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La nuova purga ordinata nei giorni scorsi in Arabia Saudita dall’erede al trono, principe Mohammed bin Salman (MBS), si inserisce in una congiuntura economica e in uno scenario geo-strategico particolarmente delicato per la monarchia wahhabita. Gli arresti di due influenti principi della casa regnante si aggiungono inoltre alla guerra attorno al prezzo del petrolio, lanciata sempre da MBS, che rischia di mettere Riyadh contro Mosca e, soprattutto, Washington, con conseguenze disastrose sia per il paese mediorientale sia per la posizione interna dello stesso principe ereditario.

Come sempre accade in Arabia Saudita, è impossibili basarsi su notizie certe per spiegare quanto stia succedendo nei palazzi del potere. Alcune pubblicazioni hanno tuttavia citato anonime fonti interne al regno che contribuiscono almeno in parte a fare luce sulle azioni di Mohammed bin Salman.

 

Per quanto riguarda i fatti noti, venerdì il fratello dell’attuale sovrano Salman, nonché zio di MBS, principe Ahmed bin Abdulaziz, è stato arrestato a Riyadh. La stessa sorte è toccata al nipote del re, Mohammed bin Nayef, messo sotto custodia assieme al fratellastro Nawaf. L’epurazione avrebbe coinvolto anche altri esponenti relativamente meno importanti della famiglia reale, tra cui un ulteriore membro del consiglio formalmente incaricato di approvare i successori al trono saudita.

La prima e apparentemente più logica spiegazione dell’iniziativa di MBS è l’esistenza di un complotto orchestrato dagli oppositori del giovane e controverso principe per escluderlo dalla linea di successione al sovrano Salman, da tempo affetto da demenza. Di un possibile colpo di stato non sono però trapelate notizie, nemmeno non confermate.

La testata on-line vicina all’emirato del Qatar, Middle East Eye, ha riportato le dichiarazioni di un non meglio identificato funzionario saudita, secondo il quale non erano in corso manovre per dare la spallata a MBS. Secondo la sua ricostruzione, il principe Ahmed sarebbe stato vittima di un’imboscata, essendo stato convocato al palazzo reale per un normale incontro con re Salman e poi arrestato al suo arrivo.

Le posizioni critiche di Ahmed nei confronti di MBS erano ben note e, sempre secondo la fonte di Middle East Eye, la decisione di arrestarlo sarebbe stata presa dopo il suo ennesimo rifiuto ad appoggiare un piano per portare il principe ereditario sul trono saudita nei prossimi mesi. Anche Nayef sarebbe finito in trappola per questa ragione. Nayef, oltretutto, era già stato privato della sua posizione di erede al trono nel 2017 per fare spazio proprio a Mohammed bin Salman.

Al di là dell’esistenza o meno di un piano imminente per deporre MBS, è evidente che la mossa dei giorni scorsi punta a eliminare la minaccia interna contro la sua posizione proveniente dagli ambienti rivali più potenti del regno. Ahmed era considerato il principe più autorevole tra quelli contrari all’ascesa di MBS e un punto di riferimento e di collegamento con il sovrano per gli oppositori del giovane nipote. Sia Ahmed sia Nayef, inoltre, erano potenzialmente in grado di raccogliere un certo seguito tra le forze di sicurezza saudite, avendo entrambi ricoperto in passato l’incarico di ministro degli Interni.

L’aspetto forse più interessante delle ultime vicende saudite è che i due principi caduti in disgrazia e, in particolare, Mohammed bin Nayef hanno legami storici con i servizi di sicurezza americani, a cominciare dalla CIA. Di questo risvolto ne hanno parlato nei giorni scorsi anche i media ufficiali, che hanno in genere ricordato, come ha fatto ad esempio la Associated Press, la cooperazione tra le forze del regno in passato guidate da Nayef e l’intelligence USA nell’ambito “dell’antiterrorismo contro al-Qaeda”.

Legami ambigui tra CIA, Riyadh e fondamentalismo sunnita a parte, è risaputo che determinati ambienti di potere americani non erano esattamente entusiasti dell’ascesa a erede al trono di MBS a spese del loro “asset” saudita, Mohammed bin Nayef. La concentrazione del potere nelle mani del giovane principe ereditario in questi anni e una serie di iniziative fallimentari o, comunque, contrarie agli interessi americani non hanno fatto che aumentare le inquietudini a Washington, proprio mentre l’amministrazione Trump abbracciava invece in pieno la leadership di Mohammed bin Salman.

Alla luce di ciò, è possibile sia che qualcuno negli Stati Uniti stesse manovrano con i principi appena arrestati per progettare un colpo di mano contro MBS sia che quest’ultimo abbia agito preventivamente alla vigilia di un periodo particolarmente turbolento per il regno. Per le stesse ragioni, poi, non è da escludere che l’erede al trono, secondo alcuni impegnato nel tentativo di succedere al padre in un futuro molto vicino, possa finire per pagare il conto del nuovo sgarbo fatto alla CIA.

A queste circostanze vanno d’altra parte aggiunti gli ultimi esplosivi sviluppi sul fronte petrolifero, che ugualmente non devono essere stati ricevuti positivamente a Washington. Settimana scorsa, i paesi OPEC, con l’Arabia Saudita in testa, non erano riusciti a siglare un accordo con la Russia per prolungare un accordo, in scadenza a fine marzo, che prevede il taglio della produzione di 1,5 milioni di barili di greggio per limitare il crollo delle quotazioni, accelerato dalla crisi internazionale provocata dall’emergenza Coronavirus.

Il rifiuto di Mosca è stato giudicato da molti osservatori come una ritorsione contro l’industria estrattiva degli Stati Uniti per gli sforzi della Casa Bianca di ostacolare il completamento del gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe raddoppiare il collegamento già esistente tra la Russia e la Germania attraverso il Mare del Nord. Tradizionalmente indebitate, le compagnie petrolifere americane che operano in patria hanno bisogno di quotazioni elevate per generare profitti.

Mohammed bin Salman ha dunque deciso lunedì di applicare forti sconti sul proprio petrolio per i clienti in Asia, Europa e Stati Uniti. Contestualmente, Riyadh ha annunciato anche un sensibile aumento della produzione di greggio, nonostante il rallentamento della domanda a livello globale. Queste misure hanno avuto un impatto enorme sui mercati, facendo crollare le quotazioni del greggio di circa il 30% in un solo giorno.

La scommessa saudita è però per molti pericolosa, perché un prezzo troppo basso del petrolio rischia di aprire ulteriori voragini nel bilancio di Riyadh. Alcuni analisti hanno infatti osservato come all’Arabia Saudita occorrerebbe teoricamente una quotazione attorno agli 80 dollari al barile per finanziare un livello ottimale di spesa pubblica. Già per il 2020, il deficit di bilancio programmato dalle autorità saudite era pari al 6,4% del PIL, ma con quotazioni del greggio stabili a 62/63 dollari al barile. Le quotazioni sono scese fino a poco più di 30 dollari nella giornata di lunedì e le previsioni più pessimistiche ipotizzano un crollo fino a 20 dollari nei prossimi mesi.

Per quanto riguarda la Russia, invece, ci sono indicazioni che Mosca sia in grado di sostenere quotazioni estremamente basse nel medio periodo, come conferma la situazione di sostanziale pareggio di bilancio di questo paese. Il quadro che potrebbe delinearsi non sarà comunque indolore per il Cremlino. Il greggio su livelli così bassi rischia se non altro di creare gravissime difficoltà a paesi produttori alleati strategici della Russia e già in crisi finanziaria per varie ragioni, come Iran e Venezuela. Anche per questa ragione, continua a circolare l’ipotesi che lo scontro tra Mosca e Riyadh possa rientrare a breve con il raggiungimento di un qualche accordo petrolifero tra i due paesi.

Ad ogni modo, la purga ordinata da Mohammed bin Salman e gli eventi degli ultimi giorni in ambito economico e petrolifero potrebbero essere in qualche modo collegati dalla necessità del principe ereditario saudita di consolidare il potere proprio mentre la sua posizione si sta facendo sempre più precaria, non da ultimo per le conseguenze della diffusione del Coronavirus.

Oltre alle difficoltà già descritte, altre iniziative che avrebbero dovuto contraddistinguere la marcia verso il trono di MBS sono sull’orlo del fallimento o sono quanto meno in una situazione di stallo. Tra di esse figurano l’ambizioso piano di sviluppo e diversificazione economica “Vision 2030” e, ancor più, la guerra in funzione anti-iraniana scatenata in Yemen, dove quasi cinque anni di sforzi militari e finanziari non hanno prodotto risultati concreti, ma solo danni enormi alle casse pubbliche e un danno d’immagine a livello internazionale per via dei crimini orrendi commessi dalla coalizione guidata dal regno saudita.