E’ in stato di continua contraddizione fra la retorica dei propri obiettivi e la realtà dei fatti. Non accetta le condizioni del cambiamento e non accenna ad esami di coscienza. E si rivela sempre più un leader con i denti d’acciaio e una volontà di ferro. Temuto in patria e all’estero. Eccolo, quindi, questo Mahmud Ahmadine¬jad impegnato ancora una volta a rispedire al mittente - l’Onu - l’ultimatum che gli era stato dato. Perché la sua risposta è che l’Iran continuerà nel suo programma nucleare (l’arricchimento dell’uranio), anche se dovesse “rinunciare a qualsiasi altro progetto per i prossimi dieci anni”. Così a Teheran vince il fronte della fermezza con gli esperti che ribadiscono che l’Iran ha fatto, in queste ultime ore, nuovi ed importanti passi avanti nel suo programma sul combustibile nucleare. Quindi: nessuna interruzione. Al contrario: successi e progressi. Tutto questo mentre da Berlino il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice (impegnata con i ministri degli Esteri di Germania, Russia ed il responsabile della politica estera Ue Javier Solana) manda a dire che le potenze mondiali intendono usare tutti i canali disponibili per impedire le mosse del presidente iraniano. E il Consiglio di Sicurezza dell’Onu - aggiunge – dovrà mobilitarsi sempre più per far interrompere all'Iran la sua attività sul nucleare e iniziare negoziati. Ma non si vedono vie d’uscita.
A Vienna – dove è di scena un tentativo di dialogo fra Iran e Comunità internazionale – non si sono aperti spiragli distensivi. E lo stesso Mohammed El Baradei (direttore generale del¬l'Aiea, l’Agenzia internazionale per l'energia atomica) si trova ancora una volta impegnato in prima fila con il compito di presentare al Consiglio di Sicurezza del¬l'Onu a New York e al «Board» dell'Aiea a Vienna il suo ultimo rapporto sul pro¬gramma nucleare iraniano. Ma nel dossier non c’è niente di nuovo: Teheran ignora l'intimazione della risoluzione Onu del 23 dicembre a sospendere ogni atti¬vità nucleare ed è pronta a mettere nel conto il rischio di nuove e più severe sanzioni dell'Onu.
Intanto il negoziatore iraniano Ali Lariani – sempre da Vienna - offre garanzie sul fine pacifico del suo programma nucleare, a patto però che la Comunità internazionale non ponga (come ha fatto) condizioni preliminari per ritornare al tavolo negoziale. “Daremo le necessarie assicurazioni e garanzie che non ci saranno diversioni verso armi nucleari”, dice Lariiani precisando però che la condizione sareb¬be che la Comunità internazionale non ponesse precondizioni per la ripresa del negoziato. El Baradei propone, invece, una «pausa», sia nell'arricchi¬mento sia nelle sanzioni.
Le reazioni, intanto, sono caratterizzate da uno scetticismo di stampo diplomatico e su tutto piomba la nuova provocazione di Ahmadine¬jad: “Se vogliono che noi chiudiamo i nostri siti e fermiamo il ciclo per la produzione di uranio arric¬chito, chiudano anche loro i loro im¬pianti”. Immediata la reazione di Wa¬shington: “Tutto questo discorso è ridicolo”. E il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, aggiunge: “Vi sembra davvero un'offerta seria?». Larijani ribatte: “Il contenzioso sul nucleare iraniano non può essere risolto con la forza anche se forse, ci sono gruppi o Paesi che vorrebbero usare la forza contro l'Iran”. Questo vuol dire che si è ormai prigionieri di un labirinto politico ed economico. Il rischio è quello di avvicinarsi al collasso con un braccio di ferro estenuante. Tutto questo mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe esaminare la pro¬spettiva di imporre nuove sanzioni con¬tro Teheran, più dure di quelle già inflit¬te con la risoluzione 1737.
E se il vento della crisi soffia nel Palazzo di Vetro anche nei bunker del Pentagono la crisi iraniana trova già sbocchi militari e repressivi. Si parla di un piano di attacco aereo Usa in Iran in caso di aggravamento della minaccia atomica o anche di un grave attentato in Iraq con matrice iraniana. La Casa Bianca, comunque, smentisce e ribadisce che non è in progetto un confronto milita¬re con Teheran. E per dare più forza a questa “notizia” affida ulteriori precisazioni al Presiden¬te della Commissione per gli affari esteri del Congresso, il democratico Tom Lantos, in visita a Mosca. Una capitale che mantiene pur sempre un atteggiamento cauto nei confronti dell’Iran.
Ma le voci distensive che vengono dagli Usa non trovano conferme nei fatti. C’è, ad esempio, un evidente rafforzamento della presenza militare nel Golfo che permetterebbe agli Stati Uniti di lanciare un'offensiva, probabilmente in primavera. E ci sono fonti diplomatiche che parlano di un attacco che verrebbe lanciato il prossimo anno, prima della fine del mandato del presidente George W. Bush. "La pianificazione va avanti – dice, ad esempio, l'ex funzionario della Cia Vincent Cannistraro - perché gli obiettivi sono già stati scelti e si stanno dispiegando i mezzi militari per colpirli". E mentre va avanti questa altalena di dichiarazioni, è noto che a gennaio una flotta guidata dalla portaerei “Uss John Stennis” ha ricevuto l'ordine di unirsi alla “Uss Dwight Eisenhower”. Inoltre sono stati mandati nella regione nuovi missili Patriot e nuovi dragamine in previsione di una risposta militare iraniana.
Intanto nella scena diplomatica di questo conflitto scende anche il ministro degli Esteri belga, Karel de Gucht, che si incontra a Vienna con Larijani in veste di Presidente della commissione Onu incaricata dell'appli¬cazione della risoluzione 1737. E nel corso del colloquio dice di ritenere “molto improbabile” un at¬tacco e aggiunge che “il vero pericolo è piuttosto che l'Iran abbandoni il Tratta¬to di non proliferazione”. Siamo, fortunatamente, ancora alle polemiche. Con il ministro degli Esteri iraniano Manuchehr Mottaki che in occasione di una visita a An¬kara, ribadisce che Teheran “persegue la via di¬plomatica”. Ma la sequenza dei fatti – e delle conseguenti decisioni – non è al momento programmabile.