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Categoria: Esteri
di Bianca Cerri

E’ stato un applauso planetario quello che è scrosciato una settimana fa quando l’ex-vice presidente degli Stati Uniti, Al Gore, si aggiudicava il Nobel per la pace riuscendo a primeggiare su diecimila monaci buddisti, un eroe dell’olocausto e due benefattori del rock come Bob Geldof e Bono. Gore ha accettato il premio dicendosi onorato ma, subito dopo, è subito tornato a ribadire che il surriscaldamento globale è una vera emergenza contro la quale non si sta facendo abbastanza e solo l’impegno collettivo potrà evitare la catastrofe. Secondo i giornalisti più disincantati, l’ex-presidente sta solo cercando la leva giusta per spiccare il volo verso quella vittoria elettorale sfuggitagli per un pelo nel 2000. Ma Hillary Clinton, la cui antipatia nei confronti di Gore è storia antica, ha detto con toni alquanto gelidi che di candidati ce ne sono già a sufficienza. D’altra parte, i due si odiavano già negli anni in cui lei era semplicemente la first lady, figuriamoci cosa accadrebbe se dovessero ritrovarsi a contendersi la Casa Bianca. Sia come sia, Al Gore è riuscito a portarsi a casa un premio Oscar e il Nobel per la pace in meno di due anni. Sempre che il Nobel abbia ancora qualcosa a che fare con la pace naturalmente, perché ad occhio e croce sembrerebbe proprio di no, dal momento che in passato sono riusciti ad aggiudicarselo anche personaggi dalla storia niente affatto cristallina. Qualcuno sostiene addirittura che uno dei modi più sicuri per essere insigniti del premio Nobel è ammazzare un sacco di gente; esempio insigne fu Henry Kissinger, che nel 1973 ottenne il Nobel per la pace pur essendo stato il regista della distruzione del popolo cambogiano e di quello vietnamita, imprese alle quali ha fatto seguito, nello stesso anno, il colpo di Stato in Cile. Non che Al Gore sia riuscito ad uguagliare il primato di un Principe del Male come Kissinger, ma è pur vero che ogni sua mossa politica negli otto anni passati a fianco di Bill Clinton contribuì enormemente ad erodere le conquiste sociali di gran parte degli americani. Basterebbe solo dare un’occhiata a “Prosperità per la Famiglia Americana”, un libello scritto da Gore in persona nel quale propone un sistema fiscale basato sulle qualità umane del contribuente per rendersene conto.

Ad appannare la fama poco cristallina dell’ex-presidente ci sono anche tragedie ambientali, come quella del fiume Pigeon, che scorre parallelo ad una strada statale ai confini tra Carolina del Nord e Tennessee, lo stato dove Gore nacque una sessantina di anni fa e dove tuttora la sua famiglia possiede una miniera di zinco. Una cartiera della zona fu autorizzata già nel 1988 a riversare i suoi rifiuti nelle acque all’epoca ancora limpide del Pigeon e con gli anni il fiume si è trasformato praticamente in una massa gelatinosa, satura di scorie e maltrattamenti. Vale la pena di ricordare che fu proprio Al Gore ad autorizzare lo sfacelo del Pigeon alla vigilia della campagna elettorale, in cambio di una manciata di voti.

Naturalmente non ci sono solo i danni ambientali nel pittoresco passato dell’ex-uomo politico trasformatosi solo di recente in profeta dell’ambiente. La brama di denaro con cui finanziare le proprie aspirazioni politiche lo portò ad organizzare una raccolta fondi in un tempio buddista facendo credere che si trattasse di una serata di beneficenza a favore dei monaci. Correva l’anno 1999 e Gore era sicuro che la Casa Bianca gli spettasse di diritto dopo tanti anni vissuti all’ombra del cinico Bill Clinton.

I giornalisti consumarono fiumi d’inchiostro sull’episodio che può essere riassunto in poche e semplici parole: a fine serata, Gore si fece consegnare la somma raccolta dai monaci per destinarla alla sua campagna elettorale. Ai fini strettamente legali, poiché non fu possibile provare che il diretto interessato avesse organizzato egli stesso il raggiro, il reato venne a cadere. Gore finì però ugualmente nell’occhio del ciclone per aver sollecitato donazioni a suo favore attraverso una serie di telefonate di carattere privato. Non siamo ancora ai livelli di George Bush, ma neppure troppo lontani.

Bob Woodward, storico cronista del Washington Post, ha calcolato che Al Gore riuscì a mettere insieme qualcosa come 180 milioni di dollari ricorrendo ad ogni tipo di sotterfugi. Al tempo stesso, consolidò i suoi legami con personaggi come Josè Cabrera, attualmente detenuto in un carcere degli Stati Uniti dove sta scontando 19 anni per traffico di stupefacenti. Cabrera era già stato condannato a tre anni e mezzo di detenzione per frode fiscale. Altro strano figuro vicino ad Al Gore è Howard Glicken, che durante la campagna elettorale di Bill Clinton lo aiutò a raccogliere fondi illegali a beneficio del presidente. Glicken dirige un’agenzia di import-export e spedisce merci varie nei paesi dell’America Latina. Non ha mai nascosto di essersi spesso servito dell’aiuto di politici amici per proteggere le sue attività.

Nell’estate del 2000, mentre la campagna elettorale poi vinta da George Bush era ancora in corso, Al Gore fu contattato dai coniugi Elrod, affittuari di una casa mobile di proprietà dell’uomo politico al quale corrispondevano all’epoca un affitto di quattrocento dollari al mese. Gli Elrod chiesero a Gore di provvedere a sue spese alla riparazione del tetto che lasciava filtrare l’acqua piovana rendendo molto difficile la vita quotidiana ma non furono accontentati. Alla fine, stanco di essere richiamato ai suoi doveri in quanto proprietario, Gore fece sloggiare gli Elrod con l’aiuto della polizia.

In Tennessee, la famiglia Gore è considerata pressoché intoccabile, lo prova il fatto che la miniera di zinco di cui è proprietaria è ancora in funzione nonostante abbia inquinato pesantemente l’acqua un tempo potabile della zona attorno a Carthage. Analisi chimiche hanno permesso di scoprire che la quantità di cadmio e mercurio attorno allo stabilimento di Clarksville, dove vengono lavorati i minerali provenienti dalla miniera, è nettamente superiore alla media e nuoce gravemente alla salute degli abitanti. La famiglia Gore ricavava già dieci anni fa un reddito pari a 190.000 dollari l’anno dalla miniera ma non risulta abbia mai speso un centesimo per risolvere la situazione.

Ovviamente si tratta di dati che non compaiono né nel libro che l’ex-vice presidente ha dedicato alla “lotta per la protezione dell’ambiente” né (tanto meno) nel celebrato film-documentario “Una scomoda verità”. O meglio, per la verità qualcosa compare, ma è stata distorta al punto da renderla inintelligibile. Quando vennero tagliati gli alberi di yucca nei boschi che circondano la miniera, Gore disse e lo scriverà poi anche nel suo libro che si era trattato di un provvedimento “a fini umanitari”. Sembra infatti che la yucca sia considerata un rimedio nelle terapie anti-cancro.

Sembra è il termine esatto, perché alla data attuale non risulta neppure un solo caso di guarigione che lasci intravedere nella yucca la possibilità di ricavare farmaci anti-tumorali. Tutto quello che si può dire di questa pianta è che se trapiantata in piena terra sviluppa tronchi robusti impiegabili nell’industria cartaria anche se i residui sono difficili da smaltire. Un po’ come dire che tutto torna, basta dare un’occhiata al fiume Pidgeon.

Ma per tornare ad Al Gore, il suo problema è quello di essere cresciuto in un mondo di abbondanza e privilegi che gli impediscono di capire i bisogni della gente comune. I tanti premi che gli sono stati conferiti non basteranno a nascondere che resta un personaggio imprevedibile, capace di gestire i momenti difficili solo travisando la realtà. Un po’ poco per credere davvero che intenda salvare il pianeta dalla rovina.