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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

La proposta di una soluzione “finale” per la martoriata terra del Kosovo arriva da D’Alema, lo stesso che, da Primo ministro, offrì l’appoggio italiano a quella guerra di distruzione coperta dalla Nato. Ma la storia – come è noto – fa anche di questi “scherzi”. E così oggi a quel piano fornito dall’emissario dell’Onu Martti Ahtisaari - che delinea prospettive di nuovi assetti politici ma con una ''indipendenza condizionata'' per il Kosovo - fa eco (da Brema dove si sono incontrati i leader delle diplomazie dell’Ue) il ministro italiano che sostiene la validità di uno “sbocco positivo''. Per D'Alema, infatti, ''non è pensabile mantenere in Kosovo lo status quo ed è quindi necessario definire uno status finale sulla base della proposta Ahtisaari''. Vi dovrebbe essere una posizione comune europea da difendere in sede Onu. In pratica si dovrebbe prevedere una nuova condizione (e non una spartizione) per l’intero territorio. E cioè una “indipendenza sorvegliata” (e questa è una proposta tedesca) passando contemporaneamente ad una presenza diretta dell’Unione Europea, che dovrebbe sostituire la missione Onu. Ma si sa anche che tra i paesi interessati non c'è ancora una totale convergenza. Un atteggiamento particolare è quello della Russia, che non perde occasione per ricordare la sua “vicinanza” storica e culturale alla Serbia. Si può quindi prevedere che Mosca non voterà a favore di una risoluzione del Consiglio di sicurezza basata sul piano di Martti Ahtisaari in quanto non potrà accettare un piano unilaterale che la diplomazia del Cremlino considera come “affrettato”. Del resto il rappresentante permanente della Russia all’Onu - Vitali Ciurkin – ha già sostenuto che il documento ha un carattere “propagandistico, privo di una qualsiasi analisi seria”. E sempre secondo Mosca nella realtà nel Kosovo la situazione non corrisponde agli standard di sicurezza e la condizione dei profughi è tragica. E nulla di tutto questo figura nel documento che dovrebbe sancire una soluzione. Ciurkin rileva anche che nel Kosovo sono ignorate le richieste base dell’Onu, come il rispetto dei diritti delle minoranze nazionali e i problemi umanitari. Non solo, ma gli albanesi kosovari non sono mai stati disarmati. Discutere, quindi, su un documento vuoto di contenuti significa, secondo il rappresentante russo, perdere soltanto del tempo. Senza che si registri una nuova e più tollerante atmosfera. Oltre alla voce di Mosca, ovviamente, risuonano forti le posizioni di Belgrado e di Pristina. E cioè di capitali bloccate tra la richiesta serba di mantenere il controllo sull’intera regione e la pretesa dei kosovaro-albanesi di arrivare alla piena indipendenza. Ne consegue che lo stato di allarme è costante.

Avviene così che nel processo di risoluzione dello status kosovaro, la Serbia difende due principi su cui si basa la comunità internazionale e con i quali la trasgressione non sarebbe più garantita a nessun paese in Europa. Di conseguenza, Belgrado ritiene che l'applicazione del piano di Ahtisaari rappresenterebbe la trasgressione della Convenzione che sta alla base della fondazione dell'Onu e dell'Atto di Helsinki in riferimento alla immutabilità dei confini. E così è sempre più chiaro che anche tra i paesi membri dell'Unione europea non esiste una posizione unitaria sul futuro status del Kosovo.

Tanto che in molte diplomazie occidentali si ritiene che un Kosovo indipendente, come disegnato nella proposta di Martti Ahtisaari, rappresenterebbe una fonte permanente di instabilità, non solo nei Balcani, ma anche in moltissimi altri paesi. Per non parlare della Serbia dove l'umiliazione nazionale porterebbe ad una drammatica sconfitta dell'umore pro-europeo.

Comunque si mettano le cose un fatto è ora certo. Ed è che il premier della Serbia Voijislav Kostunica si accinge a presentare le posizioni della Serbia sul futuro ordinamento del Kosovo al Consiglio di sicurezza dell'Onu. E la versione belgradese, ovviamente, sarà diversa da quella prevista dall’Onu. Tutto avviene mentre i membri del team belgradese, con a capo il presidente della Serbia Boris Tadic, rilevano che bisogna continuare con più vaste attività diplomatiche dei rappresentanti di stato e dei membri del team negoziante in direzione della difesa degli interessi statali della Serbia in Kosovo.

Pesa su tutto quel giudizio “storico” dato a suo tempo da Huntington nel suo “Lo scontro delle civiltà” dove sostiene che “quella che potrebbe sembrare una questione di carattere strettamente territoriale tra musulmani, albanesi e serbi ortodossi per il Kosovo, o tra ebrei e arabi su Gerusalemme, non può trovare facile soluzione, in quanto questi luoghi hanno per entrambi i popoli un profondo significato storico, culturale ed emozionale”.

E c’è di più. Perché sempre in riferimento alle tragedie jugoslave possiamo ricordare che mentre nella bosniaca Mostar, cattolici e musulmani gareggiarono a ricostruire un edificio sacro, in Kosovo gli ortodossi assistono, nel silenzio del mondo (Vaticano incluso) alla distruzione dei loro antichissimi luoghi santi (chiese e monasteri) da tempo considerati “patrimonio dell’umanità”. E ancora una volta l’unica voce a farsi sentire nella difesa dei luoghi santi - che sono la culla del cristianesimo serbo - è quella della Russia che si presenta sempre più come un “asse ecclesiastico antioccidentale”.

Ecco perché in questa situazione che vede il Kosovo tornare all’esame dell’Onu le forze democratiche di Belgrado puntano a mettere in guardia l’Europa e il mondo sulle conseguenze di un Kosovo che diventi Stato autonomo. E a Belgrado si sente sempre più questo slogan: “Togliere il Kosovo alla Serbia, significa togliere l’anima ai serbi”. E qualsiasi decisione diversa - relativa ad una indipendenza kosovara in funzione albanese - potrebbe provocare nuovi attacchi terroristici non solo contro i serbi rimasti, ma anche contro i militari e le forze di polizia internazionali. La parola, di nuovo, passerebbe nelle mani di quella organizzazione terroristica che si chiama Uck, che ha in suoi mandanti a Tirana e i suoi sponsor in Occidente.