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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Quella “fredda” (ammesso che ci sia stata perché l’altra era pur sempre una tragica presenza, continuazione palese del secondo conflitto mondiale) è ora un ricordo. Domina, infatti, la vera e attuale guerra “calda”. Quella che in termini geostrategici si misura a colpi di missili, a raffiche di mitraglia, a invasioni ed annessioni, ad attentati. Con operazioni economiche segnate da speculazioni epocali che portano sempre più a far aumentare quell’arroganza del potere che è, di volta in volta, made in Usa o in Russia. “La guerra - lo ricorda Heidegger - è diventata una sottospecie dell’usura della terra che viene continuata in tempo di pace, nel tentativo di accaparrarsi tutti i fondi e tutte le materie prime utili al proprio potenziamento”. Guerra, quindi. Ma è anche vero che quando si parla di “venti di guerra” rispunta sempre quella teoria dell’antiamericanismo che molti considerano come una moda da radical chic. Una “teoria” che torna a prendere più che mai piede proprio in seguito alla politica americana che non fa altro che presentare il suo volto negativo ed odioso - Bush docet - in ogni angolo della terra. Proprio in questo contesto dobbiamo segnare alcuni punti fermi. Partendo dal fatto che c’è un’America che tutti conoscono e che è celebrata in discorsi d’ogni tipo. Un’America che possiede il più alto tenore di vita e che si autodefinisce “società opulenta” o “del benessere” (affluent society). Un’America campione di democrazia dove i problemi nazionali non riguardano i bisogni essenziali dell’uomo… Sappiamo che tutto questo è frutto di una propaganda martellante che vede gran parte dei media mondiali (embedded, appunto) collocati nei libri paga della Cia e del Pentagono. E così si scopre sempre più l’altra America e ci si chiede, appunto, cosa rappresenti oggi questo Bush.

Ma sull’altro fronte - quello russo-post-sovietico - ci si chiede cosa sia Putin e in cosa consista la sua gestione. Le domande in merito sono epocali perché alla base di tutto ci sono situazioni di pericolo, di contraddizioni e di limiti ciclopici. Perché Bush e Putin - pur partendo da condizioni ambientali diverse ed opposte - hanno potuto sfruttare con successo la profondità delle crisi dei loro due paesi. Da un lato lo stato d’animo dell’americano medio (umiliato sempre da quella sconfitta nel Vietnam, dal Watergate ed oggi dalle batoste che riceve in terra irachena...) e dall’altro quello del russo traumatizzato dalla invasione in Afghanistan, dal crollo dell’Urss e dall’avvento di un sistema politico-economico ignoto… Succede così che in questo rinnovato clima di guerra cominciano a farsi sentire sulle teste di tutti i primi e forti colpi. Sembrano atti di forza unilaterali - oscillanti e segmentati nei vari settori - ma sono colpi che segnano la vita di intere popolazioni. Sono atti di guerra, veri e propri.

Ed ecco Bush che parla di terza guerra mondiale e attacca i dirigenti di Teheran. Ma contemporaneamente i capi dei paesi asiatici ex sovietici - con alla testa Putin - sbattono la porta ai diktat di Washington e dichiarano che non accetteranno che il Caspio divenga un mare per interventi armati contro la Repubblica islamica. Il Cremlino interviene e attacca. Chiede che gli Usa decidano ufficialmente la data del ritiro delle loro truppe dall'Iraq. Intanto la Turchia - che teme le manovre dei Kurdi, un popolo che è il quarto come grandezza nell’intero Medio Oriente - minaccia di oltrepassare i confini arrivando in Iraq sconvolgendo così lo status di altri paesi (Siria, Iran ed Armenia) che attualmente ospitano la diaspora kurda. E in Birmania si apre un altro fronte, perché continua il tragico tiro alla fune tra i monaci - appoggiati dagli Usa - e il potere centrale di Rangoon che incontra simpatie in Cina e un cauto silenzio in Russia. Nel Kosovo, intanto, tornano i terroristi dell’Uck mentre la Cia - guardando all’America Latina - scalda i motori in attesa della fine di Castro. Nel mirino del Pentagono finisce il venezuelano Chavez. E per tornare in Asia, in Afghanistan, le truppe d’occupazione non riescono più a controllare il movimento dei Talebani… La caccia a Bin Laden sembra una storia paragonabile all’epopea di Gengiz Khan.

L’elenco è ancora più lungo e ogni giorno è un D-day. C’è così il Pakistan che accoglie il “figliol prodigo” nella figura della signora Bhutto ricevendola a colpi di bombe… E si prospetta uno scoppio di guerra civile, mentre Bush alza il tiro nei confronti della Cina “comunista” abbracciando il Dalai Lama che rappresenta il Medioevo dell’Asia.

In questo scenario ora si muove la Russia con Putin che annuncia l’escalation atomica del Cremlino. Tutte le grandi imprese del complesso militare-industriale sono state allertate. Entro il 2008 dovranno intensificare i loro piani produttivi. E questo vorrà dire più missili, cannoni, mezzi corazzati, sistemi radar, aerei da combattimento. Nel piano ci sarà anche un misterioso “sottomarino militare” capace di sfuggire ad ogni intercettazione. Intanto, come anticipo di questa nuova ondata, parte dalla base di Plesetsk (nel nord russo) un missile balistico intercontinentale (Icbm) capace di portare una testata nucleare multipla. E’ il Topol RS-12M - identificato come SS-25 Sickle nel gergo della Nato - e punta su un obiettivo nella Penisola di Kamchatka. L’escalation “nucleare” non è una mossa propagandistica attuata dal Cremlino. Perché lo Stato Maggiore ricorda subito il valore e il significato della sospensione già attuata del “Trattato sulle forze intermedie-Inf” (uno dei pilastri su cui si fondano gli equilibri internazionali post guerra fredda) e del “Trattato sulle forze convenzionali in Europa - Cfe”.

Ecco che pensando a tutti questi “fatti” di guerra - calda o fredda che sia - risulta sempre più evidente che l’America di Bush non può essere all’infinito una potenza egemone. Non lo sarà, ovviamente, nemmeno la Russia. Forse emergerà un’intesa eurasiatica? Si andrà ad una rivalutazione e ristrutturazione dell’Onu? Saranno le religioni a prendere il sopravvento assumendo definitivamente connotati eminentemente politici? Per ora sono Bush e Putin che utilizzano le strutture della guerra fredda. Ma si sa che dietro le quinte si muovono le grandi holding che parlano lingue diverse, ma che trovano quella del dollaro come la più facile per intendersi. E si sa che per gli Usa e per la Russia il petrolio è un mare che non ha confini.