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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Correva l’agosto del 1970 e, sull’onda delle idee del tedesco Egon Bahr, il cancelliere di Bonn Willy Brandt avvicinava l’Europa all’Unione Sovietica. Era un passo importante: una vittoria della politica diplomatica che sarebbe passata alla storia con il termine di Ostpolitik, consacrando lo stesso Brandt come uno dei padri della politica distensiva post.bellica. Ora è di nuovo un esponente della (nuova) Germania a rilanciare il processo distensivo con Mosca. Perché tocca al Cancelliere tedesco Angela Dorothea Merkel – nella sua veste di Presidente di turno dell’UE – avviare una fase di rinnovata distensione verso il Cremlino di Putin proprio mentre sono in atto le grandi manovre della nuova guerra fredda tra Mosca e Washington. L’appuntamento per questa tornata di realpolitik - che dovrebbe far prevalere elementi di stabilizzazione del continente – è fissato per il 17 maggio in territorio russo e, precisamente, nella città di Samara sulle rive del Volga, accanto alla città di Togliatti. E’ appunto qui, nel cuore di una Russia che si divide tradizionalmente tra industria e campagna, che prenderà avvio il vertice dell’Unione che ha come obiettivo quello di eliminare le diffidenze che caratterizzano una scena diplomatica segnata da incertezze e instabilità. Compito, ovviamente, difficile per la Merkel che si trova ad operare registrando lunghe e statiche contrapposizioni che hanno contraccolpi economici e politici. Di qui la necessità che questa auspicata ostpolitik trovi una molteplicità di strade che, pur se diverse, possano portare a raggiungere gli stessi obiettivi. Intanto Mosca non abbassa la guardia. Il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov non manca di attaccare aspramente sia l'Ue che la Nato. Alcuni partner - dice il Capo della diplomazia russa - sono ancora “legati alla logica della guerra fredda” e cercano di sviluppare, nei confronti della Russia, una “politica di contenimento”. Lavrov insiste criticando i piani statunitensi sulla realizzazione di un sistema di difesa antimissile nell’Europa centrorientale (il cosiddetto “scudo spaziale”) affermando poi che la Nato continua a seguire una “politica espansionistica” piazzando le sue installazioni militari a ridosso del territorio russo. Difficile, di conseguenza, allestire spazi di dialogo pur se la Merkel, dal canto suo (forte anche del ruolo politico-strategico della sua Germania), insiste sul rapporto diretto e su approcci articolati capaci, tra l’altro, di gettare uno sguardo al di là delle vicende contingenti.

Viene quindi respinta – a priori – una pura e semplice fase di sperimentazione di una nuova ostpolitik. Anche Mosca sa bene che è necessario sbloccare la crisi. Le ombre, comunque, ci sono e non accennano a diradarsi. C’è, tra l’altro, un contenzioso che vede i russi altamente polemici con i governi delle regioni del Baltico e, in particolare, con la dirigenza di Tallin, in Estonia. I motivi vanno ricercati in quegli atteggiamenti negativi che si registrano in quelle aree nei confronti della storia della Russia (paese inteso come diretto continuatore della storia sovietica). Gli estoni considerano, infatti, la Russia un paese “aggressore” che ha occupato la loro nazione rovinandone storia, economia, tradizioni. E su questi aspetti il Cremlino non può accettare nessun procedimento distensivo. Considera, infatti, un sopruso quei tentativi che si fanno in Europa per dare ragione agli estoni ed annullare così la storia di una Russia che, proprio in questi giorni, ricorda quella grande vittoria del ’45 contro il nazismo.

Ma sul fuoco delle polemiche getta acqua il ministro per gli Affari europei tedesco, Gunter Gloser. E’ lui che invita ad avere “pazienza e realismo” per ritessere i fili della memoria con una politica carica di pragmatismo. E in questo contesto fa poi notare che l’Unione Europea esprime, al vertice di Samara, non solo la sua preoccupazione per gli avvenimenti del Baltico, ma soprattutto “per la minaccia dì moratoria del Trattato sulle armi convenzionali”. E con questo sferra un colpo basso al Cremlino. Unendo alla polemica anche un’appendice relativa alle manifestazioni anti-Putin che dominano la scena. E in tutto questo fuoco incrociato di temi e problemi i russi saranno chiamati a difendersi in una città come Samara che, pur essendo geograficamente nel cuore del loro Paese, diviene in questo momento una città aperta, territorio di scontro con un’Unione Europea che getta nella bilancia diplomatica la forza dei suoi numeri.

Il problema centrale – secondo molti osservatori diplomatici – è comunque quello di non toccare quel nervo sensibile della Russia che si chiama, da sempre, “orgoglio nazionale” e che è dettato anche da quel clima di continuo isolamento che, nel bene o nel male, la Russia (figlia dell’Urss) si è trovata a convivere nella sua storia plurisecolare. A Samara il problema è anche quello di affrontare i vari aspetti della situazione russa che è, nonostante siano passati molti anni dal crollo dell’Unione Sovietica, ancora attraversata da una fase di transizione. E tutto questo tenendo conto che una continua instabilità della Russia significa l’insicurezza di tutto il continente. Perché, tra l’altro, la Russia da sola non ce la farà mai a mettere in campo vere e radicali riforme, politiche ed economiche.

Di conseguenza l’Unione Europea e i suoi paesi hanno il dovere politico di non isolare Mosca, ma al contrario di assisterla e accompagnarla mettendo in campo risorse, strategie e strumenti. La Russia di Putin – è vero - non ammette tale approccio. Ma questa è l’unica strada che l’Europa della ostpolitik può e deve percorrere.