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Categoria: Esteri
di Agnese Licata


Anche questa volta gli elettori francesi non hanno voluto rinunciare al colpo a sorpresa. Proprio quando tutti davano per scontato che l’”ondata blu” avrebbe travolto e conquistato anche l’Assemblea Nazionale, quando gli stessi socialisti cominciavano a pensare come affrontare cinque anni all’opposizione con al massimo 150 deputati su 577, il secondo turno delle politiche ha decretato un’inattesa rimonta della sinistra. L’Ump del neo presidente Nicolas Sarkozy guadagna, sì, la maggioranza assoluta del Parlamento con i suoi 314 seggi, ma il Ps riesce a risalire a 185, andando addirittura oltre i risultati del 2002, quando erano 149. Una rimonta che sembrava impossibile anche solo una settimana fa, di fronte a un primo turno che aveva permesso alla destra di eleggere in modo diretto ben cento dei suoi candidati (andati oltre il 50 per cento), contro uno solo dei socialisti. A questo va poi aggiunto la mancata elezione di Alain Juppé, colui che Nicolas Sarkozy aveva designato come proprio vice, e che costringe il presidente francese a rivedere la propria squadra di governo.
Si conferma, invece, la totale irrilevanza degli altri partiti e la costituzione di un’Assemblea dove domina un bipolarismo di fatto. A sinistra, il partito comunista ottiene solo 15 seggi (erano 21 nella passata legislatura), mentre i verdi devono accontentarsi di avere, anche questa volta, solo tre scranni. A destra, invece, scompare totalmente il Fronte Nazionale di Jean-marie Le Pen: il 12,60 per cento di cinque anni fa sembra lontano anni luce. Coda tra le gambe anche per il centrista François Bayrou. Il suo gioco delle tre carte gli ha fruttato appena 27 deputati, a dimostrazione del fatto che i francesi non amano trasformismi e trasformisti, almeno se sfacciati come Bayrou. Lui, storicamente uomo vicino alla destra, aveva fatto intendere di preferire Ségolène Royal a Nicolas Sarkozy. Poi, forte del 18,55 per cento di voti conquistati al primo turno delle presidenziali, aveva trasformato il vecchio Udf in Movimento Democratico, con l’intenzione di far nascere un grande partito di centro. Infine, indebolito dalle tante defezioni al nuovo partito e con le elezioni politiche in vista, gli è sembrato non ci fosse molto altro da fare se non salire sul carro del vincitore e rifiutarsi perfino di rispondere al telefono alla Ségolène, “per evitare qualsiasi ambiguità”.

In definitiva, sommando ai seggi di Ump e Ps quelli degli altri schieramenti minori, il risultato è un’Assemblea Nazionale così divisa: 345 scranni alla destra contro i 226 della sinistra. Di fronte a un quadro del genere, come spiegare la rimonta del Ps in appena una settimana, dando per scontato che non bastano certo sette giorni per sostituire alla confusione ideologica un programma pieno di quelle riforme sociali nette e concrete che gli elettori francesi chiedono a gran voce? I fattori, probabilmente, sono stati più d’uno.

Innanzitutto ha pesato la proposta fatta dal ministro dell’Economia Jean-François Borloo la sera del primo turno, quando sembrava possibile che l’Ump conquistasse anche più di 450 seggi parlamentari. Nel pieno della sicurezza, sentendo la vittoria già in tasca, Borloo annunciava di voler iniziare subito a lavorare su un aumento dei quella che i francesi chiamano Iva sociale (una tassa a tutela del made in France). Aumento non indifferente, del 5 per cento: dall’attuale 19,5 per cento a un ipotetico 24,5 per cento. E se l’idea era quella di ottenere così una riduzione del costo del lavoro, la riflessione che deve essere scattata nella mente dei francesi è il conseguente aumento dei prezzi e la riduzione del potere d’acquisto dei propri stipendi. Immagine nefasta per un partito come quello di Nicolas Sarkozy che ha promesso ai suoi elettori un Paese pieno d’imprenditori e con un’economia in forte ascesa.

Tra l’altro, la proposta di Borloo non è stata frutto di un’iniziativa personale, dato che François Fillon, il futuro primo ministro nonché spalla destra da anni del neopresidente francese, si è dichiarato molto favorevole. Di fronte agli attacchi della sinistra, alle critiche degli industriali e ai dubbi dei francesi, Sarkozy non ha sconfessato l’ipotesi, limitandosi a rassicurare che non accetterà alcuna diminuzione del potere d’acquisto.

Tra gli altri fattori da considerare per cercare di capire il recupero socialista c’è il forte astensionismo. Anche al secondo turno, come del resto era successo anche al primo, più del 40 per cento degli elettori ha scelto di non andare a votare. Il sospetto è che questa volta molti sostenitori dell’Ump, dando per scontata una netta vittoria del proprio partito, abbiano preferito rimanere a casa. Di contro, i socialisti hanno portato avanti una forte campagna di mobilitazione, sottolineando il rischio democratico di una Francia così monocolore sia alla presidenza sia all’Assemblea Nazionale.

Quale che sia stato il motivo della sorpresa rifilata a Sarkozy dagli elettori, rimane la necessità per il partito socialista di riformarsi profondamente, non cadendo nell’errore di considerare questo risultato come una vittoria. Il momento non è dei più semplici, soprattutto a causa della continua lotta intestina per la leadership. Una lotta che non sembra intenzionata a interrompersi. Proprio all’indomani dei risultati delle politiche, Ségolène Royal ha dichiarato di volersi separare dal marito François Hollande, attuale segretario del Ps, e di puntare a prendere la guida del partito in vista della sua nuova candidatura alle presidenziali del 2012.

Ma se i socialisti non vogliono condannare se stessi all’eterno ruolo di opposizione, ci sono altre priorità a cui pensare, prima di scegliere un nuovo leader. C’è un programma da mettere in piedi, realmente alternativo a quello della destra, capace di rinnovare un sistema sociale ormai in crisi. In Francia come in Italia.