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Categoria: Esteri
di mazzetta

I raid aerei di ieri dell'aviazione turca sui curdi hanno formalmente aperto una crisi politica e militare che potrebbe sfociare in una operazione militare in grande stile in terrirorio iracheno dagli esiti imprevedibili. La riunione urgente del vertice politico e militare turco potrebbe infatti decidere un attacco via terra che porterebbe, anche formalmente, all'invasione turca del territorio iracheno. Quello di Ankara non é un fulmine a ciel sereno e non é certo dovuto all'attacco curdo dell'altro ieri. Da più di un anno i generali turchi ammassano truppe ai confini con l’Iraq, da più di anno bombardano il Kurdistan iracheno, che riceve anche le bombe iraniane. Nonostante le scontate proteste del governo del Kurdistan, non si è mosso un solo diplomatico al mondo per condannare questi attacchi. Anche gli Usa che, in quanto forza occupante, hanno la responsabilità dell’integrità territoriale irachena hanno taciuto; gli Usa negli ultimi anni hanno accusato l’Iran di ogni nefandezza, ma non di bombardare il Kurdistan. Oggi la Turchia preme sull’acceleratore e minaccia l’invasione dell’Iraq per colpire i terroristi curdi che vi troverebbero rifugio. La questione non è semplice come vorrebbe apparire, perché nel confronto tra turchi e curdi non ci sono innocenti se non tra le vittime civili e perché le ultime mosse turche non hanno a che fare solo con la questione curda. Il confronto con i curdi ha avuto una escalation dopo il 9/11, quando in nome della “War On Terror” molti governi si presero mano libera contro le minoranze. La Turchia è un paese ancora pesantemente condizionato dai militari il capo dei quali, il generale Buyukanit, è interprete di una politica sanguinaria e intrisa del peggiore nazionalismo. Ad aiutare i generali turchi è stata ancora una volta la guerra americana, con tutto il seguito di cantori anti-islamici. I militari hanno avuto così buon gioco a mettere in cattiva luce il governo democraticamente eletto agli occhi dell’Europa in quanto “islamico”. Fior di ottusi politici della destra europea hanno ostacolato l’avvicinamento della Turchia all’Europa, agitando la minaccia islamica, quando semmai la Turchia avrebbe bisogno di liberarsi della pesante tutela dei militari prima di essere accolta nel novero delle democrazia europee.

I generali turchi non si sono fatti mancare niente, si sono fatti cogliere con le mani nel sacco mentre compivano attentati da attribuire ai curdi, contro i quali hanno organizzato due sanguinose campagne di repressione; hanno cercato di ostacolare l’elezione del musulmano Gul a presidente minacciando un golpe; hanno sigillato i confini con l’Armenia e ammassato truppe ai confini con l’Iraq; molti inoltre li accusano anche di aver coperto ed agevolato gli assassini di Hrant Dink e di altre vittime dei fascisti nazionalisti.

Tutti questi fatti indiscutibili sono stati completamente sottaciuti alle opinioni pubbliche occidentali, i generali turchi sono buoni alleati della NATO. Nelle ultime settimane il generale Buyukanit deve essere giunto alla considerazione che la sconfitta americana in Iraq abbia fatto di Bush un’anatra zoppa; un politico a fine mandato che ha disgustato il suo paese e che ora non sembra in grado di reagire oltre l’emissione di propaganda stantia. I segnali ci sono tutti, tutti i paesi che si sarebbero dovuti democratizzare con l’arrivo in Medioriente degli americani, hanno in realtà imboccato la direzione opposta.

L’Egitto è sempre più una dittatura dinastica, l’Arabia Saudita una monarchia oscurantista, il Kuwait un feudo medioevale. In Palestina i vincitori delle elezioni sono stati cacciati da un golpe di Fatah armata da Israele e amici, che anche in Libano hanno sparso sangue contro un governo democraticamente eletto. Anche Israele è sempre più in crisi e sempre meno democratico. Non è paradossale che Libano e Palestina, tra i pochi paesi dell’area a tenere elezioni “free and fair”, abbiano visto i governi eletti spazzati via dai portatori di democrazia. In Turchia i sondaggi dicono che nessun turco crede che gli Usa stiano portando la democrazia o combattendo il terrorismo in Iraq e probabilmente ovunque direbbero lo stesso, se solo i liberi media occidentali si azzardassero a porre la scomoda domanda alle proprie opinioni pubbliche.

Religione e terrorismo sono ancora gli utensili preferiti dai leader in campo, i turchi lamentano di essere attaccati dai terroristi e pure di essere vittime di un complotto a sfondo religioso. Il ministro degli esteri Ali Babacan ha dichiarato, a proposito del riconoscimento del genocidio degli armeni da parte degli Stati Uniti, che “ Ebrei e Armeni sono ora mano nella mano per diffamare la Turchia” aggiungendo che “non riusciremo a tenere gli ebrei fuori da questa storia se la risoluzione fosse adottata”. Dichiarazioni che dovrebbero far rumore, ma che da noi non ne fanno. Dichiarazioni in singolare sintonia con gli estremisti cristiani americani, che da un po’ accusano “gli ebrei” di aver trascinato gli Usa al disastro in Medioriente. Le dichiarazioni di Babacan sono relative all’altro perno della propaganda dei militari turchi. Nella Turchia plasmata dai militari esiste il reato di “offesa alla turchità” con il quale si perseguitano scritti e opinioni sgradite ai generali. Con grande aggressività i generali turchi oggi fanno gli offesi perché negli Stati Uniti è in corso di riconoscimento il “Genocidio Degli Armeni”.

E’ su questa stupidaggine che i rapporti tra Usa, Israele e Turchia sembrano entrati in cortocircuito. Invece di preoccuparsi delle stragi che si stanno consumando in mezzo mondo e che sono state provocate dagli stessi Stati Uniti, i legislatori americani stanno dibattendo per concedere il “bollino” di genocidio alla strage degli armeni nel 1917. Successe alla fine della Prima Guerra Mondiale, quasi cento anni fa, nel caos della dissoluzione dell’impero ottomano. A spiegare l’interesse dei deputati e senatori americani in eventi tanto remoti, c’è l’esistenza di una potente lobby armena negli Stati Uniti. I generali turchi hanno colto l’occasione per accusare insieme alla lobby armena anche quella israeliana/ebraica, colpevole a loro dire di non aver bloccato il cammino della proposta.

Gli ebrei turchi si sono allarmati e con loro numerose associazioni ebraiche, che ora chiedono agli Stati Uniti di abbandonare l’insano proposito. A disagio è anche il governo di Tel-Aviv, l’unico dell’area ad avere una tradizione di collaborazione militare con i generali turchi, e a disagio c’è anche quella parte di amministrazione americana che sta facendo la guerra e i salti mortali diplomatici in Medioriente. Una rottura con la Turchia danneggerebbe seriamente l’operatività americana in Iraq, così come potrebbe portare alla minacciata chiusura della grande base NATO di Incirlik. Bush ha fatto sapere a Nancy Pelosi che “il Congresso ha di meglio da fare che contrastare l’unico alleato democratico degli Stati Uniti nel mondo musulmano”, ottenendo però di offendere così gli altri leader musulmani.

La lobby armena lavora duramente negli Stati Uniti: quaranta stati su cinquanta hanno già riconosciuto il genocidio armeno e i loro rappresentanti sembrano poco contenti di disconoscere le proprie decisioni. Sul Bosforo i generali hanno risposto facendosi consegnare dal Parlamento carta bianca per invadere l’Iraq e minacciando esplicitamente di entrare in contrasto con Stati Uniti ed Israele. Un’invasione massiccia dell’Iraq non dovrebbe essere comunque in programma, perché se un esercito che può schierare un milione di effettivi non è riuscito a piegare le province curde sul territorio nazionale (nonostante una ventina di sanguinose campagne militari, leggi speciali, torture e tutto il peggio del peggio), è chiaro che invadendo il Kurdistan iracheno andrebbe incontro ad un destino ancora peggiore; lo stesso che è toccato agli americani in Iraq o ai loro alleati etiopi in Somalia.

Il grande Risiko mediorientale si presenta sempre intricato. I generali turchi hanno sicuramente bisogno di riaffermare la propria indispensabilità e fomentano gli elementi ultra-nazionalisti e i fanatici religiosi (un Imam di nomina governativa ha detto durante la funzione funebre per un soldato ucciso dai curdi che “ I bastardi armeni sono responsabili della sua morte”), mescolando una pozione che rischia di avvelenare il paese e di dare la stura a violenze imprevedibili. Oggi possono farlo perché gli Stati Uniti non hanno più alcuna autorità morale e ancora meno capacità persuasiva, essendo in riserva con la forza militare e pure a corto di fondi. A pagare il prezzo dell’onda lunga degli effetti dell’invasione dell’Iraq e delle dissennate politiche dell’amministrazione Bush, saranno ancora e sempre i civili e le minoranze indifese.

Nel frattempo il tour di cinque giorni di Condoleeza Rice in Medioriente si è concluso in un nulla di fatto; aveva cominciato dicendo agli israeliani che gli Usa pretendono uno stato palestinese subito, ma sui giornali internazionali la dichiarazione ha fatto fatica ad apparire, per poi terminare tornando a casa senza alcun risultato tangibile. Un’altra dimostrazione di quanto sia zoppa l’anatra americana.