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di Agnese Licata

Migliaia di malati di Aids rischiano di non potersi più curare per chissà quanto tempo a causa del ritiro precauzionale di un farmaco anti-Hiv prodotto dalla svizzera Roche. Si tratta del Viracept, un inibitore della proteasi, capace cioè d’interferire con il ciclo riproduttivo del virus. Oggi, nella maggior parte delle nazioni occidentali si preferisce prescrivere un farmaco più recente, il Kaletra (Laboratori Abbott), perché consente di ridurre gli effetti collaterali. Ma nel resto del mondo, in America Latina, Africa, Asia, dove si concentra la maggior parte dei malati di Aids, il Viracept rimane l’unico farmaco accessibile, con il suo prezzo di ventotto centesimi di dollaro a dose. La decisione della Roche di ritirare in modo indiscriminato tutte le confezioni di Viracept (sia in pillole sia in polvere) da tutti i quarantanove paesi in cui è stato venduto, rischia di privare oltre quarantacinque mila persone della loro unica possibilità di cura. Tutto era iniziato lo scorso giugno, quando la Roche aveva scoperto che alcune confezioni di Viracep erano state contaminate dall’etil mesilate, una sostanza rivelatasi cancerogena sugli animali. La casa farmaceutica ha così deciso di ritirarlo totalmente dal mercato, invitando i pazienti ai quali era stato prescritto a spostarsi verso un altro medicinale. Scelta che all’apparenza potrebbe sembrare sensata, ispirata solo dalla volontà di tutelare al massimo i malati. A guardar bene, però, la realtà è ben diversa. La Roche, ben sapendo che il Viracep è ormai prescritto solo in paesi in via di sviluppo, avrebbe dovuto cercare di circoscrivere al massimo il ritiro delle confezioni. Innanzitutto, indicando con precisione in quali nazioni sono finiti i lotti contaminati.

E invece, le uniche informazioni fornite dall’azienda riguardano lo stabilimento in cui è avvenuta la contaminazione – quello in Svizzera – e il numero dei paesi coinvolti, trentacinque. Ma quali fossero questi trentacinque paesi, non è dato saperlo. La Roche non ha voluto dirlo neanche dopo le pressioni subite dal Who (World Health Organization - Organizzazione mondiale della sanità) e dall’Agenzia europea per i farmaci (European Medicines Agency), sbandierando un fantomatico rischio per la sicurezza.

A sentire Martina Rupp, portavoce della Roche, il Viracep sarebbe stato venduto in 49 nazioni, quindi almeno una quindicina di queste potrebbero essere escluse dal ritiro se la Roche volesse. “Non abbiamo avuto alcuna informazione, neanche sull’ordine di grandezza del fenomeno”, ha dichiarato Harvey Allchurch, portavoce dell’agenzia europea. A rincarare la dose ci pensa Lembit Rago, coordinatore per il controllo sui farmaci al Who. Rago definisce il ritiro dal mercato del Viracept “una sorta di disastro” per i pazienti dei paesi più poveri. È facile per la Roche dire “ritirate e sostituite” – ha aggiunto Rago - ma potrebbe non esserci molto altro a portata di mano per rimpiazzarlo”. Il rischio, insomma, è che vengano sommariamente distrutte tutte le confezioni del farmaco, anche quelle che potrebbero ancora curare i malati di Aids.

Non solo. La Roche non ha fatto sapere quando e se verrà ripresa la produzione di Viracept. In teoria, ci sarebbe la possibilità di fare un accordo con la Pfizer, l’azienda che produce lo stesso principio attivo per Canada, Stati Uniti e Giappone. Ma per arrivare a un accordo commerciale bisognerà aspettare “un po’ di tempo”, fanno sapere dalla Svizzera. Richiederanno “alcuni mesi” anche le ricerche sulla sostanza contaminante, l’etil mesilate. Fino ad ora, l’unica certezza è che, somministrato agli animali, questo composto causa cancro e mutazioni genetiche. Negli uomini, i rischi potrebbero essere più alti per bambini e donne incinte. Ma per avere informazioni più precise bisognerà aspettare gli studi della Roche, sempre se arriveranno.

Ci tiene a fare tutto con calma, l’azienda svizzera. Del resto, fare le cose in fretta, cercare di circoscrivere il ritiro, fornire un farmaco in sostituzione del Viracept, costa. E non c’è motivo per affrontare queste spese, dato che nessuna nazione potente è stata coinvolta. E dire che la Roche potrebbe anche permetterselo, considerando i 35 miliardi di dollari di ricavi avuti solo lo scorso anno. Ma perché darsi tanto da fare? A rimetterci saranno “soltanto” i malati più poveri della terra. Sono i malati di cui le case farmaceutiche si disinteressano costantemente, perché vivono in paesi poveri dove il sistema sanitario – dove esiste – non può permettersi di pagare cifre astronomiche per acquistare i farmaci di ultima generazione.

Che abbiano l’Hiv, la tubercolosi, la malaria, la febbre gialle, rimangono comunque i più deboli, quelli che devono ritenersi fortunati se riescono ad avere dal loro governo o da qualche associazione di volontari un farmaco in grado di alleviare la malattia. Non importa che sia il più efficace, quello con meno effetti collaterali, quello, insomma, che in Europa sarebbe somministrato a una persona nelle stesse condizioni. I malati dei paesi in via di sviluppo devono accontentarsi. Non hanno molta scelta.

La discriminazione per censo, le case farmaceutiche la fanno in questo e in mille altri modi. La fanno difendendo strenuamente i propri brevetti nei tribunali indiani, brasiliani, cinesi, dove si fabbricano i generici a basso costo. La fanno fin dalla ricerca, disinteressandosi di sviluppare le nuove scoperte che permetterebbero di contrastare meglio quelle malattie tropicali che colpiscono milioni di persone nel Sud del mondo. Ancora oggi la malaria si cura con il chinino, ad esempio.

Ancora oggi, in un solo anno la vecchia tubercolosi uccide due milioni di persone. Ancora oggi, nonostante tante belle parole sulla necessità di aiutare i paesi in via di sviluppo, circa diciassette milioni di persone muoiono perché non posso permettersi le medicine. Ancora oggi, solo il 4 per cento dei malati di Aids ha accesso ai farmaci antiretrovirali come il Viracept. Grazie alla Roche, adesso, quel 4 per cento è destinato a diminuire.