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Categoria: Esteri
di Agnese Licata

Se un gruppo d’islamici convince tutta una fetta della popolazione nigeriana che i vaccini anti-poliomelite vengono sabotati dagli americani per impedire ai musulmani di riprodursi, viene spontaneo parlare di manie di persecuzione. Ma a volte anche le manie di persecuzione possono essere, almeno in parte, giustificate. Così, se la conseguenza di un boicottaggio lungo un anno è la paralisi a vita subita o rischiata da migliaia di bambini, a chi dare la colpa? Ai capi tribù islamici che sfruttano l’ignoranza della gente per portare avanti la propria campagna contro gli Stati Uniti? Alla demonizzazione portata avanti con orgoglio da George W. Bush dopo l’11 settembre? O, ancora, alle grandi multinazionali farmaceutiche che nel passato hanno tranquillamente usato come cavie le popolazioni più povere del mondo? Di chiunque siano le responsabilità, rimane il fatto che la poliomelite, dopo un declino costante da vent’anni a questa parte, sta adesso tornando a prendere piede in Africa. Negli scorsi giorni il World Health Organization ha reso noto che dal 2005 ad oggi 69 casi di poliomelite hanno colpito il nord della Nigeria e che altri due sono stati registrati nel vicino Niger. Una cifra che può sembrare poca cosa, soprattutto se paragonata alle milioni di vittime che ogni anno fanno nel mondo altre malattie come la malaria. Eppure, 69 nuovi casi possono fare la differenza tra un’emergenza sconfitta e il rischio di una nuova epidemia in Nigeria, nel Camerun e in tutti gli altri stati confinanti. Nel 1988, il Who si prefissò l’obiettivo di debellare la poliomelite entro il 2009. Obiettivo che, anno dopo anno, era sembrato sempre più vicino grazie alle numerose e costanti campagne di vaccinazione portate avanti nelle 125 nazioni dove il virus era endemico. Poi, nel 2004, i numeri sono tornati a crescere e anche in Ciad, Angola, Niger, Paesi che precedentemente erano riusciti a bloccarne la diffusione, si sono trovati di fronte nuovi casi. Il perché è semplice: per oltre un anno la maggior parte dei bambini al di sotto dei cinque anni che vivevano nella parte settentrionale della Nigeria non hanno ricevuto il vaccino (gratuito) che le organizzazioni internazionali fornivano da anni.

E non lo hanno ricevuto perché un giorno Datti Ahmed, a capo del Consiglio supremo di Kano accusa i vaccini dell’Unicef di causare sterilità e di contenere il virus dell’Hiv. Ahmed, ministro della legge islamica in uno stato dove vige la Sharia, imputa questa presunta contaminazione a una precisa volontà del governo americano: ridurre la popolazione musulmana. Per avvalorare una mossa ideologica, politica che tutto ha a cuore tranne la salute della popolazione, i membri del Consiglio chiamano in ballo i risultati di alcuni test effettuati in India per conto della Jama'atul Nasril Islam (Jni). Non sorprende che i test confermino tutto. Del resto, come potrebbe essere diversamente se la Jni è legata all’organizzazione musulmana nigeriana?

Non si può negare, però, che nel corso degli anni case farmaceutiche e governi occidentali abbiano fatto di tutto per alienarsi la fiducia delle nazioni più povere. Medicinali scaduti. Farmaci fondamentali negati in nome di brevetti d’oro. Ma anche trial clinici che sfruttano l’ignoranza della gente per testare farmaci considerati pericolosi in Europa e Stati Uniti. Se si va a guardare non tanto indietro, si trova un precedente proprio per lo Stato di Kano. Nel 1996 la Pfizer approfittò di un’epidemia di meningite, colera e morbillo per testate sui bambini nigeriani il Trovan, un antibiotico che la Pfizer avrebbe voluto usare anche contro la meningite infantile. Peccato però che negli Stati Uniti, il Trovan non avesse ancora ottenuto neanche l’autorizzazione alla vendita per gli adulti. Con ricordi del genere, i leader islamici non devono aver fatto molta fatica a convincere la popolazione della propria tesi complottistica. Così, ad oggi, nel nord della Nigeria, solo il 39 per cento dei bambini al di sotto dei cinque anni sono stati vaccinati. Risultato: la Nigeria può “vantare” il 61 per cento di tutti i casi di poliomelite del mondo e la quasi totalità di quelli africani.

I nuovi casi della Nigeria sono frutto di un contagio particolare, avvenuto a partire proprio dai bambini vaccinati. Come la maggior parte dei vaccini, anche quello orale contro la poliomelite, contiene una versione debole del virus, sufficiente al sistema immunitario per creare gli anticorpi ma comunque non in grado di contagiare. I bambini vaccinati finiscono comunque per trasmettere questo virus “debole” ai coetanei. Questi, a loro volta, sviluppano forme di protezione che li difendono da un contagio vero e proprio. Se però i bambini vaccinati sono pochi - come in Nigeria - può succedere che, passando da un organismo all’altro, il virus muti in una forma più pericolosa, superando facilmente queste deboli barriere. Eliminare questo rischio non è impossibile: basterebbe non usare il vaccino per via orale, ma quello per via endovena che contiene, invece, il virus inattivo. È la soluzione adottata in occidente ma spesso poco praticabile in paesi dove anche trovare una siringa pulita e condizioni igieniche sufficienti non è scontato. In più, il vaccino orale risulta più efficace. Poi, ovviamente, c’è anche una questione di costi che nessuno, neanche il Who e l’Unicef, considera indifferente.

Di fronte a una situazione che rischia di ridare forza a una malattia che si credeva quasi sconfitta, gli interrogativi da porsi sarebbero tanti, come anche i responsabili. Ma a rimetterci - che la colpa sia delle multinazionali del farmaco, delle politiche economiche dell’Occidente, di qualche musulmano fanatico - sono sempre loro: i più poveri.