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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

La “tigre thailandese” ha una nuova Costituzione. L’hanno scritta gli uomini della giunta militare (al potere dopo il colpo di stato del settembre 2006) e al voto, con un referendum al quale erano stati chiamati 45 milioni di elettori, sono andati solo in 26 milioni. Nel sud del paese, a Bangkok e nelle province a maggioranza musulmana, l'88% ha approvato la “carta”, mentre nel nord-est, fedele all’ex premier Thaksin Shinawatra (il miliardario delle telecomunicazioni che fu destituito dalla giunta e che oggi è in esilio tra Singapore e l’Inghilterra), i “No” hanno raggiunto il 63%. Quanto al risultato generale, la Commissione elettorale parla di un 57,6% favorevole al testo della nuova Costituzione. Intanto le prime valutazioni parlano di una volontà popolare che punta al ritorno della democrazia e della stabilità politica. Ma sono anche in molti a denunciare gli aspetti negativi di una “carta” nata nel clima della giunta che è al potere. La consultazione non è stata, comunque, uno “tsunami” politico e sociale. Il Paese l’ha accolta come un fatto di ordinaria amministrazione, senza però dimenticare i profondi contrasti che caratterizzano e sconvolgono la società: una “democrazia” corrotta che sta seguendo la cura del Fondo Monetario Internazionale e con un sistema economico che potrebbe non reggere a un nuovo shock finanziario simile a quello degli anni scorsi. I militari gettano acqua sul fuoco, rilevando che il voto è stato un successo che apre la strada alle prossime elezioni, che si terranno entro la fine dell'anno. Secondo i critici, però, la Costituzione ora votata è troppo restrittiva e proprio il risultato del referendum riflette le grandi spaccature del Paese dove le tensioni economiche e sociali sono fortissime. Su tutta questa situazione grava anche il fatto che il referendum e la campagna preparatoria hanno rivelato il vero volto di una giunta militare che ha blindato il paese e la sua vita politica. Si è infatti imposta una modifica della Costituzione che conferisce un potere enorme al Governo. Con i movimenti di opposizione esclusi di fatto dalla campagna referendaria e obbligati al silenzio, che hanno subìto repressioni di ogni tipo con militanti arrestati senza alcuna ragione valida. Non solo, ma i principali mezzi di comunicazione non hanno dato spazio alle opposizioni e i siti web critici nei confronti della giunta, sono stati oscurati scientificamente.

A rifiutare il “referendum della giunta” sono stati soprattutto i sostenitori del partito “Thai Rak Thai”, dell’ex premier Thaksin, che hanno le loro basi sia a Bangkok che nelle zone rurali. La denuncia è netta. Si afferma che la Costituzione è stata scritta senza consultare il popolo e che è decisamente antidemocratica, in quanto prevede che metà dei senatori non verranno eletti, bensì nominati da un comitato di giudici e burocrati; cosa che, appunto, potrebbe creare una pericolosa confusione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Inoltre una clausola prevede la totale amnistia per tutte le attività collegate al colpo di Stato del settembre 2006.

In conseguenza di questa situazione di stretto controllo e di limitazioni della vita democratica non è da escludere che anche gli interventi del governo in economia potrebbero avere conseguenze pericolose sul mercato interno ed internazionale. Problemi ciclopici anche per quanto riguarda i profondi contrasti tra la capitale Bangkok - in forte espansione e modernizzazione con una corsa sfrenata verso l'industrializzazione dell'era dei computer - e il resto del Paese, come a Chiang Mai, Chiang Rai e Phitsanulok, dove la popolazione vive ancora in abitazioni fatiscenti e in condizioni di estrema povertà. Ed è appunto sulle questioni dell’economia sociale che si concentra l’attenzione delle forze di opposizione, che parlano già di una sconfitta di quella che un tempo era definita come la politica socio-economica della ”tigre thailandese”. Il paese si dibatte quindi non solo tra militari e liberismo perchè sente che la “tigre” della crisi finanziaria potrebbe tornare a ruggire...

Intanto la facciata esterna - quella emblematica del Siam Center della capitale - è ben descritta dalle agenzie mondiali che curano l’immagine del Paese anche dal punto di vista turistico. Ma la realtà è diversa. Perchè si è pur sempre lontani dai record di altre nazioni asiatiche (come la Cina). La crescita media non supera il 5%. E’ chiaro che l’attenzione degli economisti che seguono l’Asia e il suo sviluppo si concentra su quanto sta avvenendo a Bangkok. Con il mondo degli affari che si mostra, comunque, ben disposto ad accettare il futuro disegnato dalla giunta militare ribadendo, nello stesso tempo, che la crescita della domanda interna rimarrà l’indispensabile forza determinante al raggiungimento del successo nell’ambito di una politica di sviluppo praticabile e sostenibile.

Si moltiplicano così gli inviti alla “pace sociale” per non mettere a rischio la crescita economica. E si sottolinea, allo stesso tempo, che in Thailandia la globalizzazione consisterà sempre più e fondamentalmente in un processo di industrializzazione, con capitali e tecnologie provenienti soprattutto dall’America e con un netto orientamento ad esportare verso i mercati esteri. Si fa infine notare - nel quadro dei futuri assetti istituzionali - che con tutta probabilità, quanto prima le redini della Thailandia torneranno nelle mani dei partiti politici. Ma c’è anche chi sostiene che il Paese potrebbe avviarsi verso un modello di stato posto sotto la “tutela” di un esercito sempre pronto a intervenire. Anche grazie alla nuova “Costituzione”.