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Categoria: Esteri
di mazzetta

La tradizionale campagna militare primaverile si è aperta in anticipo in Afghanistan. Ogni anno, ormai da secoli, chi invade l’Afghanistan sa che con il disgelo riprendono le attività dei guerrieri afgani. che sia stato per effetto del “global warming” o per impazienza, l’anticipo dell’apertura della stagione bellica è stato una sorpresa solo per le NATO e per il comando americano. Mentre il segretario dell’alleanza atlantica De Joop dice che “spezzeremo le reni” agli afgani cattivi, i comandi americani chiedono più uomini e mezzi. Non per resistere, dicono loro, ma per sferrare una “offensiva” decisiva. La situazione nel paese è chiaramente giunta allo stallo e nessuna grande battaglia potrà risolvere l realtà sul campo. Da una parte ci sono le forze alleate che non possono essere cacciate, dall’altra c’è un’alleanza afgana allargata che non può essere spazzata via in campo aperto. In mezzo una popolazione per la quale la vita è sempre difficile e il panorama è sempre più punteggiato dai burka. L’alleanza afgana può contare sui rinati “talebani”, su signori della guerra e anziani mujaheddin, ma soprattutto può contare sulla retrovia pachistana. In Pakistan la rete islamista si è allargata e ormai controlla tutta la regione di frontiera. Musharraf, accusato con forza di “collusione con i terroristi” da Karzai e dal Dipartimento di Stato Usa, non ha saputo fare altro che proporre di minare il confine tra i due paesi, idea poi abbandonata tra i fischi.

Dopo alcuni attacchi al dittatore pachistano la barra è stata riportata sul piano di scontro istituzionalizzato, quello della “guerra ai terroristi”. Musharraf in questo momento corre verso elezioni alle quali non potrebbe partecipare, ma che vincerà sicuramente. A Washington per un breve periodo sembrarono voler puntare su una guida “civile” per il Pakistan, ma la mancanza di candidati credibili ha consigliato di rimontare in sella all’infido dittatore. L’evidente ineluttabilità di un conferma di Musharraf ha dato la stura alle opposizioni, dal Kashmir, passando per i kamikaze negli aeroporti metropolitani, fino al sabotaggio dei gasdotti in Balochistan si è verificata una ondata di attacchi e attentati senza precedenti. Una ondata che non è coordinata, ma che lo sembra perché a scatenarla è stato l’elemento della conferma di Musharraf.

Con metà dell’esercito pachistano che gioca a sovvertire l’Afghanistan e con il resto del paese agli stracci, Musharraf non ha molti margini di manovra, ma ha ancora le chiavi del nucleare pachistano e la mancanza di scrupoli sufficiente a permettergli di trattare su tutti i tavoli. Intanto in Pakistan si sta peggio che in Afghanistan, la tortura è “endemica” secondo le associazioni locali per i diritti umani, la corruzione imponente e l’esercito è onnipotente.

In Afghanistan c’è la Nato che prepara l’offensiva voluta dagli strateghi americani, che consisterà prevedibilmente nell’inseguire i guerriglieri afgani fino al confine; una operazione condotta su una linea di fronte molto ampia, quanto sicuramente insufficiente. Approfittando dei preparativi i talebani hanno segnato un punto, occupando militarmente la città di Mussa Qala. Uno smacco per l’alleanza, una seccatura per la popolazione; oltre ottomila abitanti hanno lasciato la cittadina temendo i bombardamenti aerei e si sono sparsi per la provincia di Helmand. Migliaia di profughi, e una cittadina che presto verrà cancellata dalla faccia della terra. Anche qui la vittoria alleata non è in discussione.

Corrisponde al vero che il contingente italiano abbia un approccio diverso e anche che nella sua area di competenza sia apprezzato dai locali, ma è pur vero che è chiamato ad operare in un contesto determinato dalle scelte politiche americane, che hanno uno stile del tutto diverso. L’Afghanistan è oggi messo peggio che nel 2001 grazie ad una serie spaventosa di errori annunciati e di imponenti sperperi e malversazioni. Non è un caso che la camera bassa del parlamento afgano abbia votato un’amnistia che copre gli ultimi 25 anni e anche i crimini di guerra. Il che vuol dire che anche uno come il mullah Omar potrebbe lasciare il comodo esilio di Quetta ed entrare in Afghanistan senza conseguenze giudiziarie.

Dopo oltre cinque anni di occupazione, i geniali gestori dell’operazione-Afghanistan sono riusciti solo ad ottenere l’amnistia per Omar e a costruire una strada-truffa in tutto il paese. La guerriglia gode di ottima salute, nei campi per i profughi in Pakistan non manca la manodopera arruolabile con quattro soldi, mentre la produzione dell’oppio farà il record anche nel 2007, con i sentiti ringraziamenti del PIL afgano, delle casse dei signori della guerra, dei trafficanti internazionali e dei consumatori globalizzati. Se la “war on terror” finirà come la “war on drugs”, non ci sarà da stupirsi visto che sono state concepite dagli stessi cervelli, portate avanti con gli stessi metodi e interpretate dal solito manipolo di gente che opera oltre le leggi ed i controlli democratici. E perde.