di Michele Paris
Dalla partenza domenica scorsa da Hong Kong dell’ex contractor della CIA e dell’NSA, Edward Snowden, il governo degli Stati Uniti ha iniziato una disperata campagna fatta di pressioni e minacce per cercare in tutti i modi di riportare in patria e incriminare la fonte delle recenti clamorose rivelazioni sui programmi segreti di monitoraggio delle comunicazioni elettroniche di virtualmente tutto il pianeta messi in atto dall’apparato della sicurezza nazionale americano.
Una delle voci più critiche nei confronti delle autorità di Cina e Russia, presunte responsabili del mancato arresto e rimpatrio di Snowden, è stata quella del segretario di Stato, John Kerry. Quest’ultimo ha infatti minacciato gravi conseguenze nelle relazioni diplomatiche con Mosca e Pechino, chiedendo al Cremlino il rispetto degli “standard legali”, nell’interesse di tutte le parti coinvolte nella vicenda.
Il richiamo alla prassi legale da parte del numero uno della diplomazia americana risulta particolarmente paradossale in questo frangente, dal momento che la persona che l’amministrazione Obama vorrebbe perseguire ha contribuito a far conoscere a tutto il mondo una parte delle attività palesemente illegali commesse proprio dagli Stati Uniti nella difesa dei propri interessi.
Kerry, inoltre, per convincere il Cremlino ha pateticamente ricordato i trasferimenti a Mosca di sette cittadini russi arrestati in territorio USA negli ultimi due anni. Come hanno fatto notare quasi tutti i media in questi giorni, tuttavia, il confronto è quanto meno fuori luogo, dal momento che Snowden non solo non è stato fermato dalle autorità di Mosca ma, secondo la versione ufficiale, tecnicamente non ha nemmeno varcato il confine russo, poiché sarebbe tuttora all’interno del terminal dell’aeroporto Sheremetyevo.
La collaborazione tra USA e Russia, oltretutto, nel recente passato non pare essere stata particolarmente apprezzata a Washington, come dimostra la pressoché totale indifferenza delle autorità americane ai ripetuti avvisi lanciati dai loro colleghi russi in merito ai contatti con ambienti dell’integralismo islamico in Cecenia e in Daghestan di uno dei due responsabili dell’attentato di aprile alla maratona di Boston.
La “frustrazione” e il “disappunto” del governo americano sono stati poi espressi anche nei confronti di Cina e Hong Kong, da dove Snowden ha potuto prendere un aereo per Mosca nonostante la revoca del passaporto e la richiesta di estradizione presentata dal Dipartimento di Giustizia americano. Tra gli altri, il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha parlato di “serie complicazioni” nei rapporti sino-americani, respingendo le motivazioni ufficiali addotte dalle autorità di Hong Kong per non avere fermato Snowden, cioè che la richiesta americana mancava di tutti i requisiti legali previsti dal trattato di estradizione.
Nelle accuse rivolte a Pechino e Hong Kong da parte dei politici americani non è sembrato in ogni caso trasparire alcun imbarazzo, né i media “mainstream” d’oltreoceano hanno fatto notare come le relazioni tra le prime due economie del pianeta fossero già da qualche giorno destinate ad imboccare una strada tutta in salita, proprio a causa delle rivelazioni pubblicate da Guardian e Washington Post.Prima di lasciare Hong Kong, come è noto, Snowden aveva infatti presentato le prove della massiccia attività spionistica condotta dagli americani ai danni di varie istituzioni cinesi, ribaltando di fatto le accuse rivolte negli ultimi mesi dal governo USA a Pechino per il presunto dilagare di operazioni di hackeraggio contro obiettivi statunitensi.
I governi di Mosca e Pechino, così, hanno prevedibilmente reagito in maniera ferma alle prediche di Washington, sia pure in modi differenti. La Russia ha dapprima evitato commenti sulla presenza di Snowden all’interno del proprio territorio, con svariati membri del governo che hanno anche negato di essere a conoscenza dei movimenti dell’ex contractor della NSA.
Martedì, poi, il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, in un’intervista all’agenzia di stampa RIA Novosti ha affermato che “i tentativi di accusare la Russia di avere violato le leggi americane e in pratica di avere preso parte ad una cospirazione - assieme alle minacce subite - sono totalmente infondati e inaccettabili”.
Lo stesso Vladimir Putin sempre martedì ha confermato la presenza di Snowden nell’area di transito dell’aeroporto della capitale russa. Nel corso di una conferenza stampa dalla Finlandia, il presidente ha affermato che Snowden è libero di lasciare Mosca in qualsiasi momento, mentre ha escluso la possibilità di consegnarlo agli americani, bollando le accuse di questi ultimi come “spazzatura”.
In Cina, invece, le reazioni sono state affidate in gran parte agli organi di stampa affiliati al regime. Sempre nella giornata di martedì, il Quotidiano del Popolo ha pubblicato un aggressivo editoriale in prima pagina accusando gli Stati Uniti “non solo di non averci fornito alcuna spiegazione o scusa [in merito al monitoraggio dei sistemi informatici cinesi] ma hanno anche espresso il loro disappunto per il modo in cui Hong Kong ha gestito la vicenda secondo quanto stabilito dalla legge”.
L’autore del commento - Wang Xinjun, ricercatore presso l’Accademia delle Scienze Militari - ha poi affondato il colpo, sostenendo che “in un certo senso, da modello per il rispetto dei diritti umani, gli Stati Uniti sono diventati gli intercettatori della privacy, i manipolatori del potere centralizzato per controllare la rete e i paranoici invasori dei sistemi informatici di altri paesi”. Inoltre, poiché “il suo coraggio ha strappato la maschera ipocrita di Washington”, Edward Snowden “verrà ricordato da tutto il pianeta”.
In un altro articolo, il Global Times ha anch’esso celebrato le azioni di Snowden, definendolo “un giovane idealista che ha smascherato gli scandali del governo americano”, il quale, “invece di porgere le proprie scuse” a Pechino, “sta mostrando i muscoli nel tentativo di tenere sotto controllo l’intera situazione”.
A fare le spese dell’arroganza americana sono anche quei paesi indicati in questi giorni come le possibili destinazioni finali del viaggio di Snowden, tra cui Cuba, Ecuador e Venezuela. Secondo alcuni giornali, infatti, il Dipartimento di Stato USA avrebbe già inviato avvertimenti ufficiali ai paesi latinoamericani, invitandoli a non dare rifugio al 30enne analista informatico.
L’Ecuador, in particolare, dopo la probabile assistenza garantita a Snowden per lasciare Hong Kong e l’annuncio della possibile concessione dell’asilo politico si trova a dover fronteggiare enormi pressioni sia in maniera esplicita che, con ogni probabilità, dietro le quinte della vicenda. Ad esempio, il Washington Post ha pubblicato lunedì un articolo dai toni minacciosi contro il governo di Rafael Correa, il quale, ospitando Snowden, rischierebbe tra l’altro la revoca da parte dell’amministrazione Obama dell’accordo di scambio preferenziale in essere con gli Stati Uniti. Questo accordo scade proprio il primo luglio prossimo e, secondo il reporter del Washington Post autore del pezzo, il mancato rinnovo comporterebbe “il rischio di perdere decine di migliaia di posti di lavoro” nei settori dell’export destinato al mercato americano.Al di là dell’epilogo della vicenda, i furiosi tentativi degli Stati Uniti di mettere le mani su Snowden e di spingere con metodi e toni intimidatori paesi sovrani ad adeguarsi alle loro richieste sono il chiaro sintomo di una sensazione di panico abbondantemente diffusa tra la classe dirigente d’oltreoceano.
Oltre al desiderio di lanciare un messaggio a coloro all’interno del governo che dovessero valutare un percorso come quello di Snowden, la ragione principale dell’angoscia che caratterizza le minacce lanciate da Washington contro quest’ultimo, così come contro Cina e Russia - le quali, peraltro, stanno chiaramente sfruttando la situazione per i propri interessi strategici - è dovuta all’ulteriore discredito per il governo USA che provocherebbero possibili nuove e ancora più esplosive rivelazioni nel prossimo futuro.
Questo timore sembra del tutto giustificato, visto che il giornalista del Guardian, Glenn Greenwald, ha confermato che i documenti riservati ottenuti da Snowden sono nell’ordine delle migliaia e, oltretutto, includono informazioni di estremo valore per i servizi segreti di paesi stranieri.
Per comprendere la portata del danno arrecato da Snowden all’apparato della sicurezza nazionale americana, analisti del governo in questi giorni stanno studiando attentamente i sistemi informatici violati. Secondo un anonimo ex esponente del governo USA citato dal Washington Post, mentre le rivelazioni già pubblicate sarebbero di utilità limitata per Cina o Russia, l’eventuale sottrazione e pubblicazione di informazioni che descrivono del dettaglio le modalità con cui l’NSA penetra i sistemi informatici di paesi stranieri rappresenterebbe un problema enorme per gli Stati Uniti.
Dietro ai contorni da spy-story della vicenda di Snowden, perciò, potrebbe esserci proprio una trattativa segreta tra quest’ultimo e le autorità dei paesi che potrebbero garantirgli la possibilità di sottrarsi alla vendetta americana, così da mettere le mani su informazioni fondamentali per comprendere e contrastare i metodi impiegati dagli USA per controllare qualsiasi dissenso interno o rivalità internazionale che ostacoli gli interessi dell’Impero.