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Categoria: Esteri
di Raffaele Matteotti

La democrazia in Birmania è sparita nel 1988. Fu allora che venne istituito il Consiglio di Restautazione dell'Ordine e dello Stato (State Law and Order Restoration Council o SLORC), sostanzialmente una giunta militare onnipotente con a capo un militare. Il paese reagì negativamente, ma una spietata repressione uccise migliaia di oppositori, per lo più studenti, affermando la dittatura nel paese. Il dittatore era allora Saw Maung, che durò fino al 1992 (ignorando i risultati delle elezioni del 1990). A succedergli nel doppio ruolo di capo dell'esercito e di primo ministro fu il generale Than Shwe, ancora oggi al potere. Inizialmente Than Shwe venne visto come dittatore più morbido rispetto a Maung, ma la sua permanenza al potere s’incaricò di dimostrare l’ottimismo fuori luogo di quelle previsioni. Than Shwe ha un saldo controllo sull'esercito e lo dimostra il fatto che quando ha compiuto sessanta anni, data prevista per la pensione, ha festeggiato spostando più avanti il limite. Nel 1997 ha intrapreso un'operazione di cosmesi istituzionale, trasformando lo SLORC in Consiglio per Sviluppo e la Pace dello Stato ( State Peace and Development Council o SPDC) e lasciando tutto come stava. Con il passare degli anni, come molti dittatori di estrazione militare, ha maturato una serie di paranoie che lo hanno portato ad imporre non solo la repressione, ma anche le sue decisioni bizzarre al popolo birmano. L'uomo è comunque presente a se stesso e per preservare il suo potere non ha mancato di concedere l'accesso alle risorse birmane a Cina e India (con quest'ultima che collabora anche nella repressione dei ribelli che operano nel Nord Est del paese e che si rifugiano in Myanmar), contando in tal modo di acquisire quelle sponde internazionali che gli permettessero di resistere alle pressioni che USA e Gran Bretagna (ex protettore coloniale di Burma) hanno perpetuato senza grossa convinzione in nome dei diritti umani e della democrazia.

La decisione di spostare la capitale del paese da Rangoon all'interno, costruendo dal nulla la capitale quasi-segreta di Naypyidaw nel cuore del paese, si è fondata sul presupposto che sarebbe meglio difendibile in caso di attacco straniero. Il potere di Than Shwe non sembrava per nulla contrastabile fino a poche settimane fa; nemmeno la concessione del premio Nobel per la Pace alla signora Aung San Suu Kyi, figlia dell'eroe dell'indipendenza birmana Aung San e leader del Movimento per la Restaurazione della Democrazia, aveva scalfito il suo potere. Quando San Suu Kyi radunò le folle nel 2002, il governo fu lesto a rinchiuderla e a relegarla, fino ad oggi, agli arresti domiciliari.

Pochi giorni fa migliaia di monaci buddisti sono scesi in strada in diverse città per protestare contro l'aumento del prezzo della benzina, che non è precisamente in cima alle loro preoccupazioni, ma a quelle dei loro concittadini sì. Nei giorni a seguire si sono unite a loro le monache e poi i cittadini comuni, determinando un cambiamento nell'oggetto della protesta, che ora ha per obbiettivo il ritorno della democrazia. La giunta appare incerta, reprimere i monaci come furono repressi gli studenti potrebbe risultare controproducente in un paese buddista che ormai non si può permettere molto di più che la preghiera.

Nel corso dell'ultima dimostrazione monaci e cittadini hanno tentato di raggiungere la casa di Aung San Suu Kyi per renderle omaggio, ma i militari non lo hanno permesso. La signora è apparsa sulla porta della sua abitazione, ma ben pochi sono riusciti a vederla dietro al muro dei militari ansiosi di menare le mani, che non hanno risparmiato provocazioni. Tutto questo è trapelato nonostante l'assenza di una stampa libera e l'ossessiva censura di Internet praticata dal governo birmano. Una censura che, come sempre, non ha saputo aver ragione degli espedienti messi in campo da chi Internet la vuole libera e senza censura. In Myanmar sono pochi i cittadini che ci possono permettere i carissimi provider birmani, ma esistono migliaia di internet point, spesso abbastanza nascosti, attrezzati per evadere la censura e permettere ai propri clienti di navigare liberamente; da qui i video e le notizie delle proteste raggiungono in resto del mondo ancora prima che i pochi giornalisti stranieri presenti possano inviarle in patria.

Il destino della protesta è quanto mai incerto, ma il potere di Than Shwe e della sua giunta non sembra realmente in pericolo; le cifre parlano di qualche decina di migliaia di dimostranti (in un paese di cinquanta milioni di abitanti), non tanti da essere una reale minaccia. Si tratta comunque di un'eruzione di malcontento come non se ne vedevano da anni nel paese. Solo il tempo dirà se le marce dei monaci avranno dato il via ad una valanga capace di travolgere la dittatura o se questa reggerà l'urto lavando, come consuetudine, l'offesa nel sangue.