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Il termine “sovranità nazionale” insinua cose nobili, sentimenti di patriottismo e di indipendenza, di libertà ed autonomia. Ci sono diversi modi per declinarli, taluni aulici e alcuni decisamente concreti. Un esempio di questo secondo tipo è l’uguaglianza di tutti i cittadini nell’accesso ai beni ed ai servizi pubblici, poiché parte fondamentale dei diritti collettivi. Questa è la principale destinazione a terra del principio teorico dell’uguaglianza: affermare l’universalità del diritto pubblico e la sua prevalenza nei confronti di quello privato. Ciò non comporta la lettura del diritto privato come figlio di un dio minore, ma considera che esso mai possa rappresentare una priorità su quello collettivo.

 

Questa lettura, solo apparentemente dicotomica, si ispira ad una idea del modello di società che ha nella orizzontalità dei diritti universali e non nella verticalità gerarchica di classe - propria del diritto privato - il senso profondo del modello politico, che sì riconosce il diritto agli affari ma ancor prima il dovere di difendere chi quegli affari li patisce. In poche parole, si preoccupa di limitare gli abusi che una gestione deregolamentata degli affari inevitabilmente comporta.L’attività privata, infatti, è autorizzata ma regolamentata, viene sostenuta ma vigilata, proprio perché non può darsi al di fuori delle leggi e delle norme che costituiscono la colonna vertebrale di ogni sistema giuridico.

E del resto anche dove non vige un sistema di impronta socialista c’è gerarchia tra diritto pubblico e impresa privata. Un esempio di questo sono le decisioni prese a tutela della salute pubblica nella lotta alla pandemia di Covid 19, dove la salvaguardia del bene comune (la salute pubblica) ha prevalso sul rispetto del diritto privato (l’imprenditoria e la libertà di movimento). Le misure restrittive decise hanno infatti ridotto o limitato la libertà privata sancendo un prius dell’interesse pubblico.

Il Nicaragua ha un modello costituzionalmente ispirato alla pluralità dei diritti che trova applicazione nel modello di economia mista, che applica in misura equa e ragionevole il Diritto pubblico e quello privato. La legge n.1061 a difesa del consumatore, recentemente approvata, interviene proprio a reiterare la prevalenza del diritto pubblico su atti e norme delle imprese private e, definendo lo Stato “consumatore”, associa alla tutela pubblica i diritti dei consumatori. In poche parole, interviene a frapporre lo Stato – in quanto entità rappresentante della società – tra il singolo cittadino e l’impresa privata, che sempre più spesso si pone in una condizione di arbitrarietà assoluta nel rapporto con il consumatore/cliente.

 

Banche onnipotenti?

La legge si è resa necessaria per ristabilire la legalità nei confronti di un settore - quello della raccolta del risparmio e di esercizio del credito, oltre che delle attività finanziarie - che reitera abusi nei confronti degli utenti e che ha spesso violato il principio costituzionale di eguaglianza tra tutti i cittadini. Al boicottaggio di alcune banche verso le istituzioni pubbliche durante il tentativo di colpo di stato del 2018, si sono aggiunti comportamenti discriminatori tanto nel cessare unilateralmente il rapporto in essere, quanto nel rifiutare operazioni contabili su depositi e conti correnti di alcuni cittadini nicaraguensi.

Sostengono siano preminenti le alleanze internazionali alle quali sono associati e che queste abbiano maggior valore che le leggi della Repubblica. Rivendicando lo status di impresa e la proprietà privata dell’istituto di credito e, con ciò, l’operare in nome e per conto del loro esclusivo interesse. Aggiungono, ca va sans dire, il doversi difendersi da possibili sanzioni nei loro confronti che il governo USA potrebbe applicargli.

La legge 1061 richiama l’attenzione su un principio basico: le banche godono di diversi privilegi e coperture nel loro operare ma in nessun caso possono diventare soggetti di valore preminente rispetto a quello dello Stato. La movimentazione di capitali ed il credito costituiscono parte determinante della capacità di produrre ricchezza e, perciò, hanno valore strategico nella vita economica di ogni Paese. Per questo le banche, in quanto gestori (almeno in parte) del bene o interesse pubblico oltre che di quello privato, rispondono a normative e controlli particolari e - a loro vantaggio e garanzia - godono di coperture finanziarie che un semplice privato cittadino non possiede. Dunque la conditio sine qua non con la quale la banca può operare è di farlo in conformità al principio costituzionale di eguaglianza di tutti i cittadini e, in forma e sostanza, alla legislazione e alla normativa in materia di accesso al credito e nell’erogazione di pubblici servizi.

Ad esempio, le sanzioni (illegittime ed illegali) decise dal governo statunitense ma rifiutate da quello nicaraguense, non possono essere applicate in banche che statunitensi non sono e che operano in Nicaragua, paese di appartenenza dei sanzionati. Costoro si vedrebbero danneggiati due volte: la prima nel non poter operare con e negli Stati Uniti, la seconda è nel ricevere restrizioni ed impedimenti nel loro stesso paese, che mai ha riconosciuto legittimità a tali sanzioni e che, addirittura, le ha denunciate come arbitrarie, illegittime, illegali e dannose per l’interesse generale del Nicaragua.

L’idea che in quanto private le banche possano disporre a piacimento dei diritti dei cittadini è un’idea priva di senso, visto che l’attività di una istituzione finanziaria è soggetta alla vigilanza dalle autorità bancaria centrale e quindi, in ultima istanza, al controllo dello Stato, che impone il rispetto delle norme e delle leggi che regolano le diverse attività nel Paese. Dunque, proprio a salvaguardia dei diritti individuali, non sono possibili discriminazioni nei confronti dei cittadini che non possono in alcun modo subire quello che, ad ogni evidenza, appare il risultato di una scelta discriminatoria e politica della banca, che però agisce sul territorio nicaraguense ed è alle norme nicaraguensi che deve rispetto.

 

Extraterritorialità dell’abuso

Le sanzioni statunitensi sono una indecenza giuridica. I provvedimenti (amministrativi) del Ministero del Tesoro statunitense sono misure unilaterali e di natura politica, anzi ideologica. Hanno valore al più per il territorio degli Stati Uniti d’America; non hanno effetti extraterritoriali, a meno che i governi degli altri Paesi non decidano di aderirvi. Il che, non è il caso del Nicaragua. Se la banca ritiene che l’ignorare il diktat politico statunitense gli comporti danni maggiori dei ricavi che raccoglie operando su alcuni milioni di conti correnti in Nicaragua, dovrà adoperarsi presso il governo statunitense e non discriminare cittadini nicaraguensi.

Ovviamente nessuno gli impedisce di chiudere le operazioni finanziarie e commerciali in Nicaragua, dopo però aver corrisposto fino all’ultimo cordoba di quanto detenuto in giacenza del risparmio pubblico e privato dei cittadini nicaraguensi, meglio noto come riserva obbligatoria, che serve proprio a tutelare i consumatori da politiche spregiudicate che rischino l’insolvenza bancaria. I suoi azionisti dovranno quindi decidere se, per adempiere all’isteria dell’amministrazione USA, vorranno perdere la possibilità di operare nel paese centroamericano, con la conseguente rinuncia a dei profitti importantissimi. A questo proposito giova ricordare che i paesi sotto sanzioni statunitensi sono ormai 73 sul totale di 193 nel mondo e che i provvedimenti unilaterali che gli USA inventano servono solo per procurarsi vantaggi commerciali sui mercati internazionali.

Vedremo quale sarà l’orientamento. Certamente la legge approvata li mette al riparo nei confronti degli USA, dal momento che l’adesione alle misure unilaterali di Washington comporterebbe la sospensione o la revoca delle autorizzazioni ad operare e le perdite finanziarie sarebbero enormi. In attesa delle decisioni, restiamo con la domanda inevasa che pose il drammaturgo tedesco Bertold Brecht: “E’ più criminale svaligiare una banca o fondarla?”

 

La chamorriada negra

Sembra sarà Cristiana Chamorro, vedova di Antonio Lacayo, il genero-presidente de facto del Nicaragua dal 1990 al 1996, a rappresentare l’opposizione nicaraguense alle elezioni del prossimo novembre. Si obietterà che in realtà rappresenta soprattutto la famiglia Chamorro, ma la scelta di Cristiana arriva dall’ambasciata degli Stati Uniti a Managua, che dell’intera opposizione è l’azionista di maggioranza.

I boss del golpismo hanno firmato una intesa in sei punti dove si dichiarano disposti a sottomettersi al giudizio degli elettori di destra per stabilire chi sarà il candidato e auspicano che lo stesso procedimento venga utilizzato per le candidature a deputato. Praticamente spostano la rissa interna ai piani bassi. Dichiarano altresì che comunque, sia chi sia, tutti lo sosterranno. E’ la vittoria - per ora - dell’ambasciatore USA a Managua, Sullivan, che ha posto la condizione per la quale chi non sostiene il loro candidato non prenderà un dollaro dagli USA. L’effetto è stato immediato: tutti pronti ad accontentarsi di un seggio da deputato pur di continuare a ricevere il salario statunitense.

La forzatura di Sullivan è in coerenza con la scelta di Cristiana Chamorro: propone una strategia elettorale in buona parte diversa da quelle pensata fino a qualche mese fa a seguito del cambio della guardia negli assessori per l’America Latina della Casa Bianca. Con Ted Cruz ed Elliot Abrams, infatti, emergeva la preferenza verso l’immagine dura dell’opposizione e si proponeva la memoria del 2018 come cifra della belligeranza antisandinista. Si riducevano i partiti storici della destra nicaraguense a “opposizione di comodo alla dittatura” e se ne annunciava il loro superamento in nome di un ricambio generazionale e persino sotto l’aspetto del superamento della forma partito.

In un’idea di resa dei conti con il sandinismo, si proponeva una concezione militar-movimentista, un richiamo alla cosiddetta “’auto-organizzazione” del 2018 che faceva prevalere la dimensione estremista piuttosto che quella della mediazione politica. Ovviamente non c’era niente di spontaneo nel tentativo di golpe ma la forma organizzata gestita dall’ex MRS prevaleva sui partiti della destra tradizionale. A costoro si chiedeva solo di porre a disposizione personalità giuridica e struttura territoriale per la campagna elettorale ma di fare un passo indietro nelle candidature. In questa chiave assumeva valore il contributo alla causa dell’ex MRS e perdeva di importanza la galassia liberale, ridotta a tappezzeria.

La scelta di Cristiana Chamorro indica dunque un cambio di strategia. Sul piano politico e organizzativo vede l’unificazione di quanta più possibile aggregazione di forze politiche della destra intorno alle famiglie oligarchiche e al Cosep, in alleanza con CXL; il rifiuto di consegnare a Dora Maria Tellez le chiavi organizzative e politiche dell’opposizione al sandinismo e, con ciò, rendere inevitabile la rottura con il blocco guidato dal MRS, che oltre ad essere poca cosa numericamente, ha un effetto respingente verso l’elettorato di centro e di destra.

La candidatura di Cristiana Chamorro ha anche un suo aspetto simbolico. In un chiaro richiamo al 1990 insinua un parallelo con sua madre: donna, trasversale ai partiti, inesperta di politica ma legata alle sorti della famiglia. Indica i sedici anni di liberalismo come orizzonte programmatico e rimanda ad una idea di governo alleato degli USA e della UE. Sul piano dell’evocazione dell’immagine positiva vuole proprre la figura femminile che sfida il Comandante-Presidente, la donna di casa che si lancia contro il politico di professione.

Cristiana non è un dirigente politico cui poter accusare di ciò che sono stati gli anni della vicinanza con Somoza, della tragedia liberale e del golpismo. Lei è solo la figlia della presidente, la vedova del genero primo ministro, la sorella del direttore, la cugina del candidato. E’ priva di responsabilità per il passato, perché é sempre stata qualcosa di qualcuno ma non di sé stessa.

Ma non ci sono sconti possibili nel momento in cui si sposa l’operato della famiglia oligarchica al servizio della potenza straniera, che chiede sanzioni contro il proprio Paese, ogni presunta innocenza verso i fatti passati viene meno con la condivisione della linea politica, degli atti e, per ciò, delle responsabilità. Il fatto di proporsi come sfidante del Presidente indica come la famiglia Chamorro si ritenga leader dell’oligarchia e prima servitù dell’impero, riproducendo all’infinito la struttura della dipendenza, che li vuole dominanti all’interno e dominati dall’esterno. Imporre la sua candidatura risponde alla scelta dinastica dell’oligarchia e, rivendicando il governo di suo marito e di sua madre, ripropone un raffronto tra l’orrore della spoliazione e del saccheggio di un liberalismo che tolse ai poveri per dare ai ricchi mentre oggi in Nicaragua i poveri sono diventati soggetti di diritto.

L’errore di una simile strategia nasce dall’errata valutazione del contesto nazionale ed internazionale. Il Nicaragua non è un paese stremato da dieci anni di guerra, bensì una nazione divenuta adulta, territorio di diritti, di crescita economica e sociale, di avanzamento culturale, di progresso scientifico e tecnologico, di stabilità economica e tranquillità finanziaria. Un luogo dove é la povertà ad aver subito tagli e non gli investimenti; dove le donne riducono il gender gap e non le possibilità; dove la sicurezza è alta, non il pericolo. Un luogo dove aumentano i salari e non i prezzi; si distribuisce la salute e non la morte per malattie curabili; si espandono rete viaria, elettrica, idrica e Internet e non la disperazione;  si viaggia con i trasporti più economici della regione e si è da esempio di governo per l’area centroamericana.

La signora Chamorro ha appena “sfidato” il Comandante Ortega e Rosario Murillo, in qualità di Presidente e Vicepresidente, a un dibattito su figura e opera di Violeta Barrios de Chamorro, che la figlia ritiene sia stata una statista irreprensibile. La mossa appare destinata ad offrire un po’ di pubblicità alla neo candidata. Impensabile che Presidente e Vicepresidente di un Paese si mettano a dibattere con chi non è nemmeno presidente di un circolo degli scacchi, innescando una ipotetica eguaglianza di ruoli che nemmeno la più fervida fantasia riuscirebbe ad immaginare.

Ma stia serena la figlia-vedova-cugina: la memoria dell’orrore nel quale il Nicaragua venne gettato dalla madre difficilmente verrà dimenticato. L'eredità che ha lasciato é la grande rapina di risorse e beni del Nicaragua, che avvenne attraverso la svendita di compagnie di trasporti (aerei e treni); la spaventosa corruzione; l’azzeramento di ogni brandello di spesa sociale; l'abbandono del territorio e dei servizi verso la popolazione; gli oltre 20000 licenziamenti peri i lavoratori sandinisti dello Stato; lo scippo delle terre alle cooperative per regalarle agli antichi latifondisti che erano stati già risarciti, per non parlare del regalo concesso ai padroni del Nord rinunciando ad esigere il rispetto della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja che obbligava gli USA a risarcire il Nicaragua. Tutti vedono oggi le opere pubbliche del sandinismo che hanno rivoltato come un guanto il Nicaragua, e nessuno ha dimenticato i danni provocati dai Chamorro's. Se ne renderà conto il prossimo Novembre.