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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

Un vecchio binario tra nord e sud. Arrugginito perché da più di cinquanta anni non vedeva passare treni. Una strada ferrata da “Cassandra Crossing” realizzata nel lontano 1940 ma inutilizzata dal 1950. Ora la linea è stata rimessa in ordine (ponti rafforzati) e diviene il simbolo di una nuova fase politica tra le due Coree proprio perché destinata a far transitare i treni della distensione. Ma tra le due realtà geopolitiche – tanto vicine ma tanto lontane – c’è anche un altro segnale di speranza. Si riferisce al fatto che esponenti della “Conferenza coreana per la religione e la pace” (cattolici, protestanti, buddisti e confuciani) sono riusciti a visitare Pyongyang, celebrando così il decimo anniversario della partnership con il Consiglio governativo nordcoreano delle religioni. Come consigliato dal Vaticano (che è sempre presente con la sua diplomazia ombra) i cattolici non hanno celebrato la messa nella terra del Nord, ma si sono impegnati in un’azione di riconciliazione incontrando gli esponenti nordisti del “Consiglio governativo delle religioni” per uno “scambio di opinioni” sulla riunificazione della penisola. I religiosi del Sud (erano in 42) hanno visitato il monastero russo-ortodosso di Jongbaek, nella capitale, completato il 13 agosto del 2006 e dove vivono due preti ortodossi nordcoreani, che hanno studiato e ricevuto gli ordini in Russia. Dal canto loro i membri protestanti della delegazione sudista hanno celebrato una funzione nella chiesa Chilgol, mentre i buddisti hanno visitato il tempio di Kwangbopsa. Processo religioso, quindi, improntato alla distensione. Pur se il Vaticano continua ad alimentare il vento della guerra fredda. Scoraggia, infatti, le visite a Roma dei dirigenti dell’Associazione dei cattolici nordcoreani adducendo seri dubbi sul loro status giuridico e canonico. La Chiesa di Roma ritiene che siano solo funzionari di partito, neppure cattolici. Ed insiste, di conseguenza, sostenendo che l’organizzazione è creata e gestita dal regime comunista dichiarandosi come interlocutore ufficiale per i cattolici locali, che secondo stime non governative non sono più di 800.

Ecco ora, invece, la grande e nuova pagina che segna un processo distensivo a più largo raggio aprendo una interessante prospettiva internazionale. Tutto avviene nella cittadina di Munsan (nel Sud della penisola) all’altezza del famoso 38° parallelo che segna la frontiera tra la Repubblica Democratica Popolare di Corea (Nord) e la Repubblica di Corea (Sud). Parte da qui il primo treno dal Sud verso il Nord e, poi, seguiranno i normali collegamenti. E saranno viaggi carichi di fascino. Una sorta di “Orient express” da fare invidia - quanto a scenari - alle eventuali Agata Christie dei giorni nostri.

I convogli attraversano, infatti, la famosa linea demilitarizzata, percorrono qualche chilometro e poi si lanciano per raggiungere le stazioni disseminate lungo il percorso. Si va da Munsan del Sud a Kaesong del Nord poi a Kumgang (nel Nord) e a Jejin. In totale, quasi 53 chilometri. La linea di collegamento – oltre al significato politico – assume anche le forme di un forte impatto economico sulle due nazioni. Per la Corea del Sud significa la possibilità di accedere alla rotta ferroviaria transiberiana della Russia, e quindi la possibilità di raggiungere l'Europa, senza passare per la lunga e più costosa via marittima. Per la Corea del Nord, invece – che dall'affare ha già guadagnato ottanta milioni di dollari in aiuti, donati da Seul – la terra dei “nemici” sudisti diviene una porta di accesso per il turismo internazionale.

I treni, intanto, passano. Si provano – in un percorso di 25 chilometri - i sistemi di direzione, si fanno calcoli sugli orari e si esaminano le modalità relative alle operazioni di frontiera. Tutto dovrebbe filare via liscio. Ma pesa sempre il ricordo del passato. E cioè quel 2004 quando sembrava che tra le due Coree si fosse giunti al segnale verde per la riapertura della linea ferroviaria, ma gli accordi saltarono all'ultimo momento. Se poi si fa ancora un altro passo indietro le cronache ricordano intoppi che portarono all’abbandono della linea ferroviaria, con i binari che si trovarono ad essere coperti dalla ruggine e con i leader dei due paesi, il nordista Kim Jong Il e il sudista Kim Dae Jung, pronti a parole a riprendere i contatti ma decisi, nei fatti, ad ostacolare ogni processo distensivo.

Ora si è al giro di boa con convogli che porteranno, di volta in volta, 100 cittadini del Sud contro 50 del Nord. E con tutta probabilità il treno di Pyongyang potrebbe far arrivare il leader massimo direttamente a Seul. La linea ferroviaria diverrebbe così la vera linea della distensione. Ma questo, per ora, è solo un sogno dei politologi e di quanti sperano in un processo di unificazione nazionale e di integrazione col mondo.

Numerose comunque le dichiarazioni di segno positivo su quanto sta avvenendo in una linea ferroviaria che diviene il centro della politica di distensione coreana. Esponenti governativi del Sud dicono che la riapertura dei collegamenti Nord-Sud va paragonata ai "vasi sanguigni dello stesso organismo che sono ricongiunti dopo essere rimasti divisi per lungo tempo". E il ministro sudcoreano dell’Unificazione, Lee Jae Jung, aggiunge: “Spero che la nuova linea sia un punto di svolta per le relazioni intercoreane. Questi viaggi devono portare con loro prosperità e pace”. Dal Nord si fa sentire il consigliere di Stato, Kwon Ho-hung: “Per far partire questi vagoni abbiamo compiuto ogni sforzo. Ora dobbiamo continuare su questa strada, per arrivare alla riconciliazione ed all’unità della nostra nazione”.

Tutto procede per il meglio, quindi. Ma su questa scena – in parte idilliaca – calano nuovi colpi sul governo di Pyongyang. Vengono dal Giappone che da segni di inquietudine per la situazione nordcoreana nel campo missilistico. Secondo Tokyo, infatti, Pyongyang disporrebbe di un nuovo missile a medio raggio sviluppato a partire dagli SSN-6 di fabbricazione sovietica. Mostrato in una parata militare svoltasi lo scorso 25 aprile, questo ordigno (denominato Musudan dai militari occidentali) avrebbe una gittata compresa fra i 2.500 e i 4.000 chilometri e sarebbe tecnologicamente assai superiore a quel missile Taepodong 1 che - sperimentato nel 1998 - allarmò il Giappone. Ma polemiche e accuse a parte, l’Orient Express dei coreani si muove. Non è ancora alta velocità ma è pur sempre un buon segno.