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Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato

Il summit di Annapolis non sembra aver avuto il minimo effetto sulla politica israeliana, né sull'opinione pubblica della maggioranza ebraica della popolazione. Il commento più diffuso è di bonaria condiscendenza verso Bush: l'alleato americano ha chiesto a Olmert di prestarsi ad un piccolo spettacolo mediatico e sarebbe stato scortese rifiutare. Una volta chiuso il sipario, si torna alla normalità dell'Occupazione. Questo il sentimento prevalente, insieme ad un incremento di popolarità per Olmert, che sembra tornato ad un gradimento in doppia cifra per la prima volta dalla guerra in Libano. Finita Annapolis, Olmert si è affrettato a congelare le aspettative dei pacifisti, mentre l'unica novità viene dal Labor Party, che propone una compensazione per i coloni che abbandonino volontariamente la West Bank. L'antefatto accade venerdì scorso, dopo la conclusione della conferenza-lampo, quando gli Stati Uniti presentano una risoluzione al Consiglio di Sicurezza, per ufficializzare l'accordo raggiunto tra Olmert e Abbas, che prevede un calendario di incontri tra i due leader. Ma il governo israeliano, venuto a conoscenza della risoluzione, obbliga Bush a ritirarla immediatamente: nonostante fosse del tutto innocua nel merito, Israele vuole evitare in ogni modo che l'ONU intervenga in questioni che considera “interne”: è noto il pregiudizio pro-palestinese del Consiglio di Sicurezza... Tornato in patria, Olmert, maestro nelle pubbliche relazioni, si è esibito in una serie di equilibrismi verbali per sconfessare il documento firmato ad Annapolis con Abbas, mostrando al tempo stesso di essere aperto a discutere di ogni cosa, preferibilmente fra qualche anno. Al primo consiglio dei ministri, ha affermato che l'impegno preso per un accordo di stato finale nel 2008, è in realtà impraticabile, perché i temi sul tavolo sono troppo impegnativi. Questa presa di posizione era necessaria dopo la minaccia dei due partiti religiosi di far cadere il governo. Subito dopo, Olmert cerca di non scontentare la sinistra del Labor, ed in un'intervista ad Haaretz pronuncia un discorso storico: “Se la soluzione dei due stati crollasse, e ci trovassimo di fronte ad una lotta per il diritto di voto anche per i Palestinesi dei Territori [la cosiddetta one-state solution, n.d.A], come avvenuto in Sudafrica, allora in quel momento lo Stato di Israele è finito.” Questa forte dichiarazione, che per la prima volta ammette il paragone tra l'Occupazione e l'apartheid sudafricana, ha avuto sicuro effetto sull'ala pacifista.

Il Labor Party, per la prima volta da anni, ha anteposto alle parole i fatti, presentando una proposta di legge per compensare i coloni che decideranno di lasciare volontariamente gli insediamenti illegali in West Bank e tornare al di qua della Linea Verde. La costruzione del muro di separazione all'interno dei Territori, infatti, ha creato un problema ad alcuni degli insediamenti illegali. Anche se molte delle colonie nel cuore dei Territori si trovano dalla parte “giusta” del muro, ovvero all'interno della Linea Verde ma a ovest del muro, altre colonie si trovano tagliate fuori a est del muro. Siccome è ovvio per Israele che qualsiasi eventuale accordo di pace prevederà l'annessione della parte di Territori a ovest del muro, sarà necessario abbandonare gli avamposti più estremi, dove vivono circa 65.000 del mezzo milione di coloni.

Un sondaggio ha rivelato che circa ventimila di questi coloni lascerebbero gli insediamenti molto volentieri, se venisse loro offerta una casa in Israele. Il leader del consiglio di di Qyriat Arba, un controverso insediamento alle porte di Hebron, ha ammesso che molti coloni si sono trasferiti in West Bank a causa della povertà e dei forti incentivi dei governi precedenti a colonizzare i Territori. L'ottanta per cento degli israeliani è favorevole a questa proposta di legge, che sarebbe il primo segnale forte di una volontà di dialogo. Olmert tuttavia ha giudicato la legge “prematura” per paura di perdere l'appoggio dei partiti religiosi ultraortodossi. L'ex ministro della difesa Amir Peretz, ricordato per la disastrosa guerra in Libano, è stato poi il primo esponente del Labor a chiedere l'apertura dei negoziati con Hamas. La partita è aperta.

La conferenza di Annapolis ha anche avuto il merito di sciogliere il tradizionale riserbo delle organizzazioni sioniste americane, in particolare delle organizzazioni ebraiche ultraortodosse. Per la prima volta nella storia, sono scese nell'agone del dibattito politico, dichiarando unanimemente che la “riunificazione” di Gerusalemme ottenuta nel '67 non è negoziabile a nessun costo. Olmert si è mostrato sorpreso per l'indebita ingerenza, dichiarando che gli affari interni Israeliani sono di pertinenza esclusiva dei cittadini israeliani. L'unico problema per Olmert è il fatto che le organizzazioni ultraortodosse americane hanno stretti legami con i partiti religiosi nella coalizione di governo e dunque, a tutti gli effetti, potranno mettere una grossa ipoteca su qualsiasi mossa del governo. Anche in questo campo la partita è aperta e si giocherà verosimilmente nel corso del prossimo anno.