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Categoria: Esteri
di Fabrizio Casari

Dodici aerei militari al Venezuela agitano i rapporti già difficili tra Madrid e Washington.
Gli Stati Uniti si sono detti pronti a bloccare, ricorrendo ai tribunali internazionali, l'invio di forniture belliche dalla Spagna al Venezuela.
Si tratta di dieci aerei da trasporto C-295 e due ricognitori per la vigilanza marittima CN-235 fabbricati dalla casa produttrice spagnola Eads-Casa, con sistemi elettronici e componenti di turbine a tecnologia statunitense. In aggiunta, nella fornitura sono comprese quattro imbarcazioni per il pattugliamento e la vigilanza costiera e quattro Corvette fabbricate nei cantieri navali spagnoli Navantia. Nel rispetto di un accordo commerciale ammontante a 2 miliardi di Euro tra Madrid e Caracas, stipulato nei mesi scorsi durante la visita di Chavez a Zapatero, gli aerei dovevano giungere nei prossimi giorni in Venezuela. Ebbene gli Stati Uniti hanno deciso di bloccare la vendita spagnola, argomentando che l'eventuale possesso di questi aerei da parte di Chavez "contribuirebbe alla destabilizzazione dell'America Latina". Non solo: il Segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice, ha chiamato personalmente Celso Amorin,, ministro degli Esteri brasiliano, per scongiurare la vendita al Venezuela di 30 aerei militari Super Tucano, anch'essi costruiti con tecnologia statunitense, adatti al pattugliamento ed oggetto di un altro contratto di forniture militari siglato tra Chavez e Lula.
Perché? Perché i trasferimenti di equipaggiamento e tecnologia militare al Venezuela "non sono coerenti con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti". Fin qui la Rice ed il suo portavoce Carpenter
A sua volta, il super falco Rumsfield, ha scritto al ministro della Difesa spagnolo, José Bono, "per esprimere tutta la preoccupazione per questi accordi commerciali", preoccupazione ripresa anche da una nota diplomatica dell'ambasciata statunitense a Madrid.
Dunque, il Venezuela può fornire il 23 per cento del fabbisogno petrolifero agli Stati Uniti, ma non può dotarsi di armamenti convenzionali perché questo "non corrisponde agli interessi degli Stati Uniti".

Un delirio di potenza e di arroganza, quello statunitense, che non ha turbato nessuno, né a Madrid, né a Brasilia. La Vicepremier spagnola, Maria Teresa Fernandez de la Vega, si è limitata a rispondere che "Madrid non condivide i criteri espressi da Washington" ed ha annunciato che la decisione statunitense "non annulla il contratto con Caracas". La Vicepremier ha quindi assicurato il Governo venezuelano che "si cercherà la tecnologia sostitutiva perché gli accordi devono essere rispettati".
Sulla sua stessa lunghezza d'onda il Presidente venezuelano Hugo Chavez, che in un discorso all'inaugurazione del nuovo Parlamento venezuelano, si è detto amareggiato per la decisione di Washington, visto che i mezzi militari oggetto dell'accordo commerciale con Madrid "sono mezzi utili per il soccorso e potrebbero fornire un importante aiuto in momenti tragici, non solo in Venezuela, ma in tutta l'America Latina". Chavez ha comunque aggiunto che la decisione di Washington "non rappresenta un problema, giacché "a Mosca fanno ottimi aerei, così come a Pechino".

Il Presidente bolivariano ha duramente criticato la decisione di Washington, definendola "una manifestazione di arroganza imperiale in violazione del diritto commerciale internazionale" e si è detto convinto che l'iniziativa Usa denota l'inizio di "una nuova aggressione al Venezuela".
Ed è proprio a Mosca e a Pechino che il Venezuela rivolgerà le sue commesse per evitare contenziosi commerciali. Nei prossimi due mesi, Mosca invierà 100.000 fucili mitragliatori d'assalto del tipo Kalashnikov AK 103 e 104, oltre a 15 elicotteri militari. "non sono una priorità - ha detto Chavez - ma una necessità per un paese minacciato, sotto la mira del paese più poderoso della terra".

Indipendentemente dal blocco del trasferimento di mezzi a tecnologia Usa, risulta evidente il fastidio di Washington per la politica estera spagnola, che in particolare in America latina, dimostra voler intrecciare strettissimi rapporti con tutti i governi progressisti. Non si tratta di "sgarbi" nei confronti degli Stati Uniti, quanto di un approccio coerente con i termini del Mercosur sul piano commerciale, unito ad una chiara autonomia e sovranità nelle relazioni diplomatiche e politiche che il governo Zapatero ha scelto di perseguire nella sua politica estera.

Come quelle di Pechino e di Mosca, si può ritenere che le opzioni del governo spagnolo non siano solo animate da un sano spirito di collaborazione internazionale; che Madrid giochi una partita strategica di particolare interesse e che questo sia in conflitto con quello di Washington. Persino che usi le difficoltà statunitensi nell'area per sottrarre il subcontinente alla morsa del rapporto obbligato con Washington e proporsi come interlocutore politico e commerciale privilegiato, da solo ed anche in seno allo stesso Mercosur. Ma fa politica. Che prevede valutazioni e scelte, interlocuzioni ed obiettivi pensando alla Moncloa e non alla Casa Bianca.
Che agli Stati Uniti piaccia o no.