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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

“La sovranità sul Kosovo spetta alla Serbia. Quella terra fa parte integrante del nostro Paese. E’ la terra dei nostri avi. E’ lì che ci sono i monumenti della nostra religione. E’ una terra che rimarrà sempre parte inalienabile del nostro territorio. Non faremo passi indietro e non accetteremo mai di barattare il Kosovo con la possibilità di diventare membri dell’Unione Europea”. Così parla Vojislav Kostunica, primo ministro della Serbia, proponendosi ancora una volta come leader forte ed efficace e risponendo – nel pieno di una vera situazione di emergenza – ai diktat che il segretario di Stato Usa Condoleeza Rice lancia da Mosca. E’ lei, infatti, ad annunciare che “quella provincia della quale tanto si parla, non farà più parte della Serbia”. E che per addolcire la posizione statunitense parla poi – come è nelle migliori tradizioni dell’arroganza americana – di una “indipendenza kosovara sorvegliata”… Ma Kostunica, interpretando i sentimenti dell’intera Serbia e del mondo slavo, non fa passi indietro, pur comprendendo che Belgrado è sotto assedio. Cerca quindi di uscire dallo stallo e da una possibile paralisi. Ha già in tasca una vittoria che non è da sottovalutare e che gli consente di alzare il tiro. Tutto questo in seguito al fatto che il nuovo Governo da lui guidato ha ottenuto la fiducia del Parlamento con 133 voti su 250 sfuggendo, di conseguenza, all’eventualità di nuove elezioni che avrebbero fornito motivi di rinvio anche sulla questione kosovara. Ora la nuova formazione che guiderà il Paese si presenta più stabile per il fatto di essere sostenuta dai partiti del cosiddetto “blocco democratico” e precisamente dal Partito democratico serbo (Dss) - il cui leader è lo stesso Kostunica – dal Partito democratico (Ds) che è quello del Presidente della Repubblica Boris Tadic e dal gruppo “G-17 Plus” che è l'alleanza tra forze della società civile a suo tempo costituitasi in formazione politica e che è guidata dell'ex ministro delle Finanze Mladjan Dinkic.

Kostunica affida proprio alla nuova assise nazionale di Belgrado la sua netta risposta agli americani. Sottolinea che fra le sue priorità vi è il mantenimento del Kosovo sotto la sovranità serba, anche a costo di rallentare quello che costituisce uno dei suoi principali obiettivi, cioè l'avvicinamento all'Unione Europea. Tutto il discorso del leader serbo si muove sulla linea di quelle posizioni che anche Mosca ha sbattuto in faccia alla Rice proprio in questi giorni. Il Cremlino ha ribadito, infatti, che sul Kosovo la Russia non voterà mai a favore di una risoluzione del Consiglio di sicurezza basata sul piano del finlandese Aktisaari, in quanto non può essere accettato un piano unilaterale che ha tutto il sapore di un “tranello” ai danni della politica belgradese. La Russia e la Serbia, quindi, si trovano più che mai unite testimoniando un’integrazione crescente, almeno a livello di strategia geopolitica.

I problemi sul tappeto, comunque, sono notevoli e di non facile soluzione. Nel Kosovo la situazione non corrisponde agli standard di sicurezza e la condizione dei profughi è pur sempre tragica. Sono ignorate le richieste base dell’ONU (rispetto dei diritti delle minoranze nazionali) così come molti altri problemi. C’è da notare, inoltre, che gli albanesi kosovari non sono mai stati disarmati. Discutere su un documento vuoto di contenuti - come è quello presentato all’esame della Serbia e della comunità internazionale - significa, secondo la Russia, perdere soltanto del tempo. Se invece si intende aprire un “dibattito serio”, Mosca sarebbe sempre pronta ad avviare trattative basate su regole diplomatiche, valide sia per gli albanesi che per i serbi.

La Russia, comunque, gioca d’azzardo rischiando di smarrirsi nei labirinti della realpolitik. Pesa su tutta la vicenda il rapporto con la Cecenia. Perché sono in molti – all’Onu e nel mondo degli osservatori diplomatici – a porre un parallelo tra la posizione della repubblica caucasica e la regione del Kosovo. In entrambi i casi – si dice – si tratta di rivendicazioni relative ad una totale indipendenza: Grozny da Mosca e Pristina da Belgrado.
Ma i russi anche su questo terreno della comparazione si muovono con estrema prudenza. E in questo caso concordano con la Rice quando afferma che “quella del Kosovo è una storia speciale perché ci sono condizioni particolari legate alla storia dell’ex Jugoslavia”. Mosca fa sapere di non accettare che l’indipendentismo ceceno possa essere messo in relazione con la politica della Russia nel Caucaso: “Nessun territorio – dice la diplomazia moscovita – può essere staccato dalla madrepatria. Si rischierebbero nuovi e paurosi conflitti. Nuovi e tragici precedenti”. E quindi: Kosovo con Belgrado, Grozny con Mosca. E anche in questo caso si può dire che non c’è nulla di nuovo.

La geopolitica della regione balcanica impone altre riflessioni. Come si può, infatti, immaginare un Kosovo a gestione serba quando nel territorio vivono oltre due milioni di albanesi kosovari? Ed ecco, quindi, che anche l’uso dei princìpi storici (quelli del secolo scorso) non offre risposte valide perché si è sempre in presenza di situazioni di coabitazione impossibili. Tanto che gli studiosi di Belgrado, Pristina e Tirana, seguendo le vicende kosovare ed avendo come traccia la storia passata, rilevano che secondo i princìpi che si vorrebbero mettere in atto oggi la Transilvania, ad esempio, sarebbe territorio ungherese, il Baltico spetterebbe alla Russia, la Bosnia rientrerebbe nell’Austria e l’Istria nell’Italia. Anche la Vojvodina sarebbe ancora parte dell’Ungheria. Perché mai, invece, la Vojvodina nella sua storia fu parte dello Stato serbo? La decisione di annetterla alla Serbia (cioè all’ex Jugoslavia) fu presa per due volte da parte dell’allora minoranza serba; tutte e due le volte, senza la partecipazione degli altri popoli, allora maggioritari in Vojvodina, vale a dire tedeschi e ungheresi. Solo dopo due colonizzazioni e dopo un totale esodo di tedeschi e di ungheresi dalla Vojvodina, questa regione diventò una provincia a maggioranza serba… Si rischia ora di sviluppare un contenzioso che, cercando di separare i fatti dalle opinioni, porterebbe a riaprire nell’Europa di oggi la questione balcanica, con fattori diplomatici e militari che non possono essere previsti.

Fragile ed incerta è quindi la politica serba di queste ore. Kostunica dovrà far tesoro della storia del suo paese che è stato sempre dilaniato da lotte intestine . Dovrà pertanto mettere in campo tutto il suo pragmatismo e la sua proverbiale cautela. Ma avrà bisogno – questo il punto nodale – di trovare alleati in Europa. Perché l’assistenza politica di Mosca, oggi, non è più sufficiente.