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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

Un miliardo e 300 milioni di abitanti. Un solo partito. Un solo leader. E’ la Cina di oggi che va al XVII congresso comunista (fissato per il 15 ottobre prossimo) che si annuncia austero ma anche carico di revisioni che potranno avere ripercussioni sociali di grande rilievo. Sarà un consesso che deciderà la direzione della Cina per i prossimi cinque anni e che si caratterizzerà su due fronti: uno spirito generale di maggiore realismo e una spinta verso un indiscusso controllo sull’apparato. Regista ed attore principale sarà il sessantatreenne Hu Jintao. Un personaggio che ha già rafforzato la sua leadership interna trovando alleati stabili e reali e che si è fatto conoscere in varie parti del mondo - da Mosca a Washington - per il suo pragmatismo e, allo stesso tempo, per il suo basso profilo. In patria, comunque, sono ancora in discussione le sue doti di economista e di gestore dell’intera vita cinese. Viene accusato di non avere la preparazione e il carisma necessari per affrontare le dure sfide che attendono il paese, come i rapporti con Taiwan, l’azione militare degli Stati Uniti in Asia centrale, le riforme economiche con la crisi finanziaria che torna a ruggire nel continente asiatico. Ma sul suo conto in positivo vengono messe alcune opere di grande rilievo come i due importanti progetti: la diga delle Tre Gole e la ferrovia per il Tibet. Il Congresso che è ora alle porte (l’ultimo, il XVI si svolse nel 2002) potrebbe essere, quindi, decisivo per l’ulteriore carriera di Hu Jintao. Il quale, proprio in questi ultimi tempi, accentua i suoi riferimenti ideologici e sferra precise battaglie cercando di arginare le tensioni sociali, i problemi ecologici e le disparità fra ricchi e poveri. Parla di obiettivi che si spingono sino al 2012 e di una società basata su un relativo benessere generale da costruire entro il 2020. Propone slogan che si riferiscono allo sviluppo scientifico e ad un socialismo democratico da sviluppare però sotto il controllo e la direzione dei comunisti. Chiede al Partito visioni concrete e possibilmente unitarie basate anche su motivazioni ideologiche. E, soprattutto, invita alla lotta contro la “corruzione” che dilaga a tutti i livelli e che, spesso, coinvolge la nomenklatura più alta.

Vengono letti in questo quadro i cambiamenti avvenuti nelle settimane scorse in seno al governo. Hanno liberato le loro poltrone il ministro delle Finanze, Jin Renqing (duramente criticato per aver lasciato correre l’inflazione); il capo del ministero per la Sicurezza di Stato, Xu Yongyue (un personaggio ereditato dall’allora presidente Jiang Zemin); i responsabili dei dicasteri del Personale e della Supervisione e il ministro della Commissione di stato Tecnologia e industria per la difesa nazionale .

Le ragioni degli sconvolgimenti all’interno del consiglio dei ministri vengono considerate a Pechino come il risultato di lotte che agitano i vertici del Paese. C’è una reale crisi politica ed economica che Hu Jintao vuole bloccare al più presto prima di trovarsi di fronte un Congresso che potrebbe anche metterlo sotto accusa agitando lo spauracchio di una svolta a sinistra con un ritorno all’ortodossia. Alimentando così i timori degli investitori stranieri già preoccupati per l’approvazione di una nuova legge antimonopoli che rende più difficile l’acquisizione di imprese cinesi.

A tutto questo va aggiunto che circola già - nei canali della clandestinità - un documento chiamato “Lettera dei Mille”, nel quale si rivendicano politiche di libertà e rispetto dei diritti umani. Una sorta di carta programmatica che potrebbe creare difficoltà al leader massimo del Paese, sia oggi che in futuro e, soprattutto, in vista delle Olimpiadi dell’agosto 2008.

Ma le preoccupazioni maggiori che agitano il Comitato Centrale del Pcc riguardano quella crisi sociale che ha colpito le campagne, dove le rivolte violente contro la corruzione dei funzionari e gli espropri delle terre sono quotidiane. Tanto che, per impedire la diffusione di notizie in merito, l’Assemblea nazionale del popolo (che è la Camera dei deputati della Cina) ha adottato una legge che consente di chiudere quei giornali che pubblicheranno notizie considerate “allarmistiche”...

Varie, quindi, le spinte che soffiano sul prossimo Congresso. Perchè ai temi relativi al ritorno ad una politica di vertice fanno seguito molte spinte liberali. E Hu Jintao, da pragmatico, vuole bloccare ogni iniziativa di volontarismo politico, alla Krusciov. Preferisce una stagnazione controllata, senza alcuna perestrojka all’orizzonte. Teme, tra l’altro, che in una fase di scontri diretti potrebbe prendere sempre più piede la cosiddetta “cricca di Shanghai” che è quella fazione legata all’ex presidente Jiang Zemin. Un gruppo, i cui membri sono stati al centro di diversi scandali per corruzione e che ora domanda più democrazia nel Partito, forse proprio per guadagnarsi uno spazio.

Ma il vero spazio che mostra crepe evidenti è quello dell’economia. Il pericolo consiste nella accelerazione dei ritmi di sviluppo dal momento che il Paese, anche in vista di eventi come le Olimpiadi del 2008, sta divorando grosse percentuali di materie prime e risorse, con il risultato di alzare i prezzi e favorire la crescita dell’inflazione. Il rischio immediato è che in questa corsa vengano coinvolti il sistema bancario e le borse.

Ci sono poi questioni sempre aperte con Taiwan e con il Tibet. Nei confronti dell’isola indipendente (22 milioni di abitanti con una superficie di 36.000 chilometri quadrati) Pechino mostra una prudenza estrema. Sa che i nazionalisti di Taipei contano sull’appoggio decisivo di Stati Uniti e Giappone, ma che allo stesso tempo non intendono proclamare formalmente l’indipendenza. Si è quindi in presenza di un paradosso diplomatico-istituzionale e militare. Taiwan fa parte della Cina, ma non si augura di essere assorbita da Pechino. E di conseguenza se la Cina attaccasse Taiwan, i soldati formosani combatterebbero con tutte le forze. Ma nel caso in cui Taipei proclamasse l’indipendenza e si innescasse un conflitto per affermare il principio che Taiwan appartiene ai taiwanesi, all’interno delle forze armate si comincerebbe a dubitare della fedeltà degli ufficiali cinesi.

La gente non sacrificherebbe mai la vita per un ideale in cui non crede. Ecco perchè Hu Jintao si muove con estremo pragmatismo in questa vicenda dell’isola. E’ convinto, tra l’altro, del fatto che nel futuro immediato la Cina non avrà la forza di riprendere Taiwan con le armi. Né Taiwan ha interesse a esasperare la situazione proclamando l’indipendenza, con il rischio di un conflitto etnico. Potranno esserci in futuro episodi di tensione, ma la pace tutto sommato non è in pericolo.

Quanto al Tibet (3 milioni di abitanti in oltre un milione di chilometri quadrati) c’è da registrare che la politica di Pechino si è concentrata negli ultimi tempi sulle questioni dello sviluppo economico della regione. E la linea ferroviaria che unisce la capitale a Lasha è, appunto, parte importante di questa strategia. Tanto che lo stesso Dalai Lama - dal suo esilio indiano ha spesso dichiarato (spiazzando molti dei suoi sostenitori occidentali) che il Tibet fa parte della Repubblica popolare cinese e ne è una sua regione autonoma: “La cultura tibetana e il buddismo - ha poi aggiunto - fanno parte della cultura cinese e molti giovani considerano la nostra cultura una tradizione cinese”. E sempre il Dalai Lama - rivelando posizioni favorevoli ad un compromesso con la dirigenza cinese - ha espresso giudizi positivi nei confronti delle scelte economiche e strategiche compiute dai comunisti. “Il progresso materiale della Cina - ha detto - ci fa progredire. E questo vale anche per la scelta relativa alla recente ferrovia...”. Ma nel conto del contenzioso che riguarda l’area tibetana, Pechino è pur sempre costretta a ricordarsi che non sono mai concluse quelle dispute sulla frontiera con l’India in un’immensa regione montuosa, scarsamente popolata ma di notevole rilievo strategico e simbolico.

Hu Jintao - per rafforzare la sua leadeship - gioca la carta del grande appuntamento internazionale dell’agosto 2008, quello delle Olimpiadi. Una occasione eccezionale per costruire una nuova immagine del Paese dimostrando al mondo di non essere solo quella potenza economica che tutti conoscono. Di conseguenza lo sport cinese diventa il tramite perfetto, anche per rinvigorire quello spirito nazionale che, negli ultimi tempi, si è affievolito. C’è così in tutta la Cina, in ogni quartiere delle grandi città, ma anche nei piccoli agglomerati urbani, un proliferare di scuole sportive e palestre. Gli investimenti finanziari sono notevoli e gli sforzi per preparare campioni in ogni disciplina sono sotto gli occhi di tutti. E i primi risultati si sono visti già ad Atene dove la Cina si piazzò al secondo posto del medagliere, dietro agli Stati Uniti, conquistando 32 ori, 17 argenti e 14 bronzi...

Infine il tema del rapporto “religioso” con l’occidente. Qui è il Vaticano di Benedetto XVI che guida il confronto. Di recente da Roma è partita - il 27 maggio scorso - quella lettera ai cattolici che tanto ha fatto discutere le comunità cinesi. Proprio perchè è stata letta come un documento prettamente teologico, di natura “apostolica”. Il Papa non ha parlato del sistema politico cinese, eppure certi passaggi sono precisi, anche nel loro significato indirettamente politico: “La pretesa di alcuni organismi voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica, secondo la quale la Chiesa è apostolica”. Un monito, questo, rivolto alla Pechino comunista dove una chiesa cosiddetta “indipendente” da Roma – come viene di solito chiamata quella ufficializzata dallo Stato – è “incompatibile con la dottrina cattolica”. La lettera, è così divenuta una grande scommessa sulla Cina anche dal punto di vista della evangelizzazione cristiana.

Questo, in sintesi, il quadro generale di una Cina “comunista” che va a congresso. Con molte novità a livello governativo. Con una ristrutturazione che ha portato nella compagine nuovi ministri: Geng Huichang, 56 anni, alla sicurezza; Zhang Qingwei, 46 anni, al dicastero della difesa nazionale; Ma Wen, 59 anni, già vice-segretaria del Partito nella commissione disciplinare che diviene ministro della Supervisione; Yin Weimin, 54 anni, nuovo responsabile del ministero del Personale.

Molte galassie, quindi, gravitano nel firmamento cinese che resta pur sempre un centro di gravità dove il pragmatismo geopolitico e geoeconomico dominano incontrastati. Le ulteriori risposte e precisazioni verranno alla luce solo il 15 ottobre quando Hu Jintao parlerà ad un Congresso sul quale saranno puntati gli occhi di tutta la nazione e del mondo intero.