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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

L'interscambio commerciale tra India e Cina arriverà entro il 2010 a 40 miliardi di dollari e per il 2007 scatterà un programma di turismo di massa tra questi due giganti asiatici. Si delinea una rivoluzione economica e sociale che è annunciata a Nuova Delhi dal presidente cinese Hu Jintao impegnato in una storica missione insieme al primo ministro indiano Manmohan Singh: "Cina e India - dice l’esponente di Pechino - sono Paesi in una fase di grande sviluppo e le nostre relazioni acquistano un signifi¬cato mondiale. Aumenteremo le forme di collaborazione in aree come il commercio, l'agricoltura, gli investimenti, lo sviluppo delle risorse umane e il turismo”. E questa fase di sviluppo toccherà anche i settori della diplomazia perché si apriranno nuovi consolati nei due paesi: uno indiano a Guangzhong e uno cinese a Calcutta. Intanto a questa rivoluzione annunciata si unisce anche Singapore che con le sue banche, industrie, raffinerie e cantieri navali entra in rapporto diretto con Cina ed India e l’occidente è obbligato a tener conto di questa nuova realtà geoeconomica. L’isola asiatica sta, infatti, compiendo un notevole balzo in avanti: non sarà più solo area di shopping, ma un vero e proprio punto di riferimento per i nuovi mercati che, oggi più che mai, si orientano verso la Malaysia, il Vietnam, le Filippine e la Thailandia.
Il continente “Cindia”, quindi, si estende e si rafforza. Aumenta il suo prestigio e ci ricorda che siamo di fronte a tre grandi aree che domineranno sempre più l’economia mondiale. Con gli analisti più attenti alle mutazioni socio-economiche i quali annunciano che Cina e India, con il loro impressionante sviluppo economico (forti anche di ben precise ambizioni politiche), si avviano sempre più a stravolgere gli equilibri geopolitici in Asia mettendo in discussione quell’ordine mondiale nato con la fine della Guerra Fredda. Si scopre, così, che le due potenze – considerate, con una sorta di gioco al ribasso, solo come “emergenti” – hanno già trovato un loro modus vivendi per coesistere pacificamente e tutelare i rispettivi interessi.

Restano comunque aperti quei capitoli relativi alla regolamentazione delle frontiere ai confini dell'Himalaya. Un problema lasciato irrisolto dal colonialismo inglese, che nel passato determinò, a partire dal 1959, gravi scontri armati tra gli eserciti di Delhi e di Pechino, quando l'India sostenne il Dalai Lama. E fu soprattutto nel 1963 quando, in seguito a prolungati scontri di frontiera ed alla tensioni politiche tra i due paesi (in riferimento sia al ruolo dei non allineati ma soprattutto alla partecipazione dell'India - col tacito consenso di Kruscev - al cordone anticinese promosso dagli Usa) le truppe cinesi diedero una dimostrazione di forza dilagando fino alle valli dell'Assam e poi immediatamente ripiegando indietro.

Le divergenze sulle questioni di confine sono ancora presenti. Il “contenzioso” riguarda la demarcazione dei 3500 chilometri di confini che dopo la mini guerra sono ancora da definire. Pechino, in pratica, continua a rivendicare quella porzione di territorio himalayano rappresentata oggi dallo stato indiano nord orientale dell'Arunachal Pradesh. Da più di un decennio a questa parte, comunque, la trattativa è affidata ai canali diplomatici e le relazioni si sono un po’ normalizzate anche grazie ad un accordo di partnership strategica che ha permesso di incrementare gli scambi economici. C’è quindi distensione, ma non normalizzazione.

Tanto che solo da poco la Cina ha riconosciuto lo stato indiano del Sikkim, stretto tra Nepal e Bhutan, come parte integrante dell'Unione Indiana. Rimane invece in sospeso una vasta e deserta area montagnosa di 40 mila chilometri quadrati a nord del Kashmir, nota come Aksai Chin. E sul piano dei contrasti tra Pechino e Delhi c’è anche la questione tibetana. L'India - pur avendo riconosciuto la sovranità cinese sulla regione autonoma del Tibet - continua ad appoggiare il Dalai Lama e il governo tibetano in esilio che ha sede a Dharamsala.

Intanto sulla base dell’ultimo incontro tra il presidente cinese e il primo ministro indiano Manmohan Singh si comincia a parlare di una “nuova fase” valida appunto per tutte le aree del continente “Cindia”. Perché le previsioni a breve e a lungo termine – un arco di circa cinquanta anni - sono chiare: la Cina è già oggi un mercato di dimensioni enormi, con un Pil che cresce a doppia cifra e che non si arresterà. Con le Olimpiadi del 2008, tra l’altro, che saranno un nuovo volano per l’intero sviluppo del paese. E il mondo dell’economia sa bene, in questo contesto, che non è solo Shanghai che spinge il mercato, ma sono anche la capitale Pechino e le altre nuove metropoli della costa sud che stanno rapidamente crescendo.

Ecco, quindi, che i due giganti asiatici – Cina e India, appunto - rappresentano da soli il 40 per cento dell’intera popolazione mondiale e il loro tasso di crescita annuale è tra i più alti al mondo: secondo un recente studio della Deutsche Bank, entro il 2020, saranno rispettivamente, dopo gli Stati Uniti, la seconda e la terza economia al mondo. E il Pil cinese potrebbe superare quello americano già entro la metà di questo secolo. Sul fronte cino-indiano c’è, infine, da rilevare che i due paesi hanno deciso di cooperare anche nel nucleare. Alleanza stretta, quindi, in questo continente asiatico dove punta gli occhi anche la Russia di Putin. Con gli analisti del Cremlino che ben sanno della lunga tradizione di pragmatismo e flessibilità che Delhi e Pechino dimostrano nel settore della politica estera e, soprattutto, in quello dell’economia.

I due paesi si impegnano, infatti, alla stabilità interna ed internazionale, ma guardano nello stesso tempo all’accesso alle immense fonti energetiche russe e al mercato americano. Ecco perché risulta sempre più chiaro che Cina, India ed ora Singapore giocano di sponda con Washington e Mosca. Lo fanno con pragmatismo sapendo di trovarsi in un intricato crocevia che caratterizza l’incontro tra il passato e il possibile futuro.