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Il pacchetto di aiuti anti-Covid dell’amministrazione Biden sembra essere ben avviato verso l’approvazione al Congresso di Washington, anche se fuori dal provvedimento da quasi duemila miliardi di dollari resterà alla fine una delle misure più importanti, soprattutto dal punto di vista simbolico, incluse nella proposta originaria. L’aumento a 15 dollari l’ora del salario minimo federale, da tempo vero e proprio cavallo di battaglia “liberal”, è stato infatti escluso dalla nuova legge a causa di discutibili questioni procedurali. Tra le recriminazioni dell’ala “progressista” del Partito Democratico, la Casa Bianca ha tirato un sospiro di sollievo, confermando come la promessa al centro della campagna elettorale del presidente serviva sostanzialmente solo a raccogliere qualche consenso a sinistra.

 

La paga minima imposta per legge è negli Stati Uniti il frutto della legislazione rooseveltiana degli anni della Grande Depressione. Dalla sua introduzione nel 1938, questo punto di riferimento minimo teorico per gli stipendi dei lavoratori americani viene periodicamente aggiornato in base all’inflazione. L’ultimo aggiornamento risale però al 2009 e mai era trascorso così tanto tempo senza un adeguamento. Il risultato è che oggi il salario minimo federale rimane inchiodato a 7,25 dollari l’ora, in grado di generare approssimativamente un reddito lordo annuo di 15 mila dollari, quasi nemmeno sufficiente a garantire la sopravvivenza di un lavoratore negli Stati Uniti.

La “battaglia per i 15 dollari” e il suo deprimente epilogo sono utili a comprendere le dinamiche politiche del Partito Democratico e ad anticiparne gli indirizzi di governo, già sufficientemente chiari ad appena sei settimane dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. In estrema sintesi, i leader democratici di tutti gli orientamenti avevano fatto appello ai lavoratori e, più in generale, ai redditi più bassi per sconfiggere Trump e ottenere la maggioranza al Congresso, in modo da lanciare una nuova stagione “progressista”, simboleggiata in primo luogo proprio dai 15 dollari del nuovo salario minimo. Una volta al potere, questo stesso partito ha però improvvisamente realizzato di trovarsi di fronte a un muro insormontabile. Da qui la necessità di mostrare un atteggiamento di realismo. Coloro che avevano sperato in un cambiamento dovranno perciò accontentarsi tutt’al più di qualche briciola.

Come già anticipato, l’esclusione del salario minimo a 15 dollari l’ora è dovuta ufficialmente a una questione di procedura. La misura era parte integrante del pacchetto Biden per contrastare le conseguenze della pandemia, ma le regole del Senato, dove i democratici detengono una maggioranza di un seggio e solo grazie al voto della vice-presidente Kamala Harris, prospettavano un percorso accidentato in aula. A livello generale, al Senato sono infatti necessari 60 voti per licenziare qualsiasi legge e, visti gli equilibri attuali, almeno dieci senatori repubblicani avrebbero dovuto appoggiare il pacchetto di aiuti.

Alla luce dell’impossibilità di raggiungere questo obiettivo, i democratici si sono visti costretti a ricorrere a un espediente procedurale. Se, cioè, una qualsiasi proposta di legge ha un rilievo a livello di bilancio federale, essa può godere di una procedura di voto semplificata (“reconciliation”) e venire approvata con una maggioranza semplice di 51 senatori, esattamente il numero di cui dispongono i democratici. Così facendo, però, le parti del pacchetto di aiuti all’economia non riconducibili a questioni di bilancio sono state stralciate, incluso appunto l’aumento del salario minimo federale.

La sorte dei 15 dollari è stata decisa da un apposito funzionario (“parlamentarian”), Elizabeth McDonough, nominata dai democratici nel 2012. Biden e i leader del suo partito hanno subito accettato la decisione e annunciato che, di fatto, non ci saranno altri tentativi per introdurre l’aumento del salario federale minimo, almeno per il momento. Anzi, ambienti vicini al presidente hanno espresso una certa soddisfazione, perché la misura bocciata rischiava di portare a galla i malumori dei senatori democratici “moderati”, col rischio di affondare l’intero pacchetto da 1.900 miliardi di dollari.

Nonostante la resa immediata, il parere contrario alla procedura di voto semplificata poteva essere aggirato in maniera relativamente semplice. La vice-presidente, nel suo ruolo di presidente del Senato, ha ad esempio facoltà di annullare le decisioni del “parlamentarian”. Inoltre, quest’ultimo potrebbe essere facilmente sostituito, come fecero i repubblicani nel 2001 per approvare con una maggioranza semplice gli sgravi fiscali voluti da George W. Bush. Anche la stessa cancellazione della norma che prevede una maggioranza di 60 voti per approvare ogni legge senza implicazioni di bilancio (“filibuster”) era un’opzione reale, visto che per farlo sarebbero bastati i 50 voti dei senatori democratici più quello della vice-presidente.

Alla fine, è evidentemente mancata la volontà politica. Il contenimento dei salari è d’altra parte un elemento cruciale delle politiche che negli anni successivi alla crisi economica del 2009 hanno consentito la redistribuzione verso l’alto di migliaia di miliardi di dollari. Il momento-chiave del ridimensionamento dei livelli salariali della “working-class” americana è avvenuto inoltre durante il mandato di un presidente democratico. Fu Obama, infatti, che favorì la ristrutturazione dell’industria automobilistica nel 2009, col risultato di dimezzare le retribuzioni dei nuovi assunti in questo settore, a cui tradizionalmente si adeguano tutti gli altri.

Va anche sottolineato come sia semplicemente ridicolo lo scrupolo dei democratici per il diritto e le norme parlamentari, ignorate o calpestate senza difficoltà quando in ballo ci sono altri interessi. Infatti, mentre l’aumento del salario minimo naufragava al Senato, Biden ordinava un bombardamento sulla Siria senza nemmeno richiedere l’autorizzazione del Congresso e in totale violazione del diritto internazionale.

La Casa Bianca ha chiuso così il dibattito sui 15 dollari con una dichiarazione ufficiale per spiegare che questa misura resta una “priorità” del presidente, ma al momento non esiste alcun piano per implementarla. Ancora più patetiche sono state le reazioni dei leader della “sinistra” del partito, a cominciare da Bernie Sanders. Tutti hanno messo l’accento sulla necessità di approvare comunque un pacchetto di aiuti a favore di decine di milioni di americani, mentre qualcuno ha rilanciato promettendo una proposta di legge, ugualmente destinata al fallimento, per introdurre benefici fiscali per quelle aziende che alzeranno i salari dei loro dipendenti.

L’intera vicenda è l’ennesima dimostrazione del vicolo cieco rappresentato dalla teoria del “male minore”, in base al quale lo scorso anno gli ambienti “liberal” americani hanno invocato un voto a favore di Biden per sconfiggere Trump e cercare di ottenere riforme in senso progressista attraverso pressioni sul Partito Democratico. A rendere ancora più deprimente il quadro è anche il fatto che l’aumento del salario minimo a 15 dollari, se pure fosse stato ottenuto, avrebbe avuto un impatto tutt’al più trascurabile sui beneficiari del provvedimento. La proposta prevedeva, in primo luogo, il raggiungimento di questo livello solo nel 2025, con tutte le implicazioni in termini di erosione dovuta all’effetto dell’inflazione. Inoltre, secondo alcuni studi, se il salario minimo avesse tenuto il passo dell’aumento della produttività nell’ultimo mezzo secolo dovrebbe essere oggi attorno ai 24 dollari l’ora.

Per quanto riguarda il pacchetto Biden, la Camera dei Rappresentanti lo ha già approvato sabato includendo, con un gesto puramente simbolico, anche la norma del salario a 15 dollari. Il Senato avvierà il proprio iter nei prossimi giorni per poi votare una versione priva di quest’ultimo provvedimento e che sarà sostanzialmente simile al testo definitivo. Tra le misure principali previste dal pacchetto figurano l’aumento dei sussidi per i disoccupati da 300 a 400 dollari la settimana, un assegno una tantum da 1.400 dollari, 130 miliardi per le scuole, 350 miliardi per le amministrazioni locali e una lunga serie di altre iniziative più o meno efficaci per le categorie più colpite dagli effetti della crisi sanitaria.