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di Agnese Licata

Potrebbe sembrare una vittoria definitiva, schiacciante. Invece, a guardar bene, non è ancora detta l’ultima parola. Certo, quella che i rappresentanti di Médecins Sans Frontières non hanno esitato a definire “sentenza storica”, rappresenta una tappa importante nella lotta che i Paesi in via di sviluppo stanno conducendo in nome del libero accesso ai farmaci. Eppure, neanche la decisione della giustizia di uno Stato internazionalmente riconosciuto come l’Unione indiana, potrebbe avere forza contro il Wto, il World Trade Organization. Basterebbe infatti una sola decisione dell’Organizzazione mondiale del commercio – storicamente “impegnata” nella difesa degli interessi economici dei suoi membri più potenti – per rendere vana la decisione presa lunedì scorso dall’Alta corte di Chennai (India meridionale). Decisione con la quale ha respinto le pretese della Novartis di tutelare il brevetto di un suo farmaco salva-vita, il Glivec, l’unico al mondo in grado di curare una particolare forma di leucemia genetica. Insomma, a richiedere attenzione è, ancora una volta, la lunga battaglia tra diritto alla salute da un lato, e interessi economici delle case farmaceutiche dall’altro. Il Wto, fin da quando è nato, dodici anni fa, ha dimostrato più volte di patteggiare proprio per queste ultime.
Tutto era cominciato tra la fine dello scorso anno e i primi mesi del 2007. Fu in questo periodo che la svizzera Novartis, dopo aver scoperto che in India veniva prodotta la versione generica di un suo farmaco ancora tutelato dal brevetto, decide d’intentare causa per impedirlo. Non che il fatturato del Glivec giustifichi anche solo la parcella di un avvocato. L’imatinib mesilato (questo il suo nome chimico) è infatti destinato a curare una forma poco diffusa di leucemia, che coinvolge una-due persone ogni centomila.

Vendite e guadagni, di conseguenza, non possono che essere molto bassi, neanche lontanamente paragonabili a quelli ricavati dai farmaci contro ipertensione, colesterolo alto, depressione, le vere galline dalle uova d’oro delle multinazionali. Eppure, per coloro che in tutto il mondo vengono colpiti da questo tumore al sangue, il Glivec rappresenta l’unica possibilità di salvezza. E allora, verrebbe da chiedersi, perché la Novartis ha deciso di mettere così a rischio la propria immagine, oltre che la vita di migliaia di malati poveri?

In realtà, la sua paura è che da questo caso ne possano seguire tanti altri, soprattutto perché l’industria farmaceutica indiana fornisce farmaci alla maggior parte dei Paesi in via di sviluppo. Secondo Médecins Sans Frontières, ad esempio, ben l’84 per cento dei prodotti antiretrovirali che prescrive ai malati di Hiv, proviene proprio dall’India. L’attacco al generico del Glivec è stato un modo per ottenere la cancellazione di una piccola clausola contenuta nella legge indiane a tutela dei brevetti farmaceutici. Secondo questa clausola, vengono considerati esenti da brevetto (e quindi non esclusiva dell’azienda che per prima li ha commercializzati), quei farmaci essenziali che apportano modifiche non significative a molecole già conosciute prima del 1995.

È il caso del Glivec. La molecola era in possesso della Novartis da molto prima che un ricercatore dell’Università dell’Oregon scoprisse la sua capacità di bloccare velocemente lo sviluppo di una particolare malattia. Il rischio che questa eccezione venisse applicata anche su farmaci ben più redditizi del Glivec, deve aver spinto la Novartis a intentare causa.

Ma l’Alta corte di Chennai ha respinto le richieste avanzate dalla società svizzera. Lo ha fatto, però, non scendendo nel merito, ma affermando che non è tra le sue competenze stabilire se la legislazione indiana sia compatibile con le regole sulla proprietà intellettuale fissate dal Wto. La palla, quindi, passa al Wto. Non per niente la Novartis ha fatto sapere di non essere intenzionata a ricorrere in appello alla Suprema corte indiana, aspettando speranzosa, invece, i risultati di un’inchiesta “imparziale e indipendente” della Commissione per le proprietà intellettuali.

E conta fino a un certo punto il fatto che il governo svizzero abbia dichiarato di non essere interessato a portare la questione sul tavolo del Wto. “Noi accettiamo ogni sentenza emessa dall’India”, ha dichiarato Doris Leuthard, consigliere federale per il dipartimento degli Affari economici. Non conta molto, considerando la forza di Big Pharma, l’insieme delle multinazionali del farmaco, e considerando il peso degli Stati Uniti, da sempre paladini di un finto libero mercato che tuteli solo i propri interessi.

L’uscita delle autorità svizzere conta poco anche considerando le leggi internazionali stipulate a Doha nel 2001 e sottoscritte da tutti i 150 membri del Wto. Secondo quell’accordo – nato dalle minacce del Sudafrica, incapace di combattere l’Aids senza la possibilità di produrre i generici anti-Hiv – ai Paesi in via di sviluppo è concesso riprodurre molecole ancora coperte dal brevetto solo in caso di “emergenza nazionale e situazioni di estrema urgenza”. Non è questo il caso del Glivec che, come detto, è destinato a curare una malattia rara. La possibilità, la paura per i malati più poveri di tutto il mondo è che il Wto faccia pressione sul governo indiano affinché renda più restrittive le sue leggi.

E un organismo internazionale che si occupa di commercio ha mille modi per influenza le decisioni di uno Stato, anche solo in maniera indiretta. Soprattutto se la nazione in questione punta sulle esportazioni per far crescere ulteriormente la sua economia (lo scorso anno l’India ha esportato beni per il valore di 82,2 miliardi di dollari).

Commentando la sentenza della corte di Chennai, il presidente di un’associazione che assiste i malati di cancro di Mumbai, ha dichiarato: “Questa è la più importante vittoria nazionale e internazionale. L’India ha un’industria farmaceutica da 5 miliardi di dollari, e il 65 per cento di questi farmaci sono venduti nei Paesi in via di sviluppo e alle persone più povere. Tutto questo avrebbe rischiato di subire un arresto se il giudizio fosse stato diverso. Sarebbe potuta essere la morte dei farmaci a prezzo sostenibile”. Spetta adesso al Wto decidere se, nonostante la decisione della giustizia indiana, sia più importante garantire gli introiti alle multinazionali farmaceutiche, oppure permettere che tutte le nazioni, anche le più povere, possano garantire ai propri malati cure adeguate.

Perché gli Stati o i semplici cittadini che si possono permettere di pagare 2.600 dollari per un solo mese di cura, come nel caso del Glivec, sono una netta minoranza nel mondo. Purtroppo, la meno ricca e, quindi, meno influente.