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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Per la Polonia arriva una nuova pagina. Alle spalle - in questa storia più recente - si ritrovano insieme i fondamentalisti cattolici, fans di Karol Wojtyla, i seguaci dei cardinali Stefan Wyszynski, ultraconservatore e Jozef Glemp, il populista Lech Walesa e il premier Jaroslav Kaczynski. Resta in pista, per ora, il gemello Lech che mantiene la carica di Presidente e che resterà al suo posto fino al 2010 quando scadrà il mandato. Ma l’addio all’era dei Kaczynski - segnata dai politologi come quella del “fattore K” - è ormai un fatto reale perché le politiche di queste ultime ore hanno sancito che il partito conservatore dei due ha perso clamorosamente. E’ stato umiliato anche da quanti erano andati in processione nelle chiese per pregare sulla loro sorte preoccupati per la visione di un ignoto. Ma il miracolo non si è avverato. Anche la Chiesa ha i suoi limiti terreni… E così il partito del potere (un assemblaggio di forze come “Legge e Giustizia”, di nazionalpopulisti della formazione “Samooborona” e di bigotti della “Lega delle famiglie”) è stato sconfitto dall'opposizione - quella “Piattaforma” di liberal europeisti, moderni e conservatori, guidati da Donald Tusk - che ora si dicono pronti a ricucire le relazioni con la Ue, accelerando le riforme economiche e ritirando le truppe dall'Iraq che in questo momento hanno il comando di una delle quattro zone sotto occupazione militare. C’è, di conseguenza, un capovolgimento della situazione politica (che si caratterizza con posizioni di ispirazione moderata e liberale) che avrà sicuramente grosse reazioni nell’intera area centro-europea sino ad arrivare alle porte degli Usa e della Russia. Perché Varsavia - parafrasando una bella espressione del ceco Havel - rientra ora nella storia battendo il nazionalismo, riconciliandosi sicuramente con Bruxelles, con Berlino e Mosca, e mettendo fine alle accuse, ai sospetti, alle diffamazioni e agli abusi di potere. “Fattore K”, quindi, addio. Almeno così si spera.

Intanto sono più che mai importanti le analisi sul voto. Le quali disegnano e ridisegnano una geopolitica nazionale con venature di laicità. Si evidenzia subito che gli schieramenti della Piattaforma e della sinistra (forte di un’alleanza tra ex comunisti riformatori e diversi esponenti dell'ala laica di Solidarnosc) hanno vinto in tutta la Polonia occidentale, centrale e sulla costa: da Varsavia a Danzica, dalla Cracovia di papa Wojtyla alla Slesia dei minatori. Ai gemelli sono restate solo le regioni di frontiera orientali e Kielce, quella località che porta ancora il tragico segno dei pogrom antisemiti del dopoguerra. E non a caso, proprio qui, i Kaczynski hanno sempre avuto una loro base elettorale.

Risultati ed analisi a parte la Polonia del futuro dovrà ora ricominciare a studiare con attenzione gli uomini che dirigeranno la compagine governativa che accompagnerà alla porta il presidente Kaczynski, già praticamente dimezzato. I conti, quindi, dovranno essere fatti con il nuovo leader Donald Tusk, un cinquantenne dal volto di eterno ragazzino che dichiara ora di avere come modello politico quello della signora Thatcher e di tener presenti gli errori commessi dalla Polonia di questi anni. Ma nello stesso tempo Tusk si dichiara contrario all’eutanasia, all’aborto e ai matrimoni gay. Rivendica le sue origini umili di polacco tipico (figlio di un falegname e di una segretaria d’azienda) che si è formato in una Danzica sconvolta dalle rivolte operaie. E oggi ricorda anche il suo passato nel movimento studentesco di Solidarnosc che lo ha portato - attraverso varie tappe politiche - a dare vita alla piattaforma civica. Ma Tusk sfodera anche una carta nuova per la vicenda politica polacca: si è tenuto distante dall’abbraccio di quella parte più reazionaria del paese che si riconosce nelle alte gerarchie della chiesa cattolica. E così nei giorni scorsi mentre il premier Jaroslaw andava a recitare l’Ave Maria dai microfoni di “Radio Maria” - l’emittente reazionaria e antisemita che domina l’etere polacco - lui è andato a dare due calci al pallone in un campetto di una parrocchia…

Ed ora, forse - per comprendere meglio la situazione polacca del “post-socialismo-reale” - sarebbe necessaria un’edizione aggiornata, riveduta e corretta, di quel bellissimo film “L’uomo di marmo”, opera del regista polacco Andrzej Wajda. Era quella un’opera che con la sua carica di denuncia nei confronti della mistificazione ideologica dei regimi socialisti dell’est, era stata considerata rivoluzionaria. Aveva preceduto le lotte del sindacato di Solidarnosc, della fine degli anni settanta. In quel film avevamo letto la tragedia del paese. Ed ora - dopo la farsa messa in scena dai due gemelli - si delinea sicuramente un “uomo” polacco che non vuol essere né di marmo, né di ferro. La Polonia sembra così rientrare in una fase di normalità che, comunque, non ha mai conosciuto.