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Categoria: Esteri
di Raffaele Matteotti

Una grande cospirazione del silenzio si sta dando da fare per occultare l’ennesimo genocidio. Un regione non troppo remota, l’Ogaden, si trova circondata dalle truppe di un governo dittatoriale. La regione ospita quasi cinque milioni di abitanti, seicentomila stanno per morire di fame secondo diverse organizzazioni internazionali. Il governo ha sigillato la regione, armando bande di predoni e praticando la pulizia etnica nelle zone più densamente popolate dall’etnia che costituisce l’ossatura locale della resistenza al governo centrale. Case bruciate, esecuzioni pubbliche, lo stupro come arma terrorizzante; un menù già tristemente noto. Decine di paesini sono stati bruciati, centinaia di migliaia i profughi, una fotocopia di quanto accaduto in Darfur. Diversamente dal Darfur però la regione non è accessibile, la dittatura ha sigillato i confini ottenendo non solo di affamare la popolazione, ma anche di impedire l’accesso di curiosi. I curiosi esistono ancora, fortunatamente, ma ben poco possono fare. Il giornalista inglese David Blair è stato arrestato e trattenuto, poi liberato ed espulso, nonostante l’atteggiamento per niente aggressivo nei confronti della dittatura, fino a poco tempo fa era decisamente più ostile ai “ribelli” che al governo. Al giornalista del New York Times, Jeffrey Gettleman, che è riuscito a documentare le atrocità è andata un po’ peggio ed è “sparito” per una settimana prima di essere espulso. Nel paese vige una Costituzione federale che consente alle regioni di rendersi indipendenti, una clausola che Joseph Stiglitz ha descritto come una precauzione grazie alla quale il governo centrale non può abusare delle realtà locali, le quali se si sentissero discriminate potrebbero scegliere l’indipendenza. Il mainstream è saturo di articoli come quello di Stiglitz che definiscono incoraggiante lo sviluppo economico sotto la guida del dittatore e ignorano completamente il terrificante record di denunce accumulato da questa dittatura per stragi, campi di detenzione e lager di “rieducazione”. Le organizzazioni umanitarie lanciano appelli, l’Unione Europea lancia ammonimenti, ma la vicenda non emerge sui media. Sarà forse che per il governo degli Stati Uniti va invece tutto bene?

In Ogaden la dittatura è quella etiope di Meles Zenawi, che lo scorso Natale ha anche invaso la Somalia senza difficoltà, dicendo che gli scalcagnati somali si apprestavano ad attaccare il suo poderoso esercito rifornito da Washington. Secondo il governo etiope i soldati non attaccano i civili e secondo Jendayi Frazer, Assitente del Segretario di Stato per gli Affari Africani, “gli Stati Uniti non sono in grado di confermare le accuse di atrocità rivolte all’esercito Etiope in Ogaden”. Per Frazer il recente avvicinamento al governo di Adis Abeba è dovuto al fatto che “il governo etiope non sta minacciando con azioni terroristiche nessun cittadino americano”, ma non è proprio questo il punto. Secondo un analista di Human Right Watch, invece, “ le forze militari del governo etiope hanno commesso sistematicamente atrocità e violati i principi fondamentali delle leggi di guerra”.

Etiopia, Ogaden, Somalia, Eritrea: paesi che sono stati teatro delle avventure coloniali italiane dove oggi dettano legge gli Stati Uniti. Diversamente da altre zone dell’Africa, dove resiste ancora il controllo e l’influenza dell’antico patronato coloniale europeo, il Corno d’Africa è ormai cosa di Washington e i risultati si vedono soprattutto in termini di controllo del “battlefield” mediatico.

Non c’è un solo dibattito in televisione, non c’è un solo giornale che faccia campagna per salvare la popolazione dell’Ogaden, non parliamo di quella somala. Molti somali parlano correttamente l’italiano, in Italia ci sono molte persone di origine somala, come ce ne sono arrivate dall’Etiopia e dall’Eritrea, ma nessuno di questi si vede mai in televisione in prima serata. Milioni di ore di dibattiti sul nulla e nemmeno cinque minuti per un genocidio con accanto una guerra sanguinosa.

Delle distruzioni portate dall’invasione etiope-americana della Somalia non si parla mai; o meglio, ogni tanto c’è qualche riga su atti di “terrorismo” contro le truppe d’invasione arrivate a “portare la democrazia” e a “dare la caccia ad al Qaeda”. Attacchi ai quali gli etiopi rispondono bombardando interi quartieri a casaccio. Anche qui ogni tanto arrivano gli americani dal cielo e bombardano interi villaggio per dare la caccia a qualche gruppetto di “terroristi” che invariabilmente sfugge al bombardamento, diversamente dagli abitanti dei villaggi.

Una sottile differenza tra Ogaden e Somalia, a dire il vero c’è: il governo-fantoccio di Mogadiscio affama i campi-profughi, accusando donne e bambini di essere “terroristi” e impedendo la distribuzione di aiuti da parte delle ONG umanitarie. In Ogaden, invece, il governo impedisce la concentrazione dei profughi e l’ingresso delle ONG nella regione. Così non ci sono campi profughi e nemmeno aiuti alle popolazioni civili accusate di sostenere la ribellione.

Nei giorni scorsi il Congresso degli Stati Uniti ha votato una mozione che definisce “genocidio” la strage di armeni da parte dell’esercito turco nel 1915-17 e la Turchia ha ritirato l’ambasciatore a Washington per protesta. Sembra che per gli Stati Uniti e per tutto l’Occidente sia molto più facile riconoscere e giudicare le stragi degli altri nel passato che riconoscere quelle perpetrate in queste ore sotto gli occhi di telecamere e satelliti.