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di mazzetta

Il vertice Africa-UE di Lisbona segna uno spartiacque storico nel rapporto tra Africa ed Europa. A Lisbona l’Europa ha dato una impressionante dimostrazione di pochezza e di confusione, tanto da lasciare il dubbio che i leader europei non abbiano colto a fondo la portata degli avvenimenti. L’Europa unita non ha una politica estera comune e, mai come in occasioni del genere, questa mancanza risalta su altre considerazioni. Impressionante è stata l’esibizione delle molte facce della diplomazia europea a fronte di una rappresentanza dei leader africana invece insolitamente compatta. Ancora una volta uno stato membro ha messo i piedi nel piatto e ha devastato l’agenda dell’incontro. Questa volta è toccato alla Gran Bretagna esibirsi, ma succede spesso a parti alterne. Il vertice è stato addirittura boicottato dal primo ministro inglese Gordon Brown, in polemica con la presenza del dittatore Mugabe. Molti commentatori hanno fatto notare che al vertice erano presenti fior di dittatori mediamente più feroci e spietati di Mugabe, considerazione immediatamente affiancata dall’obiezione-standard alla proposta di messa all’angolo dei paesi “cattivi”, quella per la quale isolare un paese spesso si risolve nel rafforzarne il comando, sempre si finisce con il colpire i cittadini comuni. La Gran Bretagna ha però un “fatto personale” con Mugabe. Assurto al potere legittimamente all’inizio degli anni ’80, quando le prime elezioni democratiche terminarono la dominazione bianca di quella che era stata la colonia personale di Sir Cecil Rhodes e del feroce governo di Ian Smith, Mugabe non rinunciò ad eliminare ogni possibile oppositore, fino al momento nel quale decise di farsi di dittatore e fare carta straccia degli accordi con i quali il regime bianco aveva contrattato la transizione “democratica”. Affermazione giunta dopo vent’anni di resistenza sanguinosa alla richiesta del principio “un uomo, un voto” nel paese. Il tirannicida che si fa tiranno è un film già visto. Fu però la decisione di espropriare le fattorie dei bianchi (latifondi coloniali) a segnare il punto di rottura nelle relazioni con il mondo anglosassone. Da allora lo Zimbabwe ed il suo presidente sono all’indice.

Mugabe è sicuramente un dittatore, un corrotto ed un amministratore fallimentare, ma il suo stile non è unico. Come lui anche Teodoro Obiang ha reagito ai rilievi internazionali sulle condizioni di vita delle baraccopoli nella capitale radendole al suolo con i bulldozer. Come lui molti leader africani sono sanguinosi dittatori e rapinosi amministratori, peggio di lui ce ne sono diversi, ma lui è sembrato l’unico sgradito a Lisbona.

Questa simpatica scenetta ad uso e consumo dell’anglofono medio non ha comunque influito sul risultato finale, destinato purtroppo ad essere fallimentare. L’Europa non vuole cambiare l’impostazione paternalista nel suo rapporto con l’Africa e continua in maniera imbarazzante a voler spiegare agli africani cosa è giusto e cosa è sbagliato. Un ruolo che ha sempre potuto sostenere grazie al controllo totale sulle economie e sulle elite dei paesi africani.

Un controllo che oggi l’Europa ha perso quasi del tutto. Fino a venti anni fa Europa e Stati Uniti rappresentavano lo sbocco quasi esclusivo delle economie africane, oggi la richiesta di materie prime arriva prima di tutto dall’Asia; da Cina, India e dalle numerose “tigri” asiatiche.
L’avanzare impetuoso della globalizzazione, incrociando la fine della Guerra Fredda, ha infranto una barriera invisibile e con essa il guinzaglio coloniale.

Si può dire con una discreta approssimazione che l’Africa sia uscita definitivamente dalla colonizzazione (intesa come domino straniero) solo agli inizi degli anni ’90, visto che, fino ad allora, nemmeno l’indipendenza ottenuta negli anni ’60 in gran parte del continente era riuscita ad affrancare i paesi da un controllo oppressivo degli ex colonizzatori. Uno spartiacque più preciso può essere identificato nei negoziati per la fine dell’apartheid in Sudafrica, che durarono dal 1990 al 1994, durante il quale la minoranza bianca cedette, non solo simbolicamente le armi. Lo smantellamento dell’arsenale nucleare sudafricano, sviluppato più o meno clandestinamente collaborando con Israele, è stato sicuramente un segnale forte di un cambiamento reale.

L’emancipazione economica dal controllo mercantilista occidentale non ha però prodotto automaticamente risultati virtuosi. Nella maggior parte dei casi si è assistito alla presa del potere da parte di cleptocrazie locali che si sono sostituite nell’esercizio di un dominio in tutto simile a quello imposto dai colonizzatori bianchi.

In Africa ci sono molti leader “democraticamente eletti” che sono dittatori al pari di quel che fu Saddam, alcuni anche peggiori; leader con i quali l’Occidente è generalmente in buoni rapporti. Lo stesso Papa riceve abitualmente i più sanguinari leader “cristiani” senza difficoltà. Oggi questi governi sopportano con fastidio i moralismi europei, hanno la fila di cinesi, indiani ed asiatici in genere che vogliono comprare le risorse dei loro paesi.

L’Occidente non può far altro che parlare di “conquista” cinese dell’Africa, provando a convincere almeno le opinioni pubbliche occidentali che la Cina ( e solo la Cina) stia pianificando l’occupazione dell’Africa. Dal punto di vista dei leader africani invece, i cinesi pagano senza fare domande e senza porre condizioni; spesso propongono scambi in natura, costruendo in Africa infrastrutture che l’Europa e gli Stati Uniti non sono riusciti a materializzare nemmeno in cento anni. Infrastrutture che danno lustro a leader spesso incapaci di realizzare progetti complessi e che permettono loro di costruirsi un’immagine domestica (e falsa) di modernizzatori, di dittatori che hanno fatto qualcosa di buono per la prima volta nella storia del paese.

I cinesi chiedono solo che i paesi con i quali fanno affari non riconoscano Taiwan, un sacrificio da poco e poco compromettente; quasi tutti i paesi del mondo riconoscono la sovranità cinese su Taiwan, anche quelli europei. Gli Stati Uniti si preoccupano e vorrebbero “mettere in sicurezza” le loro forniture petrolifere africane, che dopo il 9/11 sono diventate sempre più importanti nel mix energetico americano, costituendo l’AFRICOM. Un comando militare americano sul continente per “gestire le crisi umanitarie” al quale però nessun paese africano concede l’autorizzazione. Il rappresentante del Sudafrica, uno dei più teneri, ha suggerito di tenerlo dove è stato costituito in attesa di trovargli una casa africana; a Stoccarda. Nemmeno i governi di Uganda, Congo, Etiopia e Guinea Equatoriale, totalmente dipendenti da Washington si sono espressi a favore, la sola Liberia ha detto che valuterà il da farsi.

L’Europa marcia divisa, alle ripicche britanniche si somma l’attivismo militare francese nella “francafrique” e il codardo defilarsi di tutti di fronte alla carneficina in Somalia e alle altre tragedie africane. Nessuno ha disturbato il dittatore etiope Zenawi, che ha siglato insieme a Mugabe e ad altri simpatici dittatori e leader democratici un appello molto significativo. L’appello “per la diffusione della democrazia e dello stato di diritto” presentato dall’Unione Africana, al di là delle facili ironie, manda un segnale preciso ai politici europei, ma soprattutto alle multinazionali occidentali.

“Abbiamo deciso di costruire un nuovo partenariato strategico, superando la tradizionale relazione donatore-ricevente”. Parole chiare che difficilmente solleveranno dibattito. A lato della querelle Mugabe-Londra è tutto un fiorire di dichiarazioni sul “successo” del vertice e di quanto i paesi europei investiranno per l’Africa. Che poi andando a vedere si tratta di elemosine: otto miliardi di euro dalla UE, che però è uno stanziamento spalmato nel periodo 2008-2013, risultando alla fine misero e facilmente assorbito dalla voce “miglioramento della sicurezza”; cioè armi. L’Italia ha vantato la concessione di quaranta milioni di euro, spiccioli che andranno in un fondo per dell’Unione Africana destinato "proprio a contribuire agli sforzi africani per riportare la pace in queste aree”, che sarebbero il Darfur e la Somalia. Il che vuol dire che andranno a finanziare il nulla, visto che l’UA ha terminato l’intervento in Darfur e visto che in Somalia fino a che non se ne andranno gli etiopi, questione non posta, non se ne parlerà per niente.

Sul fronte delle buone notizie c’è quella che nell’ultimo anno sono morti meno bambini africani per la fame. Ma a ben vedere la notizia non è buona come sembra. Il progresso è dovuto alla diffusione di un geniale alimento capace di recuperare i bambini gravemente colpiti dalla carenza alimentare. La distribuzione di queste fenomenali razioni, un preparato ipercalorico a base di nocciole molto simile alla Nutella, ha permesso di salvare la vita a molti bambini che stavano morendo di fame. A questo parziale buon risultato, se ne aggiunge un altro negativo, visto che il numero di bambini sottoalimentati è aumentato comunque in maniera sensibile a seguito dell’aumento dei prezzi delle materie alimentari. Ne muoiono di meno, ma ne soffrono di più; difficile riuscire a festeggiare. quando si coglie il significato di certi dati presentati come trionfi dai leader.

L’Europa torna quindi da Lisbona in ordine sparso, ciascuno può tornare a curare la politica locale e ad ignorare quel che accade fuori dal continente. Lo stesso faranno i leader africani, grandi sorrisi, proclami trionfali e grande stampa al ritorno in patria; hanno avuto gli stessi maestri. Una cosa è certa: per l’Africa, come per l’Europa, il cammino verso la “democrazia e la certezza del diritto” è ancora lungo.