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Categoria: Esteri
di Raffaele Matteotti

Dopo la legalizzazione dell’illegale invasione etiope della Somalia, è arrivato a Mogadiscio il primo contingente di truppe ugandesi, giunte nel quadro dell’operazione di “peacekeeping” organizzata dall’ONU, per la quale i paesi dell’Unione Africana forniranno le truppe e gli USA i fondi ed il supporto logistico. Gli ugandesi sono in realtà la striminzita avanguardia (1200 soldati) del già striminzito contingente UA (8000 uomini), finora coperto da promesse dei paesi africani solo per la metà. Per ora non è dato sapere quando arriveranno i militari promessi dagli altri paesi e nemmeno se il contingente raggiungerà mai la consistenza pianificata. L’arrivo degli ugandesi è stato salutato fin dall’inizio da colpi di mortaio che hanno colpito uno degli aerei che li ha portati a Mogadiscio e nei giorni successivi non è andata molto meglio. Infatti mentre le truppe etiopi stanno ritirandosi con lentezza, il numero degli attacchi aumenta e sale di tono. Nei giorni scorsi è stata attaccata la residenza del presidente somalo Yusuf e nelle ultime ore si sono registrati violenti combattimenti tra le forze ugandesi ed etiopi e guerriglieri somali. Dall’inizio dell’invasione sono ormai centinaia le vittime di attacchi del genere, in particolare nella capitale somala. Nel frattempo, Sheikh Hassan Dahir Aweys, il capo delle Corti Islamiche, è vivo, nonostante fosse stato dato per morto.

Dal Dipartimento di Stato la signora Rice continua a rilasciare professioni di ecumenico ottimismo invitando le “parti” al dialogo e asserendo con forza che tutto sta andando per il meglio. La realtà invece ci consegna l’immagine di un premier, Ali Ghedi, che si rifiuta di trattare con i “terroristi” e di una situazione sul campo che si deteriora sempre di più. Al grande numero di profughi in fuga dai combattimenti, vanno infatti aggiunte le vittime di diverse epidemie che uccidono i somali in assenza del minimo intervento sanitario; le ultime vittime sono state uccise da banali dissenterie.

La Somalia è quindi regredita alla situazione antecedente la presa del potere da parte dell’UIC (Unione delle Corti Islamiche), quando comandavano i signori della guerra e la violenza era diffusa capillarmente, ma se possibile ora la situazione è ancora più caotica, visto che oltre alle milizie dei signori della guerra ora sono in campo: l’esercito etiope, il contingente ugandese, le milizie governative, alcuni mercenari di provenienza sconosciuta, pattuglie di americani che non dovrebbero esserci, miliziani dell’UIC e ora anche le guardie private assoldate dai cittadini di alcune zone di Mogadiscio per porre un freno alla sostanziale anarchia che vige in alcune zone della capitale.

Per ora il governo di Ali Ghedi non è ancora riuscito a prendere alcun provvedimento a favore della sua popolazione; anche la formalizzazione della “‘Road map to governance and national dialogue and reconciliation” in vista di una assemblea plenaria dei rappresentanti dei clan da tenersi a Mogadiscio in Aprile, sembra più il modo di ottenere i trentadue milioni di dollari chiesti per organizzarla che una genuina dichiarazione d’intenti volta ad aprire un vero dialogo con la controparte rappresentata dall’UIC.

In questi mesi, sulla pelle dei somali, si è assistito ad un balletto sconcertante, fatto di gravi infrazioni della legalità internazionale (l’invasione etiope e i bombardamenti americani) e di un sostanziale menefreghismo sulla sorte dei somali, culminato negli episodi che hanno visto ignorate le richieste di aiuti umanitari rivolte alla comunità internazionale. Dietro il muro di silenzio che circonda ora il paese si stanno muovendo le pedine del Risiko americano in Africa. I paesi al seguito di Washington, in particolare Uganda, Etiopia e Kenya, stanno assecondando i piani del Dipartimento di Stato che, come in altre occasioni, non contemplano alcuna soluzione per la parte del piano successiva agli attacchi militari.

Dopo la cacciata dell’UIC la Somalia è tornata ad essere un paese senza legge, governato da un esecutivo che non rappresenta altri se non interessi esterni alla Somalia e da questi mantenuto al potere contro il volere della maggioranza dei somali. Una situazione che sembra la fotocopia delle invasioni di Afghanistan ed Iraq, dove all’intervento militare sono seguiti solo altri interventi militari in una escalation insensata quanto pianificata. Una evoluzione che la dice lunga sulle vere intenzioni di Washington verso questi paesi, nei quali non c’è alcun reale interesse a “portare la democrazia” come dichiarato pubblicamente ma, al contrario, risulta evidente l’interesse a portare al potere governi-fantoccio, più attenti alle esigenze di Bush che a quelle dei cittadini di questi martoriati paesi.