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Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali

L’amministrazione Bush ha chiesto un nuovo finanziamento, 46 miliardi di dollari, necessari a portare avanti la guerra in Iraq e in Afghanistan. Uno stanziamento di “emergenza” che si va ad aggiungere ai 150 miliardi di dollari già approvati per l’anno fiscale 2007. Un supplemento che, se accordato, porterebbe la spesa militare post “11 settembre” a 806 miliardi di dollari. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale questa cifra non era mai stata raggiunta in nessun conflitto, un triste record che difficilmente potrà essere superato. Ma la cosa non finisce qui: il piano di investimento pubblicato dal “Congressional Budget Office” - l’agenzia americana di analisi politico-finanziaria che studia i bilanci e le proiezioni di spesa che devono essere approvate dal Congresso - prevede che entro il 2017 gli Stati Uniti dovrebbero sborsare, per le due missioni in Asia minore e per la lotta al terrorismo, qualcosa come 1.7 bilioni di dollari, cifre che non sembrano neanche reali e che potrebbe permettersi solo il buon vecchio Paperon de’ Paperoni. I Democratici, pronti a bocciare la proposta di Bush a meno che non rientri nel piano di ritiro delle truppe, non si sono certo dimostrati entusiasti per questa nuova richiesta di stanziamento, soprattutto in riferimento alle critiche che vengono mosse sul modo di impiego del denaro pubblico, non sempre assennato ed equo. Ancora una volta il problema si verte su quali siano le effettive finalità della Casa Bianca. Secondo l’analisi pubblicata dal “Council on Foreign Relation”, a firma di Greg Bruno, il pacchetto comprende: 7.3 miliardi di dollari per finanziare le operazioni all’estero, che il Pentagono ritiene della massima urgenza; un miliardo da destinare al sistema di sicurezza per la difesa delle truppe in Iraq; 8.8 miliardi per la sostituzione del materiale fuori uso; 3.1 miliardi per dotazioni di difesa contro gli attacchi subiti lungo i percorsi stradali (Improvised Explosive Devices e cecchini).

Tutte questioni urgenti che, secondo il presidente Bush, meriterebbero la massima attenzione da parte del Congresso e una rapida approvazione: ma dove andrà a finire il resto dei 46 miliardi richiesti? Con la voce “emergenza” l’amministrazione americana vorrebbe finanziare un progetto a lungo termine per l’aggiornamento e il rinnovamento di parte dell’arsenale militare; l’obbiettivo sarebbe quello di inserire all’interno del pacchetto previsto per la lotta al terrorismo gli argomenti che dovrebbero essere invece dibattuti ed approvati dal Congresso. Un sotterfugio un po’ infantile per far passare sotto banco cifre destinate a programmi che meriterebbero un’analisi più approfondita e che rischierebbero una secca bocciatura.

Sono in molti a domandarsi se per i prossimi anni gli obbiettivi rimarranno legati al solo scenario iracheno. In un’ottica più ampia va infatti considerato che della cifra già approvata per il 2007, 11 miliardi di dollari sono stati destinata alla produzione di 7.200 veicoli costruiti per resistere all’esplosione di mine (MRAP). Voluto dal Pentagono, il progetto MRAP prevede che entro il 2009 vengano sostituiti i 20 mila Humvees attualmente in dotazione all’esercito americano. Il programma è fortemente caldeggiato dai vertici militari che ritengono il mezzo estremamente rilevante per le sorti della guerra in Iraq, ma che lo considerano vitale per qualsiasi altro tipo di impiego operativo.

Secondo Richard K. Betts, direttore dell’Istituto Saltzman della Columbia University, negli Stati Uniti le spese militari sono ormai fuori da ogni concetto di realtà. Negli ultimi anni la politica americana ha risposto alla minaccia, sia essa portata dai nemici di vecchia data che dalle nuove generazioni, in modo quanto mai viscerale e con una conseguente crescita del budget per la difesa, che è progressivamente diventato sproporzionato rispetto alle effettive esigenze del Paese. Una gigantesca macchina militare che viene utilizzata per missioni oltreoceano, finalizzate all’eliminazione di pericolosi gruppi terroristici o “stati canaglia”, il cui costo non è più sostenibile.

Aumentare le spese militari al solo scopo di finanziare una guerra alternando alla minaccia Iraq, l’Afghanistan o il progetto nucleare iraniano, diventa sempre più difficile, soprattutto in un Paese afflitto da violenti contrasti sociali, dove vivono sette milioni di disoccupati, 30 milioni di poveri, due milioni di carcerati, 40 milioni di persone senza una copertura sanitaria e dove per la Sanità, paradossalmente, si spende ogni anno due volte e mezzo di più che negli altri Paesi OECD (Organization for Economic Cooperation and Development). Cifre che non lasciano certo spazio a interpretazioni personali, soprattutto se in questo contesto si pensa all’1.7 bilioni di dollari che nei prossimi 10 anni Bush vorrebbe destinare all’arsenale militare; un conto del quale prima o poi sarà chiamato a rispondere.