Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato


Il sindacato di ricercatori inglesi UCU ha lanciato a fine maggio una campagna per il “boicottaggio di tutte le istituzioni accademiche israeliane” nel quarantennale dell'Occupazione di Gaza e della West Bank, seguendo la precedente iniziativa dei giornalisti inglesi. Nel Regno Unito si sta allargando il fronte del boicottaggio, arrivando a coinvolgere persino la Chiesa anglicana, mentre il Sudafrica, che subì l'embargo ai tempi dell'apartheid, segue l'esempio inglese. Il governo israeliano denuncia il ritorno dell'antisemitismo in Europa e minaccia di lanciare negli USA una contro-campagna per il boicottaggio dei prodotti britannici. Il boicottaggio delle università è un argomento molto controverso, poiché spesso è proprio in questi luoghi che si dà voce al dissenso. La notizia ha turbato profondamente gli accademici di etnia ebraica, mentre la maggior parte dei palestinesi-israeliani, sia studenti che professori, appoggiano la mossa, facendo notare che le università palestinesi sono di fatto completamente isolate a causa dell'Occupazione, quando non persino attaccate o bombardate dall'esercito israeliano. Il tutto nella totale indifferenza dell'opinione pubblica e in particolare nel silenzio delle istituzioni universitarie israeliane, che invece sostengono attivamente le colonie nei Territori.
Il premio Nobel americano per la fisica Steven Weinberg, a metà maggio, decise di boicottare una conferenza all'Imperial College di Londra, denunciando a gran voce la volontà del sindacato inglese UCU di boicottare le università israeliane. La notizia fece scalpore e portò l'attenzione dei media inglesi sulla questione, nel quarantesimo anniversario dell'Occupazione dei Territori Palestinesi, dando una risonanza inaspettata al dibattito. Dopo un paio di settimane, il sindacato votò a favore del boicottaggio, che consiste in particolare nel rifiuto di collaborare con riviste accademiche israeliane e di stipulare contratti di collaborazione con istituzioni israeliane. Il governo inglese, per bocca del Ministro dell'Istruzione Rammell in visita a Gerusalemme, si è subito dichiarato preoccupato e contrario ad ogni forma di boicottaggio contro Israele.

Tuttavia, oltre ai giornalisti, entro fine giugno si unirà al fronte degli attivisti, con tutta probabilità anche il potente sindacato inglese della pubblica amministrazione UNISON, che lancerà una campagna contro l'acquisto di prodotti israeliani. Questa mossa, che inciderebbe significativamente sull'immagine e sull'economia israeliana, potrebbe aprire un fronte europeo per il boicottaggio israeliano che ricorda l'embargo mondiale contro il regime sudafricano, che in quel caso contribuì alla fine dell'apartheid. Il Sudafrica ha appoggiato immediatamente l'iniziativa inglese: il maggiore sindacato sudafricano ha lanciato una campagna per il boicottaggio dei prodotti israeliani, chiedendo di bloccare le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. Sebbene il presidente Mbeki sia un forte sostenitore della cooperazione con Israele, un altro ministro del suo stesso governo, Ronnie Kasrils, di religione ebraica, supporta attivamente il boicottaggio, quindi la partita è aperta.


La leadership israeliana è estremamente seccata dai segnali provenienti da Londra, per timore che la campagna si estenda al resto dell'Europa. La reazione del governo Olmert è stata molto dura, accusando gli inglesi di antisemitismo e di essere ostaggio di un gruppo di estremisti. Il ministro degli esteri Livni ha creato immediatamente una task force governativa, alla quale partecipano politici, accademici e sindacalisti israeliani e il cui scopo è di promuovere le pubbliche relazioni nel Regno Unito e nel resto d'Europa, per evitare che ad Israele venga associata l'immagine dell'Occupazione. Il ministro Livni ha anche minacciato un contro-boicottaggio e il sindacato Histadrut ha proposto di bloccare i prodotti inglesi in arrivo nei porti e negli aeroporti israeliani. In particolare, il governo Olmert sta facendo forti pressioni negli Stati Uniti per bloccare finanziamenti americani alle istituzioni britanniche, dichiarando che “gli inglesi sapranno che il loro boicottaggio ha un prezzo”.

Il dibattito sull'efficacia del boicottaggio delle istituzioni accademiche è controverso e le opinioni sono varie. Il boicottaggio di prodotti o di aziende porta a risultati immediati e visibili, come nel celeberrimo caso della campagna contro la Shell, che fece fallire il progetto di affondare nel Mare del Nord una piattaforma per l'estrazione di petrolio in disuso. Nel caso delle università, i risultati della campagna sono difficilmente quantificabili. Gli oppositori al boicottaggio sostengono che l'ambiente più favorevole alla creazione del dissenso e di opinioni critiche è proprio l'università: molti docenti in questi anni hanno denunciato l'orrore della guerra e dell'Occupazione, tra cui i più noti sono gli scrittori Grossman, Yehoushua e Oz. Recentemente, ad esempio, i rettori di quattro università israeliane, insieme ai tre scrittori, hanno firmato una petizione al governo per permettere agli studenti universitari palestinesi di Gaza la frequenza dei corsi in West Bank: lo spostamento degli studenti palestinesi è di fatto impedito dall'esercito, per motivi di sicurezza.

Tuttavia, anche se singoli individui denunciano l'ingiustizia a voce alta, molto più spesso le università israeliane sono pesantemente coinvolte nell'Occupazione. È il caso dell'Università di Tel Aviv, la cui sede distaccata si trova nel più popoloso insediamento israeliano nei Territori, Ariel, illegale secondo il diritto internazionale. Per poter far studiare i coloni occupanti, dunque, Israele priva di questo diritto i palestinesi. I promotori della campagna, al contrario, fanno notare che, proprio grazie alla naturale predisposizione al dibattito dell'ambiente universitario, il boicottaggio riuscirà a risvegliare i docenti dall'apatia e dalla connivenza in cui sempre più stanno sprofondando.

All'obiezione del perché fare una campagna contro Israele e non invece contro l'Iran, l'Arabia Saudita o la Siria, gli attivisti sostengono che, al contrario degli altri paesi confinanti, Israele è un paese in cui il governo è eletto democraticamente, dunque il boicottaggio può avere sostanziali ricadute sull'opinione pubblica e dunque sul governo.

Nelle Università israeliane, i docenti ebrei sono estremamente contrari al boicottaggio, per molti si tratta di puro e semplice antisemitismo, come sempre quando viene criticato Israele, oppure chi si dice contrario all'Occupazione sostiene comunque che non è con l'isolamento accademico che si favorisce un cambio di rotta. Il rettore palestinese dell'Università di Al Quds a Gerusalemme è tra questi ultimi, risultando così l'unico accademico palestinese contrario alla campagna. Gli studenti ebrei sono contrari al boicottaggio, mentre gli studenti palestinesi-israeliani, circa un quinto del totale, lo sostengono con forza, appoggiati da qualche singola eccezione tra i docenti, come Ilan Pappe, noto attivista e storico dell'Università di Haifa.

La classe accademica israeliana è vista dai palestinesi-israeliani come un blocco sociale di privilegiati, connessi senza soluzione di continuità al governo e alla politica di repressione nei Territori. Le università palestinesi nei Territori subiscono il boicottaggio di fatto da molti anni, i docenti palestinesi non possono viaggiare e il diritto allo studio è calpestato quotidianamente in West Bank e a Gaza. Per questo, i palestinesi sperano che il boicottaggio inglese si estenda al resto d'Europa e risvegli l'opinione pubblica israeliana dalla totale ignoranza e ancor più dall'indifferenza che dimostra nei confronti dell'Occupazione.