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Categoria: Esteri
di Lorenzo Zamponi

"Il Psoe ha perso le elezioni (però può guadagnare potere)". Così, giocando sul duplice significato di “ganar” (“guadagnare” e “vincere”) il primo editoriale de El País di martedì riassumeva paradossalmente i risultati delle elezioni amministrative tenutesi domenica 27 maggio in Spagna, in casuale contemporanea con l’Italia. Come in Italia, infatti, il dibattito per stabilire chi ha vinto e chi ha perso assorbe gran parte dell’informazione politica per giorni dopo ogni tornata elettorale. Si votava in 13 delle 17 regioni spagnole, tutte tranne le quattro che in Italia chiameremmo “a statuto speciale” (Paesi Baschi, Catalogna, Galizia e Andalusia), oltre che in molte delle principali città. Un test elettorale importante, il primo davvero rilevante dal punto di vista numerico per il governo Zapatero dopo le elezioni politiche del 14 marzo 2004, e l’ultimo prima della fine del suo mandato, prevista per la prossima primavera. La luna di miele tra il “Partido Socialista Obrero Español” e gli elettori è finita da tempo: quando ha iniziato il processo di pace con l’Eta, Zapatero sapeva di giocarsi tutto, e ad oggi pare ben lontano dall’incassare la vincita. Il “Partido Popular” di Mariano Rajoy sognava di raccogliere proprio i frutti della sua serrata e violentissima critica alle trattative con i terroristi baschi instaurate dall’esecutivo socialista, cavalcando lo scontento popolare diffuso che in tutta Europa periodicamente punisce i governi in carica. L’operazione, in ogni caso, non è riuscita. La mappa dei risultati regionali è praticamente identica a quella del 2003: maggioranza assoluta al Psoe in Estremadura e Castiglia-La Mancia e al Pp in Castiglia e Leon, Madrid, La Rioja, Comunità Valenciana e Murcia; maggioranza relativa al Psoe in Asturie e Aragona e al Pp in Cantabria, Navarra e Baleari. L’unica novità è la maggioranza relativa socialista alle Canarie, nel 2003 feudo dei nazionalisti di Coalición Canaria, ma non è certo questa la cifra delle analisi postelettorali.

Se si confrontano i dati globali delle amministrative, infatti, non si può non notare che nel giro di quattro anni i popolari hanno soppiantato i socialisti nel ruolo di partito di maggioranza relativa. Il Pp è infatti cresciuto dal 33,84% al 35,60%, mentre il Psoe è passato dal 34,71% al 34,90%: un dato che cela una perdita di voti reali, dato il consistente calo dell’affluenza. Ma il paradosso di cui sopra fa in modo che questo risultato sia tutt’altro che una vittoria per il Pp. Il partito di centrodestra, infatti, non guadagnerà alcun posto di potere in più e, anzi, potrebbe perderne. La spiegazione di questo paradosso sta nel diverso atteggiamento dei due grandi partiti nei confronti degli altri soggetti del campo politico spagnolo, primi fra tutti, ovviamente, i partiti nazionalisti e indipendentisti.

Da un lato, la linea di appeasement seguita dal Psoe nei confronti del nazionalismo in particolare e delle altre forze politiche spagnole, il cosidetto talante, ha considerevolmente indebolito il partito socialista dal punto di vista della forza elettorale. Il loro ruolo di soci di governo di Zapatero garantisce infatti agibilità politica alle due formazioni della sinistra radicale, “Izquierda Unida” ed “Esquerra Republicana de Catalunya”. Allo stesso modo i nazionalisti moderati del “Partido Nacionalista Vasco”, del “Bloque Nacionalista Galero” e di “Convergencia i Uniò” godono della forza loro garantita dalle aperture di credito del governo centrale nella revisione del regime delle autonomie. La politica di dialogo con l’Eta, inoltre, ha fatto riemergere la cosiddetta sinistra abertzale, il “socialismo patriottico” di Batasuna: se si sommano infatti i voti nulli espressi nei Paesi Baschi secondo l’indicazione del partito indipendentista illegalizzato e quelli attribuiti ad “Acción Nacionalista Vasca”, la formazione che ha ospitato alcuni esponenti del mondo abertzale, si arriva a 187 000 voti, uno dei massimi storici di Batasuna. Nella provincia di Guipúzcoa, dove le infiltrazioni di Batasuna avevano fatto cancellare dalla magistratura le liste di Anv, i voti nulli arrivano al 21,60%: la seconda forza politica, dopo i socialisti e prima del Pnv.

Insomma, se nella visione di Zapatero tutti sono al governo, tutti hanno la legittimità di proporsi come forza di governo, tutti sono stimolati a far crescere la propria forza per ottenere risultati più vantaggiosi nelle trattative, a danno, dal punto di vista numerico dello stesso Psoe. Il Pp, invece, gode della rendita di posizione derivante dal suo ruolo di unico vero partito d’opposizione allo zapaterismo. La battaglia contro il dialogo con l’Eta, ad esempio, ha solo il partito di Rajoy come referente politico, e ciò attribuisce ai popolari una notevole capacità d’attrazione dal punto di vista elettorale nei confronti di tutti coloro che rifutano ogni trattativa con i terroristi. Dall’altro lato, però, il Pp non sa cosa fare di questa forza elettorale. Spesso, infatti, essa non è tale da garantire alla destra la maggioranza assoluta, e in questi casi il partito di maggioranza relativa diventa automaticamente una forza di minoranza, mentre la linea Zapatero permette ai socialisti di trattare con tutti.

L’esempio più lampante di questo caso è la Navarra. Una regione particolarmente delicata sia dal punto di vista socioeconomico sia soprattutto da quello della questione territoriale: si tratta infatti di uno dei tre territori (oltre agli attuali Paesi Baschi e ai territori francesi) che, secondo i nazionalisti baschi, costituirebbero “Euskal Herria”, la patria basca. Nel 2003 la coalizione tra “Unión del Pueblo Navarro” (la federazione locale del Pp) e “Convergencia de Demócratas de Navarra” (partito di centro regionalista) aveva la maggioranza assoluta, stavolta mancata per un solo seggio. Così, nonostante l’Upn abbia guadagnato qualche migliaio di voti e sia il partito di maggioranza relativa, sono i socialisti a condurre le danze per formare il nuovo governo. Il partito Zapatero, che ha il 22,4% contro il 42,3% dei popolari, può decidere se tentare la “grosse koalition” moderata e costituzionale con l’Upn oppure aprire le porte a “Nafarroa Bai”, coalizione nazionalista e progressista favorevole all’annessione della Navarra ai Paesi Baschi.

La duttilità della linea Zapatero, quindi, se in campagna elettorale, dove prevalgono le opzioni nette e identitarie, è un handicap, diventa un atout eccezionale dopo le elezioni. Uno schema che si estende anche al livello comunale: “Sei capoluoghi in cerca del patto”, titolava nei giorni scorsi El País commentando le situazioni di Pamplona, Palma de Mallorca, Santa Cruz de Tenerife, Cáceres, Zamora e Soria.
Il Psoe non può in ogni caso dormire sonni tranquilli: nella prossima primavera ci saranno le elezioni politiche, e sconfitte come quella, pur ampiamente prevista, di Madrid, non fanno ben sperare gli elettori del partito socialista. L’opposizione del Pp, seppur gravata dall’isolamento di cui sopra, cresce. Non sfonda, ma cresce. La paura di Zapatero è quella di arrivare alla conferma del mandato quando ancora gran parte dei suoi progetti è a metà del guado, primo fra tutti la risoluzione, una volta per tutte, della questione territoriale, con la riforma degli statuti autonomisti e il processo di pace con l’Eta.

I risultati di queste elezioni dimostrano una volta di più, se ce ne fosse bisogno, la stanchezza dei cittadini spagnoli nei confronti di una vicenda, quella territoriale, che logora la vita civile ormai da troppo tempo. In un sondaggio effettuato dall’istituto Cis poco dopo il voto, il terrorismo non si trova al primo posto tra le preoccupazioni degli spagnoli, soppiantato dalla disoccupazione.
Questo sentimento favorisce la crescita dei movimenti antinazionalisti. “Ciutadans”, piattaforma civica antinazionalista catalana, dopo il 3,04% delle regionali dello scorso anno, si è fermato intorno al 2% nella regione di Barcellona. L’atteso sfondamento non c’è stato, “Ciutadans” resta un fenomeno fondamentalmente urbano e mediatico e l’unico sindaco ottenuto è un primo cittadino del Pp uscente che ha cambiato bandiera. Ma le posizioni liberali e anglosassoni di “Ciutadans”, il suo sapiente uso dell’antipolitica e soprattutto il suo atteggiamento nei confronti delle rivendicazioni autonomistiche ne fanno un esempio che molti vorrebbero seguire. Non per niente nelle scorse settimane si sono susseguite le voci di un nuovo soggetto politico nazionale in via di costruzione, nato da “Ciutadans” e guidato da personalità come il filosofo Fernando Savater, critico del Psoe da posizione centrista e contrarie al dialogo con l’Eta, e l’ex esponente socialista Rosa Diez, entrambi baschi.

L’obiettivo sarebbe la creazione di un partito nazionale centristra, in grado di soffiare ai partiti nazionalisti il ruolo di ago della bilancia tra Psoe e Pp e quindi lo straordinario potere di ricatto che ne consegue. Operazioni del genere, nate a tavolino, difficilmente riescono. Ma lo scontento c’è, nei confronti di un governo che appare troppo impegnato sulle questioni simboliche a danno delle politiche sociali. Zapatero farebbe bene a non sottovalutarlo