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Categoria: Esteri
di Fabio Bartolini

Dal 27 ottobre 2007 nella città di Sirte, in Libia, sono riuniti i rappresentanti del governo sudanese e dei gruppi ribelli per una Conferenza sul Darfur. Sotto la supervisione degli inviati dell’ONU, la conferenza, concepita per mettere a confronto le diverse parti coinvolte nello scontro e approvare una tabella di marcia per il lungo processo di pace, ha visto la partecipazione del governo sudanese con una delegazione diretta da Nafie Ali Nafie - da sempre stretto collaboratore del presidente del Sudan Omar al Beshir – e di gruppi ribelli minori. Ospite d’eccezione – quanto interessato - il leader libico Moammar Gheddafi, in veste di mediatore oltre che di anfitrione. I temi principali dell’incontro, secondo le parole dell’inviato dell’ONU Jan Eliasson, sono fondamentalmente tre: stabilire un immediato cessate il fuoco, programmare il rientro dei profughi nei loro villaggi; progettare un risarcimento per le vittime. I lavori si protrarranno per altre due settimane, al termine delle quali tutti si dicono fiduciosi sul raggiungimento di accordi non unilaterali. Obiettivo comunque non semplice da perseguire, giacché la conferenza - che rappresenta la fase finale dei negoziati in corso da mesi – vede con preoccupazione la non partecipazione dei maggiori gruppi di ribelli: il Movimento di liberazione del Sudan e il Movimento per la giustizia e l'eguaglianza. Entrambi affermano di non aver potuto partecipare all’incontro casua non aver ricevuto l’invito con sufficiente anticipo per organizzare delle delegazioni e, aggiungono, di aver dovuto nello stesso tempo far fronte alle continue e mai cessate violenze da parte del governo centrale di Kharthoum. Critico nei loro confronti il leader libico Moammar Gheddafi, che ha rilevato la svolta negativa intrapresa dai due gruppi ribelli e l’impossibilità per la conferenza d’essere decisiva nel processo di pace, vista l’assenza dei due principali gruppi che si oppongono al governo centrale Sudanese. Ma se Gheddafi ha espresso il convincimento del fallimento della conferenza, l’inviato dell’ONU, Jan Eliasson, ha concluso la sessione d’apertura prendendo atto della diserzione, ma affermando che non e possibile fermarsi ora che si è intrapreso un dialogo serio e promettente.

Della stessa idea il premier britannico Gordon Brown, che ha affermato di volere rispondere positivamente all’espressa richiesta all’ONU e velocizzare il dispiegamento delle forze dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite, per stabilire un cessate il fuoco multilaterale che permetta a tutti i gruppi di ribelli di prendere parte alle trattative sul tavolo di pace. La forza di pace dovrebbe presto raggiungere il numero di 27.000 unità dispiegate sul territorio e collaborare con la già presenti unità del contingente dell’Unione Africana, che da sole non riescono ad arginare i continui scontri.

Intanto gia da sabato scorso le autorità del governo centrale hanno stabilito un cessate il fuoco unilaterale che era stato annunciato all’inizio dei colloqui e, tramite il ministro degli esteri Al Masila al Sammani, ha annunciato di volere adottare tutte le misure possibili per fare avanzare il processo di pace.

I capi delle due fazioni ribelli principali, lo Sla-m (movimento di liberazione del Sudan) e lo Jem (Movimento per la giustizia e l’uguaglianza) dalla città di Juba, nel sud del Darfur, fanno sapere d’essere disponibili ad incontrare i mediatori dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite per trovare una “soluzione reale” alla crisi. Proprio a Juba sembra essere in corso una trattativa tra lo Sla-m e lo Jem per una leadership comune in grado di unire le due fazioni e presentare delle proposte unitarie per la pace.

Sulla carta tutte le fazioni in gioco sembrano essere seriamente interessate a porre fine ad un conflitto che si protrae dal lontano 1993 e che ha causato 200mila morti, milioni di sfollati e profughi. Si era però detto lo stesso all'epoca del vertice del 2006 di Abuja, Nigeria, patrocinato dall'UA, dove dopo lunghe trattative si era giunti ad un accordo di pace tra il governo Sudanese e solo alcuni gruppi minori di ribelli che, sulla carta, doveva porre fine al conflitto. Accordo di pace che non diede i suoi frutti dal punto di vista pratico poichè non firmato – e quindi non osservato – tanto da tutti i gruppi ribelli operanti nel Darfur che dalle stesse autorità governative.

Dopo i fallimentari tentativi della conferenza internazionale di pace svoltasi il 15-16 luglio scorsi a Tripoli, Libia, e del primo vertice dei movimenti antigovernativi del Darfur, tenutosi ad Arusha, Tanzania, all'inizio d’agosto (al quale peraltro già non aveva partecipato lo Jem), la strada per una rapida risoluzione del conflitto sembra difficile, irta di pericoli con i quali tutti oggi, non solo il Darfur, devono confrontarsi. Ma il passo avanti è in corso. Vedremo se diverrà cammino.