Jarama. E tra i nomi eliminati “per decreto” dalle pagine più gloriose della storia polacca, c’è anche quello di Walter Karol Swierczewski, comandante della 35° Divisione Internazionale in Spagna, il quale in seguito, dopo aver partecipato in modo eroico alla guerra contro il nazifascismo, cadde in un’imboscata tesa dai nazionalisti ucraini (anch’essi oggi riabilitati dai “democratici” di Kiev) che collaboravano con le SS hitleriane.

Ed ecco quindi che - mentre nella vicina Estonia il governo locale elimina il monumento al soldato sovietico, mentre nell’Ucraina occidentale spuntano i monumenti ai vecchi fascisti e nazionalisti e a Mosca si rende omaggio ad un generale zarista - la Polonia si adegua alla grande. Ma Jaruszelski, fermo e difeso solo dai suoi occhiali neri, coglie l’occasione di una intervista a La Repubblica per mandare a dire: “Al processo, se sarò costretto, dimostrerò che Solidarnosc, nonostante i suoi leader moderati e il suo ruolo storico in cui mi identifico, non era un club di angeli”. Appunto. Ma la storia, come è noto, la scrivono i vincitori. I quali poi, organizzano anche i loro tribunali.