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Categoria: Esteri
di Alessandro Iacuelli

I militari turchi hanno "carta bianca" per attuare, se e quando lo riterranno necessario, un intervento in Nord Iraq al "solo fine" di liquidare i campi di montagna da cui muovono i ribelli curdi del PKK per compiere attacchi armati in Turchia. Lo dice una mozione approvata dal Parlamento turco, con 507 voti a favore e appena 19 contrari. Un plebiscito. Gli unici voti contrari sono stati quelli dei deputati del movimento filocurdo del Dtp (Partito per una società democratica). L'approvazione della mozione è condizione necessaria per un'operazione militare oltre confine. La prima reazione, preoccupata, viene da Washington, dove il presidente Bush ha subito dichiarato che "le incursioni non sono la soluzione e non sono nell'interesse della Turchia". Bush ne ha anche approfittato per rimproverare i deputati americani che la scorsa settimana hanno approvato in Commissione, con una maggioranza larghissima che ha visto concordi democratici e repubblicani, la risoluzione sul genocidio degli armeni, provocando le ire dei turchi. "Il Congresso non dovrebbe occuparsi della storia dell'Impero Ottomano. Ha meglio da fare che contrapporsi ad un alleato democratico nel mondo musulmano, che fornisce sostegno vitale ogni giorno alle nostre forze armate", ha detto il presidente americano. Intanto in Turchia la mozione è stata approvata con una altrettanto larga maggioranza, sull'onda dell'esasperazione popolare provocata dallo stillicidio di attacchi quasi quotidiani del ribelli curdi del PKK. Nonostante l'unanime sostegno popolare e parlamentare, un intervento turco in Iraq potrebbe anche non essere imminente. Ankara forse vuole usare la mozione come minaccia, anche senza attuarla, cioè intende utilizzare il deterrente militare come carta negoziale con Baghdad e Washington. Il governo turco, a parole, preferirebbe perseguire il suo obiettivo politico, cioè la distruzione dei campi nordiracheni del PKK per vie diplomatiche, senza usare l'opzione militare che avrebbe comunque costi umani elevati per la prevedibile resistenza armata dei curdi nordiracheni, oltre che dei guerriglieri curdi turchi del PKK. Ma non disdegna certo di massacrare curdi: lo ha sempre fatto e lo continuerà a fare. Solo che Ankara chiede l’aiuto di americani ed iracheni a cacciare il PKK dall'Irak. Usa e Iraq, però, hanno ben altre urgenze ed anzi, tutto sommato, i curdi, sono l’unica etnia che non rappresenta un problema per il controllo del Paese.

Alla mozione approvata dal parlamento turco ci sono state reazioni anche da parte irachena: "In base alla Costituzione irachena, alle truppe straniere non è permesso di stare sul suolo iracheno. Comunque, la presenza del PKK è illegale", ha dichiarato il presidente iracheno Jalal Talabani, parlando della crisi tra Ankara e Baghdad a margine di una conferenza stampa a Parigi dopo un incontro con il presidente francese Nicolas Sarkozy. In effetti, a ben vedere, i turchi vorrebbero invadere un paese già invaso..

Anche il premier iracheno Nuri al Maliki, in una telefonata ad Erdogan si è impegnato a "sradicare" il PKK dall'Iraq, anche se gli analisti si interrogano però quanto il premier iracheno sia in grado di mantenere questa sua ennesima promessa. Baghdad non ha forze proprie in Nord Iraq, la cui sicurezza è nelle mani dei peshmerga nordiracheni di Jalal Talabani e di Massud Barzani. Sono questi ultimi la chiave di volta per una soluzione diplomatica. Su di loro potrebbero influire gli americani, che temono la destabilizzazione che sarebbe provocata da un intervento turco e che Ankara possa interrompere l'uso della base aerea di Incirlik (Turchia meridionale), indispensabile per rifornire le truppe Usa in Iraq ed in Afghanistan; una minaccia quest'ultima che Ankara ha lasciato balenare per il caso che il Congresso a maggioranza democratica approvi definitivamente in seduta plenaria a novembre la mozione che riconosce come genocidio i massacri degli armeni del 1915-16.

In tal caso, di rischi di instabilità ce ne sarebbero parecchi. Se è vero che un'operazione su grande scala necessiterebbe dell'autorizzazione del Parlamento turco, per manovre più limitate, come ad esempio un'incursione aerea mirata, questo non sarebbe strettamente necessario, secondo la legislazione turca: il che sembrerebbe indicare che Ankara ha in mente di condurre un'azione in forze. Con il placet del Parlamento. Le ripercussioni politiche di una nuova iniziativa militare sarebbero certamente molto gravi e metterebbero la Turchia, che è un Paese membro della Nato, in contrapposizione sia con gli USA che con l'Unione Europea, senza contare la destabilizzazione che un'eventuale offensiva provocherebbe in Iraq.

L'origine di tutto questo è il timore da parte turca che il Kurdistan iracheno possa, magari approfittando delle ricchezze petrolifere della regione di Kirkuk (che non a caso Saddam Hussein tentò di “arabizzare” a forza), ergersi a Stato indipendente scatenando di nuovo la guerriglia del PKK, che negli ultimi tempi è notevolmente aumentata di intensità. Di fatto, è proprio l'opposizione del governo di Ankara a rendere per ora vano il piano statunitense di un Iraq completamente federale, che ha come precondizione la legge per la condivisione di tutte le risorse naturali del Paese, in discussione in Parlamento.

Un intervento turco di tipo militare, in questo momento, porterebbe certamente il caos nell'unica regione essenzialmente stabile dell'Iraq. Farebbe perdere l'appoggio dei curdi iracheni a Washington, ma anche allo stesso governo di Baghdad. Costituirebbe di sicuro un completamento dello sfacelo iracheno, ma anche una rottura strutturale all'interno della stessa NATO, che da un lato ha necessità di stabilizzare Iraq e Afghanistan; dall’altro, per riuscirci, ha altrettanta necessità di usare liberamente le basi militari turche. Senza contare poi, che l’intervento militare turco in Iraq potrebbe risultare la pietra tombale all’ingresso di Ankara in Europa. Elemento fondamentale per i sogni d’influenza regionale dei militari e passaggio decisivo del programma del governo.